Italia corresponsabile delle violazioni sui migranti in Libia, ancora un processo per il Bel Paese

Amnesty International interviene in una causa presso la Corte europea dei diritti umani insieme a Human Rights Watch. Per le organizzazioni internazionali l'Italia è corresponsabile di violazioni dei diritti dei migranti da parte della Libia. Il caso è quello del 6 novembre 2017, quando l'intervento libico contro Sea Watch causò la morte di circa un centinaio di persone al largo della Libia

Amnesty International e Human Rights Watch sono intervenute, l’11 novembre, come terze parti in un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani sulle violenze subite da un gruppo di migranti ad opera delle autorità libiche. I fatti si sono verificati, nel novembre del 2017, nel corso dell’intercettamento in mare da parte della sedicente guardia costiera libica e del successivo sbarco in Libia. “Nel caso n. 21660/18, S.S. e altri contro l’Italia, i ricorrenti sostengono – spiega Amnesty International con una nota – che l’Italia abbia violato la Convenzione europea dei diritti umani cooperando con la Libia, consentendo alla Guardia costiera libica di intercettare migranti in mare e riportarli sulla terraferma“. Gli stessi ricorrenti hanno anche dichiarato alla Corte europea della regolarità con cui vengono sottoposte a torture e trattenimento arbitrario nei centri di detenzione le persone riportate in Libia.

Amnesty ricorda che “nel 2012, nella sentenza n. 27765/09, Hirsi Jamaa e altri contro l’Italia, la Corte aveva condannato la prassi delle autorità italiane di intercettare migranti in mare e obbligarli a tornare in Libia, violando in questo modo la Convenzione e in particolare il divieto di rinviare persone in paesi dove rischiano di subire violazioni dei diritti umani”. Nel caso in oggetto, le due organizzazioni hanno sottolineato “il ruolo decisivo che l’Italia svolge nel sostenere e orientare le politiche di controllo dell’immigrazione affinché le autorità libiche portino avanti le medesime politiche italiane condannate dalla Corte nel 2012“. Amnesty International e Human Rights Watch hanno inoltre informato la Corte delle inumane condizioni di detenzione imposte ai migranti e a rifugiati nei centri di detenzione in Libia e “delle violenze ai loro danni commesse o comunque tollerate dalle autorità libiche“. L’Italia in questo modo si rende corresponsabile delle violazioni dei diritti umani – hanno spiegato le due organizzazioni – derivanti dalle operazioni effettuate in mare dalle autorità libiche con l’uso di una forza né necessaria né proporzionale. Operazioni che inoltre si concludono con il ritorno delle persone intercettate in luoghi di detenzione dove si verificano gravi violazioni dei diritti umani.

“Pur essendo pienamente consapevoli della situazione, l’Italia e altri stati dell’Unione europea offrono sostegno alle autorità libiche perché trattengano le persone in Libia e non condizionano la cooperazione con la Libia all’adozione di provvedimenti – come la chiusura dei centri di detenzione e il rilascio delle migliaia di persone in essi illegalmente trattenute – per impedire che vengano commesse gravi violazioni dei diritti umani. Al contrario, l’assistenza alla Guardia costiera libica prosegue indisturbata”. Tale affermazione congiunta di Amnesty International e Human Rights Watch è assolutamente in linea con quanto già assunto dalle Nazioni Unite e relazionato dal Segretario generale ONU alla stessa Corte. I ricorsi in itinere e le sentenze pregresse non hanno però impedito all’Europarlamento di bocciare – anche se per due soli voti – una proposta di risoluzione formulata dalla Commissione Libertà Civili per un intervento umanitario in mare che tenesse conto della reale situazione in corso in Libia. Anche l’Italia procede “indisturbata” con la proroga, già tacitamente raggiunta, del Memorandum Italia-Libia e delle inumane politiche di contenimento dei flussi migratori in Libia come frontiera esterna della “fortezza europea”.

Il “caso S.S. e altri contro Italia” porta di nuovo dinnanzi la Corte europea uno degli innumerevoli episodi in cui la manovalanza armata libica agisce per procura contro i diritti umani di cui è appunto corresponsabile chi la finanzia e la sostiene. “Un’opportunità decisiva – affermano le due organizzazioni internazionali – per far emergere le responsabilità dell’Italia e il suo ruolo concreto nel determinare le politiche libiche di controllo delle frontiere e dell’immigrazione“. Quello italiano non è l’unico sostegno diretto alla Libia ed in tale scenario internazionale va considerato in pieno il più ampio e tacito appoggio europeo a simili politiche proposte come accordi bilaterali tra Italia e Libia. Alle autorità libiche viene comunque concesso di commettere e perpetrare violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti e dei rifugiati. Nessuno però sembra dover pagare le dovute conseguenze. Né la Libia, che commette tali violazioni scientemente e sotto gli occhi degli ispettori delle Nazioni Unite, né tantomeno l’Italia e l’Unione europea che vi prestano il fianco fingendo che tutto sia legittimo e naturale.

Il 6 novembre 2017, un gommone con circa 150 persone a bordo iniziò a imbarcare acqua nelle acque internazionali di fronte alla costa della Libia. Sul posto, in soccorso dei naufraghi, giunsero una nave della ONG tedesca Sea Watch ed una motovedetta della cosiddetta guardia costiera libica. Una di quelle donate dall’Italia al Governo di Accordo Nazionale presieduto da Fayez al Serraj. A quell’evento sono sopravvissute 17 persone che hanno poi promosso il ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani. Secondo le dichiarazioni rese dai superstiti e ricorrenti, la Guardia costiera libica ostacolò le operazioni di soccorso dell’equipaggio da parte della nave di Sea Watch lanciandogli oggetti contro e picchiando e minacciando le persone già soccorse e altre che si trovavano in acqua. L’episodio era già stato denunciato pubblicamente dalla stessa ONG tedesca. Il ministro dell’Interno italiano era a quel tempo Marco Minniti, del Partito Democratico. Minniti. Insediatosi qualche mese prima, con il rimpasto del governo dalla guida Renzi a quella Gentiloni, fu l’attuatore dell’accelerazione itali-libica contro le ONG che, da quell’estate in poi, furono oggetto di attacchi giudiziari in Italia ed armati in acque internazionali libiche per mano della cosiddetta guardia costiera cui l’Italia aveva concesso piena fiducia. Pochi mesi prima, a maggio dello stesso anno, il trafficante e criminale detto “comandante Bija” era stato in Italia, a detta dello stesso, ospite anche al Viminale.

In quell’occasione, la Guardia costiera libica riportò in Libia 47 persone, poi poste in detenzione e sottoposte a violenze come da prassi consolidata ed approvata anche dall’Italia. La nave della Sea-Watch invece riuscì a soccorrere e a portare poi in Italia – malgrado lo scontro con la motovedetta libica dei picchiatori e lancia patate che le impedì di salvare ulteriori persone – alcuni migranti, tra cui 15 dei 17 ricorrenti. In quell’occasione morì un numero imprecisato di persone, compresi i bambini di due dei ricorrenti nel caso “S.S. e altri contro Italia“.

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