Un mare pieno di cadaveri, altri due corpi a Sabrata

Altri due corpi restituiti dal mare come già nei giorni scorsi quello della bambina di pochi mesi. Anche il ritrovamento di questi due cadaveri è avvenuto in Libia, sulla costa di Sabrata. Negli ultimi anni il Mar Mediterraneo ha accolto circa ventimila corpi di migranti costretti a viaggiare in modo irregolare e con barche precarie per raggiungere luoghi più sicuri

Uno dei corpi ritrovati oggi, 19 giugno 2020, dalla Mezzaluna Rossa di Sabrata (Libia) sulla costa

di Mauro Seminara

La Mezzaluna Rossa di Sabrata ha trovato altri due corpi sulla spiaggia. Non sono corpi di esseri umani, per il mondo, ma di migranti. Perché loro, i migranti, ormai sembrano essere degli esseri di livello inferiore. Non ci si dovrà stupire se tra qualche tempo, nei Paesi dei politici che si inginocchiano per George Floyd, verranno approvate leggi che autorizzano l’uso dei migranti per gli esperimenti in laboratorio. Oppure l’acquisto dei migranti per sollevare la meritevole razza caucasica dai lavori pesanti. Di fatto qualcosa del genere già avviene, ma nessuno se ne accorge. Non conviene. Non far caso che quelli che lavorano come schiavi nei campi italiani, ad esempio, e che molti beceri italiani non vogliono regolarizzare – altrimenti perderebbero la patente da schiavi – sono migranti trattati come bestie da soma, non conviene perché poi nel Paese laico a trazione cristiana ci si dovrebbe chiedere se il Dio di chi crede perdonerà questo abominio.

Nel giro di pochi giorni ci sono stati due naufragi nel Mediterraneo centrale. Uno al largo di Sfax, in Tunisia, e la conta dei morti è ormai salita a 61; ma non persone morte: migranti. Anzi, come dicono i sovranisti, e le carogne, “clandestini”. Il naufragio è avvenuto la prima settimana di giugno a poche miglia dalla Tunisia, oltre l’isola di Kerkennah. Pochi giorni dopo si è verificato un altro naufragio, anche in questo caso a poche miglia dalla costa; ma si trattava della costa della Libia, quella pattugliata dalle motovedette italiane “donate” alle milizie libiche spacciate per guardie costiere, dai voli di ricognizione dell’agenzia europea Frontex, ed in cui si muovono interi assetti militari di una lunga schiera di Paesi che vola intorno alla Libia come avvoltoi su una carcassa da divorare. A sei miglia dalla costa libica, meno di dieci chilometri da Zawiya, è naufragata una barca e sono morti dodici migranti. Tra essi anche due bambini che non sapevano ancora di essere migranti. Le rispettive mamme, forse ignare, comunque morte anch’esse, non glielo avevano ancora detto. Adesso altri due corpi vengono restituiti dal Mar Mediterraneo, che negli ultimi anni ha accolto in fondo a se circa ventimila persone. 20.000.

Domani è il 20 giugno, ricorre quindi la Giornata Mondiale del Rifugiato. Per essere rifugiati però bisogna raggiungere un luogo sicuro in cui poter chiedere protezione. Per evitare che il mondo di prima classe si debba fare carico del mondo di seconda classe, quello sfruttato e depredato e nel quale vendere armi ed alimentare guerre, pare sia stato trovato un modo semplice ed efficace: si considerano potenziali rifugiati quanti sopravvivono alla ricerca di salvezza e si considerano invece “migranti”, e da qualche anno anche “migranti economici” tutti quelli che ancora non sono arrivati o che muoiono nel tentativo di farlo. In un memorabile editoriale, pubblicato oggi e del quale si consiglia la lettura, Domenico Gallo pone un chiaro quesito: Migrant lives matter? (Le vite dei migranti contano?). Il quesito si pone sulla scia del noto Black lives matter nato dopo l’omicidio, brutale, di George Floyd – negli Stati Uniti – ad opera di un agente di Polizia che ha impiegato oltre otto minuti perché il “negro” che teneva sotto il ginocchio smettesse di respirare. Otto minuti e quarantasei secondi di sofferenza per uccidere un uomo. Otto minuti di paura, di panico per la vittima. E tutto il mondo si è inginocchiato in un flash mob che richiamava la posizione dell’agente assassino ma in onore e memoria della vittima. Solo che otto minuti e quarantasei secondi di paura di morire sono nulla in confronto ai mesi di detenzione nei lager dei trafficanti che stuprano, torturano e ricattano. Otto minuti e quarantasei secondi sono nulla in confronto alle ore, a volte giorni, in atterrita attesa di soccorsi in mare.

L’editoriale di oggi si conclude con un sogno proposto da Domenico Gallo:

Ho sognato che, per un prodigio, com’è accaduto in America, anche i nostri occhi riprendessero a vedere e che in Italia nascesse una grande mobilitazione popolare per rivendicare che: Migrant lives matter, e ho visto tutti i politici italiani inginocchiati a chiedere perdono“. Il Mar Mediterraneo è pieno di cadaveri, e pochi giorni fa ha restituito il corpicino di una bambina di appena pochi mesi. I cadaveri di cui è pieno il mare, che spesso finisco in piccoli erosi pezzi nelle reti dei pescatori, che in qualche caso il mare decide di restituire ancora in forme umane, sono il risultato della chiusura delle frontiere in modo unidirezionale. Una chiusura che permette ad alcuni “cittadini del mondo” di viaggiare liberamente con il loro passaporto, di recarsi in Tunisia per lussuose vacanze a bassissimo costo, in Kenya in vacanze nei lussuosi resort oppure a fare business costruendo lussuosi resort, e così ovunque viene voglia. La stessa chiusura che impedisce però ad uno schiavo estrattore di uranio nel Niger di viaggiare oppure ad una giovane donna della Nigeria di lasciare il villaggio in cui la sorella è già stata stuprata ed i genitori sono stati uccisi con le armi che qualcuno fornisce regolarmente alle milizie di Boko Haram.

Nessun ufficio cui chiedere aiuto prima di finire nelle mani di chi lucra sul proibizionismo del terzo millennio, quello sulla libertà di movimento, oppure semplicemente un visto per lasciare il Paese in cui, recita la Costituzione italiana all’articolo 10, viene impedito “l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. Per questi stranieri, e non migranti o clandestini, la Costituzione italiana impone il “diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Ma noi siamo ancora alla negazione di una Carta costituzionale entrata in vigore il 1º gennaio 1948. Figuriamoci quando potremo sperare di sapere perché si spendono milioni di euro per “combattere” il traffico di migranti in Libia con missioni militari oppure addirittura scoprire chi vende armi a milizie di stampo terrorista nei Paesi da cui i migranti tentano di evadere.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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