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Spreco di vite ma anche di denaro pubblico

di Mauro Seminara

Dietro la trasversale posizione politica dei porti chiusi c’è l’implicita allusione alla parsimonia di risorse pubbliche che chi Governa tutela essendo denaro dei contribuenti, quindi degli italiani. Molti italiani infatti si sentono autorizzati e legittimati nell’augurare morte orrenda ai migranti che tentano di approdare sulle nostre coste. Ora più che mai, visto che “Mors tua vita mea” trova condivisa approvazione grazie al nuovo coronavirus di cui gli italiani pensano di potersi fare beffe uscendo di nascosto o imbottigliandosi al casello per la rituale pasquetta fuori porta. La cattiveria per tutela della propria vita, a causa della pandemia di SARS-CoV-2, appare forse meno cattiva che se motivata solo per una questione di illusione economica. Ma siamo davvero sicuri che a lasciar morire le persone in mare si risparmia denaro, visto che non si risparmia certo la vita né la civiltà?

Facciamo due conti in modo pratico per provare ad osservare la cosa sotto altro punto di vista. Abbiamo al momento due navi, di piccola stazza, con a bordo persone salvate dal mare. Una si trova al largo di Palermo e l’altra al largo di Linosa. La prima ha a bordo 149 persone e la seconda ne ha 43. Sono due navi di organizzazioni non governative che hanno soccorso persone in pericolo. Nel caso della seconda, la Aita Mari, con 43 persone a bordo, la nave ha fatto quello che le avrebbero dovuto chiedere di fare le centrali di coordinamento soccorso marittimo, cioè di deviare la propria rotta per andare a cercare, ed eventualmente soccorrere, una delle quattro imbarcazioni in pericolo segnalate da Alarm Phone a brevissima distanza da malta. L’altra, la Alan Kurdi, che lunedì 6 aprile aveva salvato 150 persone, in parte sottraendole fortunosamente ad motoscafo libico armato che ha subito sparato in aria, tentato di far rovesciare il barcone e che poi è andato via lasciando alla Ong l’onere di salvare le persone cadute in mare, attende da allora che un porto sicuro europeo vicino al Mediterraneo centrale le venga assegnato come da diritto internazionale.

Il caso Alan Kurdi

La Alan Kurdi, appena avvicinatasi all’arcipelago italiano delle Pelagie

, porto sicuro più vicino dal punto di ultimo evento SAR, ha visto emanare un decreto interministeriale che sembrava quasi recare nome e cognome della nave Ong quale destinatario della misura sottoscritta dai ministeri dei Trasporti, della Salute, dell’Interno ed addirittura anche degli Esteri. Forse perchè su questo documento di scarso valore con cui si chiudeva i porti italiani alle Ong ci teneva tanto Luigi Di Maio che ci fosse la propria firma. Il documento, un “decreto interministeriale”, ha probabilmente validità utile dalla data di firma a quella di primo ricorso in Tribunale, essendo la motivazione “pandemia di Covid-19” utilizzata in modo ad navem più che discriminatorio. Quindi adesso il Ministero di prima firma del decreto interministeriale, quello guidato dalla ministra Paola De Micheli (in foto), annuncia che l’Italia sta per concludere una soluzione sostanzialmente in deroga allo stesso decreto interministeriale. La soluzione sarebbe quella di una nave con equipaggio, personale di bordo e personale sanitario, assistenti – si era già parlato prima del decreto interministeriale dell’opzione Croce Rossa – e tutto il necessario per trasbordare migranti ed equipaggio della Alan Kurdi e far fare loro un periodo di quarantena che in teoria dovrebbe finire il 20 aprile. Una operazione quindi estremamente costosa che servirebbe ad isolare Ong e naufraghi soccorsi il 6 aprile per i prossimi 6 giorni a meno che dal trasbordo non si voglia ricominciare daccapo con altri 14 giorni. Giorni ulteriori in cui si terrebbe così ferma la nave Alan Kurdi.

