Israele cambia (anche) le sorti della guerra in Ucraina

Biden incassa con ineludibile imbarazzo il viaggio in Israele ed annulla incontri in Medio Oriente. Putin da Xi Jinping chiude un più ampio e solido accordo bilaterale su commercio e politica esteri di Russia e Cina. Gli Stati Uniti ripiegano sul Sud America tendendo la mano a Maduro con revoca delle sanzioni sul petrolio del Venezuela. Alleati americani in Asia e Medio Oriente sempre più isolati e difficili da difendere

di Mauro Seminara

Le guerre, tutte, generano crisi ma anche grandi opportunità speculative. Dietro i conflitti in Ucraina e Palestina ci sono movimenti geopolitici gravi e colossali scommesse sulle quotazioni delle risorse strategiche. L’apertura della crisi tra gli estremisti di Nethanyahu per Israele e gli estremisti di Hamas per la Palestina ha posto, oltre che la guerra in Ucraina in secondo piano, la Russia in una posizione estremamente favorevole sullo scacchiere internazionale. L’alleanza atlantica sa di non poter davvero condannare Israele, ma queste mani legate rivalutano totalmente la posizione della Russia in qualità di aggressore dell’Ucraina.

In pochi giorni Israele è stata accusata di aver usate munizioni al fosforo bianco e di aver distrutto un ospedale. Crimini di guerra gravi e spropositati come reazione di uno stato civile e democratico ad una subìta azione terroristica. Una violenza tale, quella israeliana, da far sembrare quasi garbata la conduzione del conflitto ucraino da parte di Mosca. Consapevole di questa opportunità è il presidente russo Vladimir Putin che, appena qualche giorno fa, ha commentato il conflitto in Medio Oriente in favore della Palestina ed auspicandone il riconoscimento globale quale stato libero ed indipendente quale unica via risolutiva.

Una formula, quella dell’indipendenza – ragionevole – proposta da Putin, che risolverebbe con analogo modello la contemporanea crisi ucraina con il riconoscimento di stati indipendenti ai territori contesi. Fermo restando che alla base di qualunque opportunità di negoziato permane, e sempre resterà, la smilitarizzazione dell’Ucraina ed un trattato che ne sancisca la completa e permanente neutralità. Un colpo di scena quindi, quello mediorientale, che potrebbe cambiare le sorti in due diverse aree di crisi coinvolgendo anche riassestamenti collaterali su altro genere di crisi internazionali. Non stanno parlando soltanto le armi ma anche il denaro.

Mentre il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, infila un brutto viaggio in Medio Oriente con incontri annullati e imbarazzo nella foto (poco) opportunity con Benjamin Nethanyahu dopo la strage dell’ospedale di Gaza, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, si reca a Pechino per un lungo e proficuo incontro riservato con il presidente cinese Xi Jinping dal quale escono due leader ed un importante accordo bilaterale che investe la geopolitica, il commercio e la linea politica sulle guerre in atto. Come se d’un tratto, risvegliandosi da un periodo di oblio, simile ai momenti di “assenza” del loro presidente ma molto più lungo, gli Stati Uniti si stiano rendendo conto di una serie di variabili di cui non avevano tenuto conto e che si stanno inquadrando a loro svantaggio.

La Russia non si è piegata sulle ginocchia per le sanzioni, ma ha aperto le porte al mercato asiatico senza colpo ferire. La Cina ha aperto le porte alla Russia, ma soprattutto al suo gas, trovando così quella spinta industriale che fino ad inizio 2022 dava benefici di competitività all’Europa mentre l’industria cinese arrancava sotto pressioni internazionali per l’inquinamento ambientale. Il Medio Oriente ha trovato un riferimento geopolitico sovrapponibile a quello geografico, molto più efficace anche sulla difesa militare, con l’alleanza asiatica causata dalla brutta partita giocata dalla Nato in Europa. Iran, Siria, Cisgiordania, Libano, acquistano sicurezza nello scontro, da sempre bipolare e tra potenze militari non equiparabili, e forniscono così uno scenario di guerra troppo diffuso per una alleanza occidentale già in affanno sugli “aiuti militari” all’Ucraina.

Non sono da meno paesi come il Giappone, la Corea del Sud e – soprattutto – Taiwan che rimangono sull’immenso continente asiatico isolate piccole minoranze. Non a caso la Turchia, tornando sul fronte mediorientale, da inizio crisi ucraina cerca di tenere rapporti equidistanti tra l’alleanza di cui fa parte ed il continente in cui si trova. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha infatti mediato le rispettive diplomazie sia in Ucraina che in Palestina. L’innesco intavolato dal Patto Atlantico – ormai una leadership e tanti gregari agli ordini – ha quindi ribaltato il tavolo e adesso gli Stati Uniti si trovano costretti a rivedere la loro aggressiva politica estera in Sud America.

Mentre Biden ha incassato un duro colpo in Medio Oriente, mentre Putin ha incassato una salda intesa in Cina, gli Stati Uniti hanno revocato due fondamentali sanzioni al Venezuela. Il paese sudamericano, grande produttore di petrolio, era stato sanzionato in modo asfissiante nel 2019, al tempo dell’amministrazione USA di Donald Trump, a ridosso di un mancato golpe con l’intera Alleanza Atlantica pronta a riconoscere nuovo legittimo presidente quel Juan Guaidò poi esiliato negli States. Adesso, quando il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha accertato che le uniche alleanze utili per il suo paese erano quelle con la Russia, la Cina e che il destino del Venezuela non poteva che essere nei cosiddetti BRICS, la Casa Bianca tende una mano proponendo la revoca delle sanzioni su estrazione e commercio del petrolio in cambio della garanzia di nuove democratiche elezioni per il governo di Caracas entro la fine del 2024.

Questi sono appena alcuni degli effetti causati dal sovrapporsi di due concomitanti ed opposti conflitti: da una parte quello in Ucraina tra la Nato e la Russia che ha visto coesa – ma a tratti poco convinta – l’alleanza atlantica mentre il resto del mondo (circa due terzi del globo) non interveniva ma non condannava la Russia mentre “gli alleati” recitavano la parte dei buoni; dall’altra quello in Palestina tra Israele e Hamas con l’alleato atlantico che commette illegittimi ed immotivati crimini di guerra contro quello che gli atlantici non riconoscono ma che per la quasi totalità dell’Asia, dell’Africa e del Sud America è lo Stato di Palestina. Posti questi grandi pesi contrapposti sui piatti della bilancia, l’equilibrio globale adesso è molto diverso da quello che sembrava essere nel corso della sola campagna anti Russia in Ucraina ed è alquanto improbabile che tutta la Nato in massimo spolvero possa comunque sostenere una così estesa guerra, fredda o calda che sia.

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