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Proroga di accordi con una Libia che non esiste, il naufragio del diritto

Una fregata turca ed una nave da rifornimento americana

di Fulvio Vassallo Paleologo

Non è stato ascoltato neppure il fermo richiamo del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, da anni critico sugli accordi di cooperazione operativa tra Italia e governo di Tripoli, che neppure rappresenta tutta la Libia, sul fronte del cosiddetto contrasto dell’immigrazione “illegale”. Accordi che si basano sul coinvolgimento di milizie apertamente colluse con i trafficanti, come dimostrano i casi Dabashi a Sabratha e Bija a Zawia. Trafficanti “in divisa” che hanno avuto libero accesso nei ministeri italiani e nel centro di accoglienza di Mineo (CT).

Si rinnova per altri tre anni il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia, firmato il 2 febbraio 2017, con il trasferimento di risorse e mezzi alla sedicente “Guardia costiera libica” che, come denunciato anche da Amnesty International, in questi anni ha rigettato nelle mani dei trafficanti decine di migliaia di persone. Una complicità manifesta che ha violato i diritti umani ed ha costituito le basi per veri e propri crimini contro l’umanità. Nessuno conosce ancora i termini nei quali si starebbe sviluppando la trattativa segreta con il governo di Tripoli per una revisione del Memorandum, ammesso che si possa parlare ancora di un “governo di Tripoli”. Non è sufficiente il silenzio stampa imposto in questi ultimi mesi alle agenzie di informazione, e persino ad alcune ONG, per fare dimenticare quello che ormai ha assunto rilievo in sede giudiziaria, la collaborazione con la sedicente guardia costiera “libica”, che è ormai storia di una politica canagliesca basata sulla continua elusione degli obblighi di ricerca e soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali e dal diritto interno.

Un rinnovo scontato dopo la scadenza, lo scorso novembre, del termine previsto dal Memorandum per l’eventuale recesso delle parti, un rinnovo che arriva in un momento particolarmente grave per la Libia e per l’intero Mediterraneo, dopo l’ingresso in campo, nel conflitto libico, di diverse potenze straniere che parlano di tregua ma stanno alimentando la guerra civile secondo i propri interessi economici e geopolitici, rifornendo le diverse milizie in lotta tra loro ed allontanando le prospettive di una pacificazione duratura.

Da una parte la Turchia ricatta l’Unione Europea con la minaccia di aprire le frontiere verso l’Europa ai siriani che accoglie sul suo territorio, ed utilizza la sua posizione strategica nel conflitto siriano per costringere la Nato e gli Stati Uniti ad accettare l’invasione del Rojava e la persecuzione inflitta alla popolazione curda. E solo qualche giorno fa una unità militare turca ha riconsegnato alla sedicente guardia costiera “libica” decine di migranti soccorsi in acque internazionali. Un respingimento vietato dalle Convenzioni internazionali perchè la Libia, anche secondo le Nazioni Unite, non può considerarsi un porto di sbarco sicuro.

La Francia continua a distruggere quello che rimane della politica estera dell’Unione Europea e rifornisce le milizie di Haftar, violando quell’embargo che sembra finora l’unica decisione che è stata assunta a livello europeo, anche se non è chiaro chi e dove dovrebbe fare rispettare quel divieto, facilmente aggirabile con le triangolazioni commerciali su scala globale. Di certo non saranno blocchi navali e il ripristino della missione navale europea EUNAVFOR MED a impedire che i rifornimenti di armi dall’Europa continuino ad alimentare il conflitto civile libico.

Tutti sembrano convergere sul blocco dei migranti in territorio libico, anche se i combattimenti imperversano e l’UNHCR è stato costretto a evacuare il centro di transito di Tripoli, per il rischio che i bombardamenti colpissero persone inermi, mentre sembra che il governo Serraj utilizzi le zone dove si trovano i campi di detenzione dei migranti per reclutare mercenari o per concentrare nei loro pressi installazioni militari. Ma la partita che si gioca in questi giorni del rinnovo del Memorandum d’intesa tra Italia e governo di Tripoli, e solo con Serraj dunque, non certo con il generale Haftar che controlla la maggior parte del territorio libico, con il blocco dei pozzi petroliferi, è molto più ampia e riguarda l’intero Mediterraneo.