Esclusa quindi l’ipotesi di un porto assegnato alla nave, un isolamento di altri sei giorni – i primi otto li hanno già fatti tutti insieme proprio sulla isolatissima Alan kurdi – in una qualunque struttura alberghiera chiusa per il lockdown e nelle disponibilità dei prefetti come da disposizione del Governo per l’emergenza sanitaria. Per il Governo italiano è meglio noleggiare una nave, civile o militare, metterci a bordo personale e tutto il necessario e tenervi in quarantena persone che ancora dopo otto giorni non manifestano alcun sintomo da sospetto Covid-19. L’ipotesi della nave è allo studio anche per la comunità lampedusana che ne chiede ausilio per tutelarsi dagli sbarchi autonomi dopo il caso del giovane 15enne egiziano risultato positivo al nuovo coronavirus. Associazioni di categoria chiedono che venga impiegata una nave per evitare che l’isola debba accogliere migranti sul territorio. Non è però chiaro cosa la nave dovrebbe fare dopo le rispettive quarantene ma pare che l’unica cosa che davvero conti sia tenere le persone lontane da Lampedusa. L’idea è stata sposata in pieno dal presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, che di suo avrebbe anche già trovato armatore e nave idonea ed “attende” che il Governo nazionale firmi il contratto di noleggio.

Il caso Aita Mari

La Aita Mari è una nave simile alla Alan Kurdi della Ong tedesca Sea Eye, ma di una Ong spagnola che si chiama Salvamento Marítimo Humanitario. Ha lasciato il porto di Siracusa in cui era ferma dalla sua ultima operazione e, anche senza aver potuto effettuare il turn over del team di soccorritori e medici, ha impostato la propria rotta per andare incontro alle posizioni di barche in difficoltà indicate da Alarm Phone. Ne ha soccorsa una, con 43 persone delle quali alcune prive di sensi, altre in gravidanza ed altre ancora in condizioni non rassicuranti. Da due giorni la Aita Mari vaga tra le Pelagie (Italia) e Malta che le ha subito risposto un categorico “mai!” all’ipotesi di sbarcare a La Valletta le persone soccorse al confine con le sue acque territoriali e comunque in SAR maltese. La nave attende che qualcuno decida qualcosa, e nel frattempo ha affrontato la notte di mare appena trascorsa, non facile, ed anche la presenza a bordo di persone che hanno bisogno di assistenza ma alle quali il solo equipaggio di governo nave non può offrire. Anche in questo caso vale il decreto interministeriale firmato in capo dal ministro Paola De Micheli, ma anche in questo caso vale il rischio penale che il decreto a doppio taglio potrebbe profilare.

Le ricerche della barca scomparsa

Per tutta la notte sono andate avanti ricerche a breve distanza da Lampedusa per una imbarcazione con 55 persone che pare sia stata inghiottita dal mare. Altre 55 vittime di una ignobile omissione di soccorso internazionale. Nessuno ha mosso una motovedetta per andare incontro ad alcuna delle quattro imbarcazioni segnalate da Alarm Phone, avvistate da Frontex e monitorate in ultimo caso, questa notte, da uno stormo tra aerei ed elicotteri. Due della quattro barche sono arrivate miracolosamente incolumi in Sicilia, una è stata soccorsa dalla Aita Mari ed una è stata cercata per tutta la notte e per tutta la mattina odierna da velivoli Frontex, AFM (Malta) e della Guardia Costiera italiana. Una decina di migliaia di euro, se non più, di carburante per ricognizioni inutili se non appoggiate in ausilio da imbarcazioni pronte ad intervenire in caso di avvistamento. Ma i governi e le agenzie europee hanno deciso di osservare, non soccorrere. Anche in caso di naufragio, dal cielo si osserva e basta.

