Guerra agli alleati. Perché bisogna difendere le Ong

di Mauro Seminara

di Mauro Seminara

Il dovere implicito di ogni articolo che pubblichiamo è quello di fornire informazioni utili al lettore per una giusta comprensione dei fatti che, purtroppo, troppo spesso, vengono confusi da propaganda somministrata un tanto al chilo agli italiani e non solo. Per entrare nel merito del perché gli italiani si stanno convincendo che gli unici loro alleati debbano essere combattuti come i peggiori nemici della nazione bisogna fare un lungo passo indietro e tornare al 2013.

Il 3 ottobre del 2013, prima che sorgesse il sole, si è capovolto a poche centinaia di metri da Lampedusa un barcone gremito di migranti come un formicaio galleggiante. Le vittime, poi allineate in un hangar dell’isola, furono 366. Tutti piansero o si commossero per quella immane tragedia. Anche persone che a Lampedusa iniziarono poi, anni dopo, ad osannare il ministro dei “porti chiusi”. Lo Stato italiano propose una missione, tutta made in Italy, per evitare che una strage del genere si verificasse nuovamente. Ma la strage si verificò di nuovo, ed appena pochi giorni dopo. La missione era principalmente opera della Marina Militare italiana e si sarebbe chiamata “Mare nostrum”. La stessa Marina Militare però aveva, pochi giorni dopo la strage di Lampedusa, ordinato ad un proprio comandante di allontanarsi da un barcone in difficoltà. Una omissione di soccorso possibile ma negato per via di un braccio di ferro politico tra Italia e Malta che costò, l’11 ottobre 2013, la vita di altre 268 persone. La comandante della nave della Marina Militare, una donna, malgrado l’inchiesta che tentava di accertare le responsabilità della seconda strage di migranti, fu protagonista di un docufilm trasmesso dalla Tv di Stato Rai. Una decisione strana, visto che pochi anni dopo venne bloccata la fiction Rai sul sindaco di Riace perché anch’esso iscritto sul registro degli indagati per il cosiddetto “modello Riace”, ammirato da tutto il mondo ma osteggiato e mai normato dall’Italia.

Lo Stato Maggiore della Difesa italiano mise in atto Mare nostrum, andando così a soccorrere i migranti a venti miglia dalla Libia. A volte anche a distanze minori dalla costa nordafricana. Nessuno, tra fine 2013 ed il 2014, parlò gravemente di pull factor, di complicità tra la Marina Militare italiana ed i trafficanti libici, di “appuntamenti” con i barconi, di “vicescafisti”. La missione italiana Mare nostrum era una missione umanitaria e stava bene a tutti in questi termini. Nessuno metteva in dubbio l’onore dei nostri militari. L’Italia tentò, non potendo sostenere oltre un anno i costi della missione, di renderla un progetto europeo. Una missione condivisa con l’Unione europea. L’Ue diede però picche e Mare nostrum venne chiusa. Ma la missione, nel corso del suo anno di svolgimento, pur non avendo del tutto evitato le morti in mare dei migranti, aveva reso un vantaggio involontario ai trafficanti che non ebbero più l’obbligo di approntare barche in grado di reggere una traversata da quasi 200 miglia, e nemmeno di dotare i migranti di telefono satellitare, giubbotti di salvataggio, carburante per oltre venti miglia di navigazione. Mare nostrum aveva aumentato gli utili dei trafficanti riducendo gli standard di sicurezza delle già note “carrette del mare”. Mare nostrum si concluse, senza un proseguo di missione europeo, alla fine del 2014.

