Intelligenza emotiva, cultura e salute

I bambini, soprattutto i più piccoli, hanno spesso delle paure immotivate, irrazionali. Una di queste è la paura del buio. Il buio mentre sono da soli, a letto nella loro cameretta, si popola di fantasmi o di mostri e questa fantasia è vissuta così intensamente da diventare nella mente del bambino una spaventosa realtà, che genera paura. La paura è nel bambino un’emozione incontrollata, perché naturalmente non ha ancora imparato a riconoscere e a gestire le proprie emozioni. L’intervento dei genitori e la luce accesa fanno scomparire i mostri e lo aiutano a riconsiderare e a rimuovere quell’emozione: la paura.

I bambini, soprattutto i più piccoli, hanno spesso delle paure immotivate, irrazionali. Una di queste è la paura del buio. Il buio mentre sono da soli, a letto nella loro cameretta, si popola di fantasmi o di mostri e questa fantasia è vissuta così intensamente da diventare nella mente del bambino una spaventosa realtà, che genera paura. La paura è nel bambino un’emozione incontrollata, perché naturalmente non ha ancora imparato a riconoscere e a gestire le proprie emozioni. L’intervento dei genitori e la luce accesa fanno scomparire i mostri e lo aiutano a riconsiderare e a rimuovere quell’emozione: la paura.

L’ignoranza emotiva è normale nel bambino, perché solo con l’aiuto dei genitori, crescendo e vivendo nuove esperienze, potrà arrivare a percepire, elaborare e gestire correttamente le proprie emozioni.

Non altrettanto normale è invece in un adulto che, anziché rimuovere i mostri, i fantasmi, anziché cercare di capire la realtà, coltiva paure irrazionali verso situazioni o persone vissute come pericoli, minacce alla propria persona o al proprio gruppo.

L’ignoranza emotiva alimenta

la paura e la paura può degenerare

in odio e violenza.

E i mostri diventano gli altri, quelli che sono diversi, perché hanno un colore diverso della pelle, perché non parlano la nostra stessa lingua, perché credono in un altro dio, o perché hanno un diverso orientamento sessuale. Tutto quello che non si riesce, non si vuole capire diventa così un pericolo, un nemico da combattere. Queste fobie irrazionali e insensate vengono facilmente alimentate e strumentalizzate nell’attuale contesto sociale e politico e gli esempi sono purtroppo all’ordine del giorno. Se la paura, in fase iniziale, è inconsapevole, e si può superare solo con la conoscenza, alimentare la paura comporta un pericolosissimo rischio sociale, che conduce all’aggressività e all’odio.

Nessuno nasce odiando.

Si odia perché si impara a odiare,

perché qualcuno insegna a odiare.

Il bambino bianco non ha paura del bambino nero

La cattiveria, l’odio sono espressioni di un profondo malessere emozionale, oltre che di una scarsa capacità di relazione con gli altri, ma anche di una mancanza di cultura. Al contrario, benessere emozionale e cultura sono componenti fondamentali dello stato di salute, intesa in senso globale come star bene con se stessi e con gli altri.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) già nel 1993 ha inserito la gestione delle emozioni, cioè quella che viene definita “intelligenza emotiva”, fra le life skills, cioè quelle abilità che sono indispensabili per vivere.

Ma che cos’è l’intelligenza emotiva? Il termine è stato coniato nel 1990 da due psicologi, Peter Salovey e John D. Mayer, tuttavia  in Italia si è diffuso con la pubblicazione del testo di Daniel Goleman “Intelligenza emotiva. Che cos’è, perché può renderci felici” nel 1997.

L’intelligenza emotiva è la capacità di percepire, comprendere, esprimere e gestire correttamente le proprie emozioni, ma anche di recepire le emozioni degli altri. Questo processo inizia già nel bambino ed è importantissimo per la crescita intellettiva e sociale della persona, per la sua salute in senso globale. Alla base dell’intelligenza emotiva c’è l’empatia, cioè la capacità di immedesimarsi nell’altro, di comprenderne lo stato emozionale, di condividerne i sentimenti, di vedere la realtà dalla sua prospettiva. Ma si può comprendere l’altro solo se si comprende se stessi. E si può comprendere l’altro solo con l’ascolto e il rispetto. Tutto questo presuppone un percorso, non solo intellettuale, ma anche culturale.

La cultura è un processo di crescita personale, intellettuale e morale, che non implica necessariamente l’istruzione, anche se questa ha un peso determinante, quanto piuttosto la riflessione, la capacità di interpretare la realtà che ci circonda e di darvi significati, e di rivedere questi significati. E’ pertanto un percorso continuo di autocritica, un mettersi in discussione alla luce di nuovi avvenimenti e della relazione con gli altri. La cultura implica necessariamente apertura mentale e disponibilità al cambiamento. Se il livello di istruzione è una componente importante della cultura, tuttavia la mancanza di istruzione non può e non deve essere un alibi né essere addotta come spiegazione sbrigativa di episodi di intolleranza o di odio sociale. Attribuire all’ignoranza questi fenomeni è troppo semplice e non risolve il problema.

