di Mauro Seminara
Sono sbarcati a Pozzallo, in Sicilia, i naufraghi soccorsi tra il 26 ed il 30 gennaio dalla nave della Ong spagnola Open Arms. Sulla banchina anche i medici in tuta bianca e mascherina del Ministero della Salute muniti di termometro digitale per la misurazione istantanea della temperatura corporea (video sotto). Una esigenza conseguente allo stato d’emergenza dichiarato dal governo italiano, poche ore dopo e conseguente a quello dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che obbliga le autorità sanitarie a non escludere alcuna possibilità anche se remota. Le operazioni di sbarco hanno avuto inizio intorno alle undici di questa mattina, dopo tutti gli accertamenti di rito e la messa in esecuzione dei protocolli amministrativi e sanitari, uno dopo l’altro hanno messo piede a terra i 363 migranti salvati dalla nave umanitaria. Piedi nudi a terra, con gli operatori del dispositivo di accoglienza che, dopo il controllo sanitario alla fine della passerella di sbarco, consegnavano ciabatte agli sbarcati.
La nave era rimasta in acque internazionali per quasi otto giorni dopo il primo soccorso. Uno dopo l’altro, aveva soccorso tutti i natanti segnalati in gravi difficoltà nel Mediterraneo centrale quando nessuna autorità nazionale – pur a conoscenza della presenza delle barche in pericolo – aveva inteso intervenire per l’obbligatoria operazione di ricerca e soccorso (SAR). Il vecchio rimorchiatore della Open Arms, ormai quarantenne, si era così ritrovato ad effettuare cinque soccorsi e prendere a bordo 365 persone. Due erano state evacuate, per emergenze sanitarie, dalle autorità italiane mediante una motovedetta della Guardia Costiera di stanza a Lampedusa dopo che alla prima richiesta di evacuazione medica trasmessa alle autorità maltesi la nave aveva ricevuto un risposta negativa. I cinque soccorsi si erano svolti in acque di competenza SAR libica, i primi quattro, e maltese. La zona SAR europea più vicina era quindi quella di Malta, autorità competente per il coordinamento dell’ultimo soccorso ed alla quale la Open Arms aveva chiesto l’evacuazione medica prima e l’assegnazione di un porto sicuro dopo. Per Malta però le richieste della nave umanitaria erano fiato e comunicazioni sprecate. Secondo le autorità maltesi l’Italia, con Lampedusa, era più vicina di qualche miglio e quindi era all’Italia che la nave Ong si sarebbe dovuta rivolgere.
La Open Arms si era quindi spostata, prima vicino Lampedusa, dove era stato autorizzato il trasbordo per evacuazione medica (MedEvac), poi aveva avvicinato la Sicilia mantenendo più o meno equa distanza tra la costa sudest siciliana e Malta. L’isola-Stato però aveva continuato a negare l’assegnazione di un Place of Safety (porto sicuro) e la Open Arms aveva quindi rivolto formale richiesta all’Italia. Dopo oltre 24 ore, con tempi tutto sommato record rispetto ai venti giorni che lo scorso anno la stessa nave subì di attesa al largo di Lampedusa, l’Italia ha autorizzato l’assegnazione – forse per la prima volta dopo qualche anno – del porto sicuro più vicino
La magistratura, in ogni suo livello, dalla Procura di Agrigento alla Corte di Cassazione, ha infatti dimostrato che il celebre “decreto sicurezza bis” – poi convertito in Legge dello Stato emanata dal presidente della Repubblica – non si può applicare a navi ed imbarcazioni, anche se di demonizzate Organizzazioni non governative, che prestano soccorso a persone in difficoltà in mare. La negazione dell’obbligatorio porto sicuro e l’interdizione delle acque territoriali alle navi delle Ong come la negazione di autorizzazione allo sbarco per le navi della Guardia Costiera, nel lungo periodo di propaganda dell’ex ministro sta adesso facendo collezionare al senatore e segretario della Lega una sequenza di richieste di procedimento a carico da parte della magistratura. L’ipotesi accusatoria è sempre la stessa: sequestro di persona aggravato.