Il voto non è per sempre come i diamanti

Editoriale di Mauro Seminara

In Italia, quando giunge la fatidica ora di recarsi alle urne, il panico pervade l’elettore che sembra chiamato a scegliere in consultazione referendaria tra Repubblica e Monarchia. Una decisione definitiva. Quello che quindi sembra sfuggire all’elettore medio è che, come da dettato costituzionale, ogni cinque anni si vota per le politiche. Ogni cinque anni. Un dettaglio non irrilevante. Significa che il popolo “sovrano” ha l’opportunità di scegliere, di confermare o di cambiare la maggioranza di governo. Si vota, si concedono cinque anni perché questa maggioranza eletta possa completare un percorso parlamentare, con le proprie leggi in ottemperanza al programma elettorale, e se le condizioni di vita popolari sono poi peggiorate si congedano i politici erroneamente eletti. Nel caso in cui si percepiscono invece benefici dalla legislatura, si ha l’opportunità di votare per concedere un ulteriore mandato di cinque anni a parlamentari e Governo. È, o dovrebbe essere, la cosa più semplice e logica in una democrazia. Il partito propone una ricetta, il popolo decide quale ricetta trova più utile e credibile, il popolo si fa elettore e conferisce un mandato, il partito eletto procede con l’attività necessaria al miglioramento delle condizioni socio-economiche del popolo.

In Italia, ogni sera c’è un bel programma di approfondimento politico. Non solo adesso che ci troviamo a quattro giorni dal voto, ma tutto l’anno con unica eccezione del periodo estivo e vacanziero. Ogni sera leader politici si confrontano sui temi caldi che affliggono il Paese. Oltre al linguaggio “qualunquemente, convintamente, neologisticamente”, in scena vanno concetti come il classico “riteniamo che bisogna fare…” pronunciati proprio da chi era stato chiamato a fare e che invece si presenta come colui che lancia un accorato appello. Gli italiani ascoltano, si dividono sulle diverse idee, tifano, si incazzano e si acquietano con gli applausi che premiano in studio il loro paladino della sera. Poi, però, nulla si muove. Poi, alla fine del mese, le chiacchiere televisive non hanno cambiato il peggioramento delle condizioni economiche e sociali. Nel resto del mondo civilizzato, in cui una parvenza di democrazia ancora esiste, la situazione è sensibilmente diversa. In Germania, giusto per fare l’esempio di una nazione in cui si lavora meno ore a settimana e si guadagna molto di più al mese ma si va in pensione alla stessa età in cui ci si va in Italia, il Governo ed i capi partito non hanno il tempo per andare ogni sera in Tv e neanche ai tedeschi interessa ascoltarli quotidianamente. Perché, premesso che per non fare terribili figuracce in diretta nazionale bisogna studiare molto il dibattito che si va ad affrontare, e se si studia un confronto televisivo non si studiano i reali problemi del Paese o se ne ha meno tempo, in Germania non sanno proprio cosa farsene delle chiacchiere su cosa il Governo vorrebbe fare o su come intendono legiferare. Perché come intendono migliorare la Germania lo hanno detto prima del voto ed adesso devono solo metterlo in atto. I tedeschi scelgono poi alla fine del fatidico mese. Se hanno perso dieci euro di potere d’acquisto o altri diritti e benefici, a fine mandato quel partito e quel Governo verranno mandati a casa con una X sulla scheda elettorale. Se il loro stile di vita è migliorato ed il loro potere d’acquisto è aumentato anche solo di un euro, allora ci saranno buone probabilità di conferme.

