Maxi-processo alla ‘ndrangheta, blindato alla stampa ed all’opinione pubblica

Al via il primo maxi processo alla 'Ndrangheta con 325 imputati, 600 avvocati, 58 collaboratori di giustizia e 913 testimoni. Vietate registrazioni audio, video e fotografiche. La stampa estera interessata al colpo che subisce la potente mafia internazionale calabrese più della stampa nazionale italiana. Un giornalista francese sprona i colleghi a reagire alla censura mediatica del processo ma senza risultato

I giudici all'interno dell'aula bunker di Lamezia Terme per la prima udienza del processo "Rinascita Scott" che vede alla sbarra la 'Ndrangheta e le sue presunte affiliazioni

di Alessio Tricani e Mauro Seminara

Nella nuova aula bunker italiana, quella di circa tremila metri quadrati realizzata a Lamezia Terme, prende il via oggi il primo maxi-processo alla ‘Ndrangheta, la mafia calabrese che con il passare dei decenni è diventata una delle mafie più potenti e ramificate, anche all’estero, su scala internazionale. Con l’indebolimento di Cosa Nostra (la mafia siciliana), della Camorra (Campania) e delle altre cosche locali italiane a causa di processi e pentiti oltre ad una attenzione mediatica che le ‘ndrine calabresi non hanno forse mai avuto, la mafia nata in Calabria ha scalato il potere in modo trasversale raggiungendo posizioni apicali su tutto il territorio nazionale e divenendo una delle organizzazioni mafiose più temute e rispettate dal malaffare di tutto il mondo. Oggi la ‘Ndrangheta va alla sbarra, ma a differenza del primo maxi-processo alla mafia, quello ai danni di Cosa Nostra che ebbe inizio nell’ormai lontano febbraio del 1986, degli oltre 300 imputati che lo Stato manda a processo con oggi la prima udienza pare interessare poco a chiunque.

Silenzio, le ‘ndrine non amano i riflettori accesi

L’interno dell’aula bunker di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, prima dell’inizio del maxi processo alla ‘Ndrangheta la mattina del 13 gennaio 2021

Una data storica con numeri da capogiro come quelli del processo istruito negli anni ’80 dal “Pool antimafia di Palermo”, che ebbe una risonanza mondiale impressionante, parte oggi in sordina come fosse il rinvio a giudizio di qualche taglieggiatore sparuto. Nella gigantesca aula bunker di Lamezia Terme oggi non ci saranno videocamere, fotocamere e neanche registratori audio accesi. Così ha deciso il giudice Brigida Cavasino, presidente della Corte che giudicherà oltre 300 imputati a vario titolo coinvolti in concorso esterno e diretto con la potente mafia calabrese. La stampa è entrata con accredito e adeguati controlli nell’aula bunker con facoltà di breve ripresa preventiva di rito, ma ad avvio procedimento tutto deve essere spento e rimane concesso – per fortuna almeno quello – il solo uso di carta e penna. Il primo vero maxi processo alla ‘Ndrangheta non inizia con grande attenzione da parte dell’opinione pubblica, e pare che così continuerà ad essere. A trarre vantaggio da questa impossibilità dei media di documentare il processo è per prima la ‘ndrangheta che, in caso contrario, con l’eventuale sovraesposizione mediatica che meriterebbe questo processo, potrebbe apparire indebolita o prossima a subire un grave colpo. La mafia che vantava un numero di pentiti e collaboratori di giustizia prossimo allo zero finisce infatti davanti al giudice con 58 accusatori tra pentiti appartenenti alla stessa ‘Ndrangheta e a Cosa Nostra ma anche alla malavita organizzata pugliese.

