Alan Kurdi, evacuato a Lampedusa uno dei 150 naufraghi

La nave Ong tedesca si trova nel Canale di Sicilia e nessuno è disposto ad offrirle un porto né a fornirle acqua e cibo prossimi ad esaurimento a bordo. Un migrante dava in escandescenza ed IMRCC Roma ha concesso l'evacuazione medica a Lampedusa. Altre tre barche in pericolo, con 187 persone, si trovano in mare

Medevac da nave umanitaria Alan Kurdi del 10 aprile 2020 (Credits: Cédric Fettouche / Sea Eye)

di Mauro Seminara

Un migrante, naufrago soccorso dalla nave umanitaria Alan Kurdi lunedì 6 aprile, è stato evacuato ieri sera per emergenza sanitaria mediante motovedetta della Guardia Costiera sull’isola di Lampedusa. Nessun pericolo fisico per il migrante condotto a terra, ma dal punto di vista psicologico le sue condizioni erano decisamente precarie. Il giovane dava in escandescenza, ha confermato il responsabile del presidio sanitario di Lampedusa, il dottor Francesco Cascio. La sua presenza a bordo della Alan Kurdi costituiva quindi una minaccia per se e per gli altri 149 naufraghi abbandonati alla deriva su una nave senza porto e tra un po’ anche senza viveri. La richiesta, inviata dalla Ong tedesca Sea Eye al IMRCC Roma (la centrale di coordinamento soccorso marittimo italiana), ha prodotto l’autorizzazione al “MedEvac” del migrante che, dopo aver raggiunto terra ed essere stato tranquillizzato, dal molo di sbarco è stato condotto direttamente presso l’hotspot dell’isola.

“Il centro di soccorso italiano IMRCC Roma ha impiegato circa un giorno per rifiutare la richiesta di cibo, medicine e carburante del capitano della Alan Kurdi, Bärbel Beuse, di cibo”, denuncia la Ong Sea Eye. La nave si trova ormai da cinque giorni nelle vicinanze di quello che era il porto sicuro europeo più vicino

, ma nessuna autorizzazione allo sbarco è arrivata alla Alan Kurdi. Anzi, in previsione di obbligo di concessione “place of safety” (luogo sicuro e più vicino per lo sbarco), quattro ministeri italiani hanno posto la propria firma su un decreto interministeriale che definisce quelli italiani come “porti non sicuri” a causa dell’epidemia di Covid-19. Una epidemia che però costituisce un pericolo solo se la nave è straniera, i naufraghi sono stati soccorsi fuori SAR italiana ed il salvataggio è stato condotto senza l’assunzione di coordinamento del IMRCC Roma. In poche parole, l’esatto profilo della Alan Kurdi che, alla data di redazione frettolosa e firma del decreto interministeriale (8 aprile) si trovava già da circa 24 ore al confine con le acque territoriali italiane di Lampedusa.

Il decreto interministeriale, dissennato e discriminatorio ma soprattutto privo di previsione politica sugli effetti che avrebbe innescato, è stato seguito da Malta che ne ha immediatamente prodotto una copia decretando così la chiusura dei propri porti per circostanze con lo stesso profilo. Il risultato è stato quindi di una chiusura, in violazione di tutti i trattati sul soccorso marittimi e sul dovere di accoglienza di possibili richiedenti asilo, nel Mediterraneo centrale di tutti i porti sicuri europei. A questo si aggiunge che la Libia è adesso un porto ancora meno sicuro a causa dei continui bombardamenti su Tripoli ed delle risorse idriche negate alla capitale per giorni. Una tragedia sanitaria in tempi di pandemia che rischia di travolgere Tripoli e poi l’intera Libia. In questo scenario di raccapricciante regressione della società mondiale, del ritiro non ufficiale ma a colpi di decreti – probabilmente illegittimi – dai Trattati internazionali che avevano fondato la società civilizzata moderna, la Alan Kurdi vaga nel Canale di Sicilia, adesso a nord dell’isola pelagica italiana di Linosa, senza assistenza anche per un approvvigionamento a bordo di acqua e viveri. Un vascello fantasma che nessuno vuole, ma ancora a galla.

Rischio diverso invece quello che corrono le tre imbarcazioni segnalate da Alarm Phone nel Mediterraneo centrale con rispettivamente 47, 55 ed 85 persone. Nessuno, come già annunciato da Malta e come già visto con l’Italia ormai da mesi, si muoverà per andare a soccorrere le tre barche sovraccariche e prive di ogni minimo requisito di sicurezza. Nel caso in cui fossero i libici ad andarle a prendere, anche se due su tre non sono più nella loro area SAR, ed equivarrebbe ad un respingimento da parte della autorità marittime cui compete la rispettiva SAR zone, ai naufraghi in questione (187 persone) non resterebbe che un ritorno in zona di guerra e di carenze di acqua e cibo. Più o meno come quella a cui l’intera Unione europea sta condannando i naufraghi (adesso 149) a bordo della Alan Kurdi.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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