In Italia si decide sulla base della simpatia e del punteggio con cui un politico ha vinto la sfida televisiva contro il proprio avversario. In Germania si decide sulla base delle capacità del politico e di quello che è stato in grado di fare. In Italia non è necessario riuscire a farle le cose che erano state promesse in campagna elettorale, perché tutto sommato gli italiani non licenziano mai nessuno. Dalla disfatta della cosiddetta “Prima Repubblica”, gli italiani hanno visto un continuo, progressivo ed inesorabile deterioramento delle proprie condizioni di vita. I sindacati non si comprende più cosa facciano, se non convincere il lavoratore che tutto sommato l’offerta del datore di lavoro di utilizzare la vaselina non è male. I salari sembrano fermi alla Prima Repubblica mentre nel frattempo è arrivato l’euro e la tecnologia indispensabile con i suoi costi aggiuntivi ed il costo della vita in generale ha raggiunto livelli insostenibili. La sanità pubblica è peggiorata fino ad un prossimo abdicare ufficialmente in favore di una ufficiale privatizzazione. La giustizia in Italia non esiste. Punto. Eppure domenica gli italiani sceglieranno tra Forza Italia – rispolverata dopo il PDL direttamente dall’armadio degli anni novanta – e Lega alleata, tra il fallimentare Matteo Renzi e alleati highlander come Pierferdinando Casini, tra Massimo D’Alema e sodali d’altri tempi. Ma cosa non comprendono gli elettori italiani è davvero di difficile comprensione. La lenta agonia preferita al cambiamento. Si cambia per migliorare e per costringere chi governa il Paese a produrre solo risultati positivi se non vuol tornare a casa con un bel democratico calcio nel sedere. Ma gli italiani sono pronti a dare il voto al partito di Berlusconi – lui non può neanche votare, figuriamoci candidarsi – pur non avendo nulla di positivo da ricordare dei suoi vari periodi di governo. Oppure a Renzi, pur avendolo malamente menato con il referendum del 4 dicembre del 2016 ed avendo solo fallimentari riforme da ricordare sul suo periodo di governo, come il Jobs Act e la Buona Scuola.

In Italia sembra – e forse così è per gli elettori – che se si vota un partito perché abbia la maggioranza ed esprima un Governo, questo poi resterà in Parlamento per il resto dei giorni e fino al giudizio divino. Gli italiani non provano il cambiamento ma scelgono sempre il “male minore”. La lenta agonia. Con chi muoio più tardi? Ecco, allora voto per questi! Infine, sembra che agli italiani sfugga proprio il contenuto della nostra Costituzione. Quella che il mondo democratico ci invidia e copia. Quella che banche d’affari come J.P. Morgani odiano tanto perché ancora e malgrado tutto riesce a proteggerci. La Costituzione italiana prevede che il Governo sia solo un Consiglio esecutivo e che il Paese venga guidato dal Parlamento, unico vero potere legislativo. Vero, gli italiani sono ormai assuefatti al Governo che legifera mediante Decreti Legge blindati da voto di fiducia, ma questa è solo una brutta anomalia. Ciò che gli italiani davvero eleggono è la maggioranza parlamentare con il suo programma elettorale. Non il Governo. In Italia non esiste neanche il candidato premier, non lo si può votare, e se qualcuno lo propone in anticipo è solo una cortesia usata agli elettori. La “stabilità di Governo” è solo la vera ed unica fake news che i social dovrebbero censurare. Niente altro. La stabilità di un Paese è data dalla solida maggioranza in Parlamento, Camera e Senato, e dalle iniziative che questa maggioranza trasforma in Legge. Una accozzaglia di partiti e partitini uniti solo per vincere le elezioni e che poi litigheranno su tutto, già dalle poltrone di Governo da spartirsi come per le presidenze di Commissioni parlamentari, non produrrà mai riforme utili al popolo. Non riusciranno mai a mettersi d’accordo, e la storia lo dimostra. Ma in Italia questo concetto non riesce a fare breccia. In Italia un voto è per sempre, e quindi meglio essere cauti evitando saggiamente il cambiamento che gli stessi italiani invocano. Questa volta però siamo davvero al voto eterno. Perché la maggioranza che si formerà in Parlamento, sia essa di sedicente centrosinistra o centrodestra, potrebbe essere quella che compirà gli ultimi passi verso la completa privatizzazione dello Stato. Questa è l’unica cosa che conta. L’unica!

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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