Nel 2015 le stragi nel Mediterraneo erano in aumento come in aumento erano le partenze. I migranti fuggivano dai Paesi di origine in quantità sempre più sensibili a causa degli effetti di gravi carestie e del diffondersi di milizie armate – alle quali, tra l’Europa e gli Stati Uniti, qualcuno vendeva pacificamente armi e munizioni – che prendevano il totale controllo dei territori abbandonati da Stati-colonie, come la Nigeria. Le stragi nel cimitero liquido del Mediterraneo centrale aumentavano perché le navi della Marina Militare italiana non si trovavano più a venti miglia dalla costa ma le barche ed i gommoni non erano tornati in automatico quelle di prima, con sicurezza, carburante e telefoni satellitari. I gommoni si afflosciavano dopo una o due ore di navigazione e per ognuno di essi si perdevano, sul fondo del mare, una media di cento vite umane. Arrivarono quindi le Organizzazioni non governative, una dopo l’altra, per sopperire al ritiro di Mare nostrum ed alla mai realmente avviata missione umanitaria europea. Le Ong misero in campo navi da soccorso con equipe mediche a bordo e piccoli battelli per il monitoraggio dei flussi e la conseguente allerta alle autorità preposte al soccorso. La missione delle Ong nasceva però con la premessa limitazione nel tempo. Loro intendevano supplire mentre sensibilizzavano l’opinione pubblica europea fino all’ottenimento dell’apertura dei flussi migratori con canali umanitari e legali. Ovviamente nessuno Stato europeo si attivò mai perché nei Paesi africani “amici” si aprissero uffici e Consolati presso i quali chiedere un visto per l’Unione europea. I migranti continuavano quindi a partire clandestinamente, affidandosi ai carnefici libici, perché l’Unione europea gli negava – e gli nega ancora oggi – l’opportunità di viaggiare con mezzi legali e sicuri.

Le Ong, che con le loro navi furono per qualche anno il miglior alleato di Guardia Costiera e Marina Militare nella ricerca e soccorso, d’un tratto divennero un nemico da combattere. La stessa Guardia Costiera, che prima ne faceva ausilio in mare, iniziò ad essere l’ispettore in cerca di lampadine fulminate a bordo da sanzionare e le Procure si misero a caccia di metodi di smaltimento degli indumenti dei migranti dopo lo sbarco. Tutto pur di perseguirli. Una campagna mediatica, piuttosto schizofrenica, si prestò a rendere le Organizzazioni non governative ed umanitarie delle associazioni criminali agli occhi dell’opinione pubblica. Perfino Medici Senza Frontiere venne additata come una associazione a scopo di meschino lucro sulla pelle dei migranti nel Mediterraneo centrale. Nessun riferimento veniva però preso in merito alle altre missioni umanitarie delle stesse Ong, i cui volontari rischiavano e continuano a rischiare sequestri, contagi di Ebola e bombe “amiche” sulla testa. Era una campagna di pura propaganda, ma ripetendo la menzogna ogni giorni cento volte se ne convinse l’opinione pubblica. Un ruolo fondamentale perché gli italiani si ipnotizzassero con la fake news virale lo giocò il sedicente Governo di centrosinistra che, d’un tratto, si scopri paladino nazionale contro l’invasione del “piano Kalergi” o di qualche altra idiozia simile. Forse voleva disinnescare l’avanzare degli estremismi di destra che, già al tempo, avevano perfino armato una nave – la nave “identitaria” C-Star – per fronteggiare le navi Ong, ma il risultato fu un palese spianare la strada a quella stessa destra estremista che trovava nel migrante il proprio capro espiatorio ideale. Il proprio “uomo nero” con cui spaventare le masse. Propaganda peraltro alimentata da tutta la politica nazionale: destra, sinistra e centro.

L’arrivo del cosiddetto “governo del cambiamento” portò con sé l’estremismo e le basi per la dittatura. Una gravissima regressione costituzionale per l’Italia che, se pur in difficoltà, era un modello di democrazia blindata in favore del suo popolo. Una democrazia blindata dalla sua stessa Costituzione, capace perfino di sventare, con i propri stessi articoli, la drastica riforma della Carta che il governo di sedicente centrosinistra aveva tentato. Il migrante, confuso con facilità con quello strumento meschinamente creato in laboratorio oltreoceano che è il terrorista islamico, è strategico e funzionale all’instaurazione di una dittatura. Perché un popolo accetti una dittatura serve la paura di un nemico e la conseguente volontà di affidarsi ad una “forza” alla quale si concede più poteri di quanti previsti dalla Costituzione e per la quale si rinuncia anche a parte della propria libertà personale. Migranti e Ong divennero quindi un nebuloso ed indistinto nemico da combattere grazie alla confusione resa possibile dai mass media sulla cattiva gestione dell’accoglienza. Per combatterlo sono state proposte come le sacre Tavole dell’alleanza dei decreti legge in evidente violazione della Costituzione e del Diritto internazionale. Contro questa politica si sono schierate le Ong che, ottemperando alle norme internazionali riconosciute anche dall’Italia, hanno opposto resistenza sollevando loro malgrado il conflitto tra i trattati internazionali ed i decreti nazionali.