L’attenzione del mondo ma non italiano per il processo “Rinascita Scott”


Un elicottero della Polizia staziona fisso sopra l’aula bunker di Lamezia Terme durante la prima udienza del maxi processo alla ‘Ndrangheta

Tra gli accreditati al maxi processo alla ‘Ndrangheta ci sono 19 nomi, cinque dei quali autorizzati all’accesso per testate locali calabresi e otto per testate ed agenzie di stampa estere di tiratura internazionale. Risulta ben poco di nazionale italiano, e tra questi una è una produzione come Presa Diretta di Riccardo Iacona e non un telegiornale nazionale. Grandi assenti i media italiani che fanno ogni giorno milioni di lettori-spettatori orientando loro malgrado l’opinione pubblica. L’attenzione per questo primo gigantesco processo all’organizzazione mafiosa italiana che più di altre ha permeato ogni strato di società civile – e non solo – è quindi molto bassa da parte della stampa nazionale. Lo è molto di più per la stampa estera. Ma nel dubbio, per qualche ragione, la dottoressa Brigida Cavasino ha negato la possibilità di riprendere il processo, anche con videocamere in fondo alla grandissima aula bunker, e perfino di registrare l’audio del dibattimento. Perfino Radio Radicale, archivio storico nazionale di tutti i più rilevanti processi di questo Paese, non sarà in aula e non registrerà il dibattimento. Secondo quanto previsto dall’art. 147 delle disposizioni di attuazione del Codice di Procedura Penale, l’autorizzazione di riprese audio-video ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca (comma 2) “può essere data anche senza il consenso delle parti quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento” da parte del giudice con apposita ordinanza. Il processo in questione, tra l’altro, avendo diciannove testate accreditate non è un procedimento che si svolge a porte chiuse.

La mortificazione italiana arriva dalla stampa estera


L’aula bunker di Lamezia Terme con i suoi tremila metri quadrati di superficie mentre si preparano gli avvocati per la prima udienza del maxi processo alla ‘Ndrangheta

A fronte della decisione del giudice Cavasini di vietare registrazioni audio, video ed anche fotografiche nel corso del dibattimento, la levata di scudi è arrivata dalla stampa estera e non da quella italiana che, come detto, non sembrava essere granché interessata all’evento, forse perché troppo distratta da novità Covid pronunciate dal commissario Arcuri e da crisi di Governo annunciate dal già teoricamente ritirato dalla politica Renzi. In particolare, a tentare la disperata impresa di stimolare una reazione dei giornalisti italiani nella speranza di un sussulto di orgoglio professionale forse impossibile, è un freelance che lavora ad un documentario. Il giornalista in questione lo fa con una lettera che fa girare tra tutti i giornalisti che dovrebbero seguire il processo: “Carissimi Amici, mi chiamo Jacques Charmelot, e sono un giornalista francese. Sto lavorando ad un progetto documentaristico con Il gruppo Kairos S.r.L. Come voi sono toccato dalla decisione presa dal Presidente del collegio  giudiziario del Tribunale di Vibo Valentia. Penso che dobbiamo tutti insieme chiedere alla Dott.ssa Cavasino, se gentilmente, può rivalutare la sua decisione. È ovvio che il primo maxi processo alla ‘ndragheta merita di essere celebrato sotto gli occhi di tutti.  Se voi condividete , questo mio sentimento vi propongo di fare un’email comune alla Dott.ssa Cavasino chiedendo un gesto a favore delle riprese all’interno dell’aula bunker. Con affetto“. Sparo nel buio di un giornalista francese che ancora crede nella sua onorata professione ma che forse conosce poco la realtà italiana.

I numeri del processo che nessuno vedrà o ascolterà

Uno degli schermi con i videocollegamenti di imputati e collaboratori di giustizia al maxi processo alla ‘Ndrangheta che ha avuto inizio a Lamezia Terme il 13 gennaio 2021

