Il senso di Erdogan per le donne

Attualmente in Turchia ci sono oltre 50.000 persone detenute per attività non violente di dissenso politico. E’ curioso che l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza si sia recato a Mosca per chiedere la liberazione del “dissidente” Navalny, condannato per un reato comune, mentre non abbia battuto ciglio per i 50.000 “dissidenti” soavemente torturati nelle carceri turche

di Domenico Gallo

Dopo aver annunziato il ritiro sabato 20 marzo, questa settimana il Presidente Erdogan ha firmato il decreto che statuisce il ritiro della Turchia dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, più nota come Convenzione di Istanbul perché qui fu firmata l’11 maggio del 2011.

La Convenzione prevede, tra l’altro, il sostegno alle donne vittime di violenza, il risarcimento danni in sede civile, il divieto del matrimonio forzato, la lotta alla violenza psicologica e fisica, allo stalking, alla violenza sessuale, alle mutilazioni genitali femminili, alle molestie sessuali. Si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza.

La Convenzione interviene specificamente anche nell’ambito della violenza domestica, sviluppando i principi della CEDAW (Convenzione Onu del 1979 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne) che è universalmente riconosciuta come una sorta di Carta dei diritti delle donne.

L’annunzio della fuoriuscita ha provocato un immediato moto di protesta  delle donne delle principali città della Turchia e indignazione nell’opinione pubblica occidentale. In questo modo la Turchia ha compiuto un ulteriore passo lungo il sentiero infernale del ripudio dei diritti umani e delle conquiste della civiltà del diritto, intrapreso a partire dal presunto colpo di Stato del 16 luglio 2016.

Il primo girone è quello dedicato allo smantellamento accanito e violento delle garanzie dello Stato di diritto, a partire dall’indipendenza della Magistratura. Nel giro di poche settimane, dopo il presunto golpe, sono stati rimossi dal servizio 4.560 giudici e pubblici ministeri, alcune migliaia dei quali sono stati arrestati. I giudici rimossi sono stati sostituiti da circa 11.000 nuovi  magistrati, fedeli al regime islamico-fascista instaurato da Erdogan.

In questo girone rientrano anche le persecuzioni degli avvocati con centinaia di arresti, compreso il presidente dell’Associazione degli avvocati progressisti (ÇHD). Nel secondo girone c’è l’attacco alla libertà di stampa e ai media indipendenti e alle strutture politiche con l’arresto di più di 300 giornalisti, la chiusura di centinaia di radio e siti web, l’arresto o la destituzione di decine di sindaci eletti con l’HDP (il Partito democratico dei popoli filo curdo). Nel terzo girone c’è l’attacco alla cultura e alle strutture educative, con le purghe massicce a carico di insegnanti di scuole ordinarie e di professori universitari, che hanno colpito 28.000 dipendenti del Ministero dell’Educazione e circa 5.000 docenti universitari.

Attualmente in Turchia ci sono oltre 50.000 persone detenute per attività non violente di dissenso politico. E’ curioso che l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza si sia recato a Mosca per chiedere la liberazione del “dissidente” Navalny, condannato per un reato comune, mentre non abbia battuto ciglio per i 50.000 “dissidenti” soavemente torturati nelle carceri turche.

Adesso con il recesso dalla Convenzione di Istanbul è stata compiuta un ulteriore svolta nel percorso verso la barbarie, siamo entrati nel quarto girone. A fronte della violenza dell’attacco repressivo contro le garanzie dello Stato di diritto, contro la cultura, contro la libertà di pensiero, potrebbe apparire un fatto secondario il disimpegno formale da un trattato sui diritti umani che nessuno potrebbe costringere la Turchia a rispettare. Invece la questione non è affatto secondaria proprio per il valore simbolico di questo gesto che esprime una forma di disprezzo ufficiale, di Stato, per il diritto alla vita, all’indipendenza e alla libertà delle donne. Disprezzo che è stato a lungo coltivato in fatto, adesso anche in diritto.  

Informazioni su Domenico Gallo 78 Articoli
Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 è in servizio presso la Corte di Cassazione, attualmente ricopre le funzioni di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019)

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