Il rapporto tra poteri dominanti e ignoranza è oggi sempre più stretto, a scapito della crescita culturale, della democrazia, del benessere sociale e della libertà, elementi basilari per la salute individuale e collettiva.

Il diritto di sapere, di conoscere,

è parte integrante del diritto alla salute.

La cultura è un diritto e non è un lusso, qualcosa di superfluo. La cultura permette di alimentare i dubbi, di porre domande e cercare risposte, di analizzare criticamente la realtà che ci circonda, di elaborare idee personali e interiorizzare valori, senso etico.

L’ignoranza dilagante è intenzionale, è uno strumento di manipolazione di massa delle coscienze che genera discorsi e posizioni violente, irrazionali, antisociali. Dall’ignoranza nasce il malessere sociale, ma anche individuale.  

Scrive Andrea Camilleri in “Una voce di notte”: L’italiani non amano sintiri le voci libbire, le virità disturbano il loro ciriveddro in sonnolenza perenni, preferiscino le voci che non gli danno problemi, che li rassicurano sulla loro appartenenza al gregge”.

Ma l’ignoranza non è una condizione inevitabile:

non si nasce ignorante, ma si impara a esserlo.

E non basta l’istruzione per non essere ignorante.

Perché per essere ignorante bisogna scegliere di non sapere, anche se non sempre coscientemente, comunque decidere di non conoscere, di non porsi domande, di non avere dubbi o perplessità, di non impegnarsi per cambiare, per migliorarsi. In poche parole questa è la differenza tra vivere e lasciarsi vivere.

Mettere in discussione un’opinione più o meno subdolamente imposta, accettata in maniera acritica, come scontata,  può creare preoccupazione, ansia, destabilizzare. E’ più comodo evitare ogni confronto, ogni dialogo, anche una faticosa autocritica. E qui entra in gioco l’intelligenza emotiva di cui abbiamo parlato. Cullarsi nella propria ignoranza rappresenta una via comoda per evitare l’incertezza, la paura di uscire dal territorio noto del proprio “gregge”. Perché la crescita individuale è un percorso lungo e faticoso, non privo di ostacoli, i cui sforzi servono per migliorare se stessi a livello intellettuale, morale, fisico e spirituale. Per acquisire padronanza di sé, prendere coscienza, pensare con la propria testa,  avere un atteggiamento flessibile e aperto di fronte a nuove prospettive.

Elementi che minano la crescita personale sono la mancanza di curiosità  e la ripetitività. La cultura implica curiosità e apertura al nuovo. Rimanere sempre nello stesso contesto, frequentare le stesse persone, avere sempre gli stessi punti di vista e opinioni, non fanno altro che addormentare la mente e spegnere la capacità di allargare il proprio spettro emotivo e cognitivo.

La cultura è fondamentale per la crescita personale, per lo sviluppo della spiritualità, intesa come la consapevolezza di ciò che nella vita è davvero importante, e del senso etico, cioè quell’insieme di valori su cui poggia la nostra esistenza e il nostro modo di porci nei confronti degli altri .

La cultura è benessere psicologico e salute mentale, ci consente di capire meglio la realtà e di adattarci al meglio al mutare delle circostanze. La cultura migliora la convivenza civile tra le persone.

Ma come possiamo definire la salute  intesa come benessere psicologico? Il benessere psicologico ingloba un insieme di percezioni che si riferiscono a come giudichiamo la nostra vita a livello globale, è star bene con noi stessi e con gli altri, è essere in grado di pensare e decidere con la nostra testa,  è saper gestire le nostre emozioni e  avere capacità di empatia e disponibilità verso gli altri. La salute psicologica è la consapevolezza di poter scegliere, la consapevolezza della nostra indipendenza personale ed emozionale, della nostra capacità di resistere alle pressioni sociali, di non  lasciarci guidare dalle opinioni altrui, di non dipendere da quello che dicono o pensano gli altri.

La cultura migliora la salute psicologica

e questa migliora la qualità di vita

e aiuta a prevenire possibili disagi

nel rapporto con noi stessi e con gli altri.

Informazioni su Franca Regina Parizzi 27 Articoli
Nata a Milano il 15.12.1947, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1972 presso l’Università degli Studi di Milano con voti 110/110 e lode. Nel 1974 è stata assunta presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, inizialmente come Assistente nel Reparto di Malattie Infettive e successivamente, dal 1980, nel Reparto di Pediatria, divenuto nel 1983 sede della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, ove ha ricoperto successivamente (dal 1988) il ruolo di Aiuto Corresponsabile Ospedaliero, e, dal 2000, di Dirigente Medico con incarico di Alta Specializzazione. Ha conseguito la Specializzazione in Malattie Infettive e successivamente in Chemioterapia, entrambe presso l’Università degli Studi di Milano. Nel 1977 e 1978 è stata responsabile del Reparto di Pediatria presso l’Hôpital Général de Kamsar (République de Guinée – Afrique de l’Ouest) nell’ambito della Cooperazione Tecnica con i Paesi in via di sviluppo del Ministero degli Affari Esteri italiano. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e relatrice in diversi convegni (nazionali e internazionali). Dal 2010 si è trasferita da Monza a Lampedusa, isola alla quale è profondamente legata, dove esercita tuttora la sua attività come pediatra.

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