Alla sbarra vanno 325 rinviati a giudizio a vario titolo. In mezzo ci sono uomini di fuoco delle ‘ndrine e colletti bianchi, faccendieri e prestanome. Tra gli imputati c’è, secondo quanto istruito dalla Procura di Catanzaro che ha lavorato sulle potenti cosche calabresi e sulle sue ramificazioni, tutto il sistema mafioso che in Calabria controlla la vita di tutti i calabresi in ogni singola esigenza. Al centro del processo ci sono tra gli imputati i pezzi da novanta, come gli appartenenti alla cosca di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, ma anche tra gli accusatori con il noto pentito Gaspare Spatuzza che agli ordini di quella Cosa Nostra stragista siciliana partecipò attivamente anche alla strage di via D’Amelio in cui morì il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Sono 58 i collaboratori di giustizia che sostengono i capi di imputazione istruiti, tra gli altri giudici che vi hanno lavorato per anni, dal procuratore capo della Procura della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri. Ma i 325 rinviati a giudizio, oggi rappresentati in aula da circa 600 avvocati difensori, non sono gli “unici” nel lungo elenco del duro colpo che lo Stato potrebbe assestare alla ‘Ndrangheta ma per il quale non vuole che si faccia grande pubblicità. Ci sono infatti anche altri 91 soggetti che, magari puntando alla riduzione di una pena più che probabile, hanno scelto il rito abbreviato. Per questi il procedimento avrà inizio il 27 gennaio. Ci sono poi 913 testimoni citati dai pm che sostengono l’accusa – Antonio Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso – e tra essi risultano testimoni di giustizia, militari dell’Arma e della Guardia di Finanza ed agenti di Polizia. Tra i 58 “pentiti”, oltre alle guest star delle organizzazioni mafiose di altre regioni, ci sono i collaboratori di giustizia mafiosi delle ‘ndrine vibonesi Andrea Mantella, Bartolomeo Arena, Raffaele Moscato, Emanuele Mancuso, Michele Iannello, Francesco Costantino, Giuseppe Comito, Nicola Figliuzzi, Gaetano Cannatà e Michele Camillò.

Perché il processo si chiama “Rinascita Scott”

Militari dell’Arma dei Carabinieri all’interno dell’aula bunker di Lamezia Terme per la prima udienza del maxi processo alla ‘Ndrangheta avviato il 13 gennaio 2021

Il nome con cui il primo maxi processo alla ‘Ndrangheta è stato battezzato è l’accostamento di due diverse immagini; una relativa alla condizione della regione italiana punta dello stivale e l’altra riguardante un nome di un agente che dal 2013 pretende vendetta da parte di tutte le istituzioni che onestamente lavorano per stroncare la malavita organizzata di calibro internazionale come la ‘Ndrangheta. Queste due parole d’ordine sono appunto “Rinascita” e “Scott”. La prima è, o si spera che sia, la rinascita della Calabria che si vuol liberare dal giogo della mafia che le ha tolto terreni sottomettendo gli agricoltori, che ha permeato la vita politica e sociale, che tiene in pugno la pubblica amministrazione, che tra corruzione, traffico internazionale di droga, omicidi e scomparse da “lupara bianca” ha tolto perfino l’ossigeno ai calabresi onesti che si sentono ormai privi perfino di sognare. L’altra parola, “Scott”, è il cognome dell’agente speciale della DEA (la federale statunitense Drug Enforcement Administration) Sieben William Scott. L’agente Scott indagava sul traffico di droga che legava l’Italia agli Stati Uniti e che lo aveva portato fino ai potenti narcotrafficanti internazionali della ‘Ndrangheta, ma scomparve nel nulla nel 2013 ed attualmente, dopo sette anni già trascorsi, non si ha traccia della fine che è stata destinata all’investigatore.

Un involontario favore

La ‘Ndrangheta è una delle organizzazioni mafiose più potenti al mondo, ma la storia non potrà ascoltare – come avvenne per gli imputati eccellenti del maxi processo di Palermo a Cosa Nostra – le testimonianze ed i codici arcaici di uomini senza scrupoli da stigmatizzare e studiare nel corso degli anni. Neanche la cronaca potrà mostrare chi sono questi uomini, il giorno in cui verranno eventualmente condannati, perché sono state negate le autorizzazioni a registrazioni audio, video e perfino fotografiche. Si tutelano così, si spera involontariamente, colletti bianchi e manovalanza armata delle ‘ndrine che non appariranno in ginocchio sotto il braccio armato di giustizia dello Stato che tenterà di imporre loro la Legge e far rinascere la Calabria. Intanto, alle 10:00 del 13 gennaio 2021, presso l’aula bunker calabrese di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, ha avuto inizio l’appello di tutti i 325 imputati rinviati a giudizio nel processo “Rinascita Scott”.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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