Costi economici e morali

Ad ottobre ed a novembre del 2019, prima che il mondo si addormentasse dentro lo storytelling continuo del nuovo coronavirus, a poche centinaia di metri da Lampedusa ci sono stati due naufragi. Due barche che seguivano il nuovo metodo di gestione del fenomeno migratorio: si seguono senza intervenire fino a quando non sono giunte in acque territoriali ed a quel punto, inevitabilmente, si fermano per immigrazione clandestina. Se sopravvivono. Le due barche, quella della notte tra il 6 ed il 7 ottobre e quella del 23 novembre, si sono capovolte davanti ai soccorritori della Guardia Costiera e Lampedusa ha così ricominciato a prestare camion muniti di cella frigorifera solitamente adibiti al trasporto cibo per metterci dentro i corpi putrefatti che risalivano dal mare. Sono stati impiegati uomini e mezzi, auto ed elicotteri, motovedette e piccoli motoscafi per ritrovare i corpi dei naufragi. Tempo e denaro per togliere dalla scogliera i resti di persone che si potevano salvare anche con minor dispendio di risorse economiche ed energie. Camion, bare spedite da Roma, personale, immagine dell’isola e soprattutto corpi, ormai straziati dal mare e dagli scogli, che sono rimasti per settimane in luoghi inadeguati prima che si trovasse dove farli seppellire mediante trasferimento in nave e poi con altri mezzi.

Le soluzioni proposte da Lampedusa, dal governatore Musumeci, perfino da chi opera nel mondo dell’assistenza e del volontariato, alla fin fine, convergono tutte sulle stesse idee e per metterle in atto non serve neanche firmare nuovi contratti di noleggio con armatori che hanno le navi ferme a causa della Pandemia o comunque disponibili. La nave Diciotti della Guardia Costiera, quella della prima vicenda in cui magistrati ipotizzarono il reato di sequestro a carico dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, è rimasta ferma cosi tanto tempo nel porto di Catania che quando le è stato detto di andare vicino le isole Tremiti per supporto logistico in assenza della nave traghetto – proprio la Diciotti accusata dall’ex ministro di essere stata “taxi del mare” per migranti – a bordo lo avranno preso per uno scherzo. Una nave capace di soccorrere in mare, di ospitare, di isolare, di avere alloggi per il personale sanitario in ausilio all’equipaggio, lasciata in porto per quasi un anno ad ammuffire. Come la Diciotti ci sono anche altre navi che potrebbero intervenire in caso di necessità, stazionando a sud delle Pelagie ed offrendo quindi quel filtro che, anche per il Covid-19, al momento lo hanno offerto soltanto Lampedusa e le due navi Ong.

C’è infine una assurdità che riguarda la destinazione finale dei migranti che eventualmente si salverebbero dal mare, in attesa che un giorno un insieme di governi civili e soprattutto illuminati deciderà di sottrarre i migranti ai trafficanti mediante canali umanitari di migrazione legale. L’Italia, e non solo, ha bisogno assoluto dei migranti per manodopera in alcuni settori, per la previdenza sociale (se inquadrati e non in nero), per la natalità. Ma fino ad oggi l’unico modo in cui vengono “utilizzati” i migranti è lasciandoli morire per far vedere agli elettori che “non passa lo straniero”. Peccato che poi li si deve raccogliere dal fondo del mare “nostrum” dopo interminabili e dispendiose ricerche, li si deve accudire e trasferire e scortare e tutto quello che impone costi e personale invece di concedere un documento ed una autonomia temporanea, li si deve mettere a bordo di navi dopo che si trovavano a bordo di navi o li si deve seppellire cercando posti in cimiteri saturi in paesini di provincia. Senza parlare poi di quanto costa ai contribuenti dover assistere, finanziare e forse anche corrompere altri Governi – o milizie – perché non facciano partire i migranti. Una visione diversa potrebbe risolvere molti problemi, ma a fronte della logica proposta arrivano sicuramente quei “buonista!” scagliati come sassi. Quindi è meglio veder morire persone e sapere che per averle lasciate morire sono stati usati soldi dei contribuenti in quantità maggiore che per salvare loro la vita. Forse il contrario di “buonista” è “finanziatore di assassinio”.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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