Una percentuale di italiani approva le politiche dure dell’uomo forte che “tira dritto” e “se ne frega”. Le approva perché queste vengono proposte come iniziativa a tutela degli italiani e ad ogni costo. Così, in pieno caos – come sempre è avvenuto nella storia dell’umanità – da sottomissione e sfruttamento del popolo, arriva l’autoincensato salvatore della Patria che le mette un piede sulla testa per schiacciare definitivamente ciò che della Patria rimane. Il popolo plaude al leader che promette l’inattuabile e se ne ubriaca. Il popolo appassionato gli perdona anche il mancato mantenimento delle promesse, i capricci personali e gli abusi, e gli accorda perfino la corona d’alloro quando egli priva lo stesso popolo dei propri diritti. Tra i diritti negati c’è quello di dissentire, di protestare, di insorgere se il popolo si rende conto d’essere stato truffato e sottomesso. Una privazione concessa in un breve periodo di tempo, ma che cancella decenni di lotte e sacrifici di generazioni che hanno conosciuto quello che era prima l’assenza di diritti. Così ci si ritrova davanti ad uno stabilimento, per fare un esempio recentissimo e pratico, cui viene concesso di violare la legge per legge deroga. Viene quindi concesso di continuare ad avvelenare le persone che vivono nelle vicinanze, di ucciderle. Malgrado le promesse fatte a quelle persone prima delle elezioni, adesso lo stabilimento è al sicuro perfino dalle denunce. Se per tale intollerabile affronto quella popolazione dovesse insorgere si troverebbe davanti i manganelli a tutela del padrone invece che del popolo. E, colpo di coda della nuova dittatura, se questo popolo minacciato quotidianamente di morte dovesse decidere di non accettare il manganello del padrone andrebbe perfino in carcere per qualche anno.

L’ubriacatura da salvatore della patria, sia esso metaforicamente il maiale della Fattoria degli animali di George Horwell o un amante delle camicie nere ben stirate, induce i suoi seguaci a proteggerlo fino all’assurdo. Fino a pensare che una maggioranza netta del popolo italiano gode nell’essere complice del “vicescafista” che con il proprio criminale operato minaccia la sicurezza della propria stessa nazione. Delirio di massa, allucinazione collettiva di un 30% della popolazione nazionale secondo cui il vicino di casa è un “buonista”; intendendo tale definizione come analoga a “soggetto che attenta alla sovranità nazionale mettendo a rischio l’incolumità del popolo”. Il buonista è un nemico, il giornalista che racconta i fatti è un nemico se i fatti narrati riguardano ciò che la censura ha deciso che non si devono neanche nominare, il costituzionalista è un nemico, il comunista – se anche esistesse ancora – è un nemico anch’esso perché sposa la causa della distribuzione dei diritti e degli averi e non quella dei poteri straordinari in mano ad una sola persona. Tutti quelli che non sono d’accordo con il potere dittatoriale sono dei nemici e vanno schiacciati. E per farlo ci sono agenti delle forze dell’ordine pronti a formulare minacce di stampo mafioso come “adesso sappiamo dove abiti” e privati cittadini pronti a colpire in modo squadrista, come un fascio. Ma la repressione ha sempre prodotto una resistenza, anche questo fenomeno reperibile sui libri di storia. E tanto più violenta è la repressione del tiranno, tanto più si fa organizzata e precisa la reazione della resistenza. Ma questa è e rimane una storia di violenza, di guerra civile, di caduti da entrambe le parti. Una storia tra l’altro recente, che in Italia si ricorda bene anche perché ancora vivi sono molti dei protagonisti. Sarebbe senza alcun dubbio meglio capire che leggere e comprendere ciò che sta accadendo è più importante che unirsi e picchiare pensando di stare dalla parte dei buoni.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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