L’ingresso nel conflitto libico della Turchia è stato anticipato dalla stipula di un Memorandum d’intesa tra Erdogan e Serraj, che stabilisce nel Mediterraneo una zona di esclusivo interesse economico molto vasta a favore della Turchia, a sud ed a occidente di Cipro, fino a lambire le coste greche e libiche. Una zona nella quale la Turchia si garantisce lo sfruttamento di ingenti risorse energetiche ricavabili dai fondali marini, entrando in conflitto con gli interessi dell’Egitto, schierato da tempo con il generale Haftar, e della Grecia, ancora in conflitto con la Turchia per la divisione di Cipro. Sempre più vicino ormai lo scontro tra francesi e turchi al largo delle coste libiche. Questo precedente sta facendo salire la tensione, anche militare a livelli di allarme, ed anche l’Algeria si sta muovendo per fare valere come zona di esclusivo interesse economico (ZEE) quasi tutto il canale di Sardegna, fino a lambire le acque territoriali italiane. Sullo sfondo di questi accordi commerciali, più spesso dichiarazioni unilaterali basate sui rapporti di forza che assumono il carattere di vere e proprie prevaricazioni, al di fuori del rispetto del diritto internazionale, le vie di fuga dei migranti si chiudono senza alcuna pietà, e come si verifica da tempo, contro gli obblighi di ricerca e soccorso a carico degli stati stabiliti dalle Convenzioni internazionali.

Sul piano interno gli esponenti politici che hanno respinto o sequestrato migranti soccorsi in acque internazionali, equiparando i naufraghi ai clandestini, rivendicano impunità e si sottraggono alle regole dello stato di diritto, ed al riconoscimento del diritto internazionale del mare da parte della magistratura, adducendo la finalità che avrebbero perseguito di “difendere i confini nazionali” per garantire “sicurezza agli italiani”. Con il decreto “sicurezza” bis (n.53 del giugno 2019), poi inasprito nel corso dell’iter parlamentare di conversione in legge, si sono formalizzate le prassi di abbandono in mare e di guerra contro le ONG ed i naufraghi che queste soccorrevano, con le conseguenze che vediamo ancora oggi. Il Mediterraneo centrale è stato trasformato in un deserto liquido. Il confronto politico sul tema della perseguibilità di questo o quel ministro, basato su dati di fatto non attendibili, come l’andamento del numero dei soccorsi in mare, o degli sbarchi autonomi a Lampedusa, che trascura le diverse condizioni meteo dei mesi invernali di questi ultimi due anni, e l’inasprimento del conflitto libico, nasconde agli italiani le vere cause delle migrazioni forzate. Si cancella così qualsiasi residuo rispetto delle regole interne e sovranazionali da rispettare agli sbarchi, come è documentato dai più recenti procedimenti penali aperti contro il capo della Lega per i ritardi ingiustificati, ma decisi a scopo di propaganda, nello sbarco in porto, lo scorso anno, delle navi Gregoretti ed Open Arms. In questa materia il Parlamento italiano si deve assumere una chiara responsabilità, in occasione del prossimo voto del 12 febbraio al Senato. Non si può consentire che una scelta elusiva degli obblighi di soccorso stabiliti dalle Convenzioni internazionali, e recepite nel diritto interno per effetto del richiamo costituzionale ( artt. 10 e 117 Cost.) sia giustificata con finalità politiche, che appaiono con tutta evidenza come scelte meramente propagandistiche. Non si possono delegare ancora alle motovedette libiche attività che, sotto coordinamento italiano ed europeo, come accertato in diverse occasioni, a Catania, a Ragusa ed a Agrigento dalla magistratura italiana, che assumono le caratteristiche di respingimenti collettivi vietati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.

Sembra che ormai non bastino più gli argomenti razionali o il richiamo alle fonti del diritto per convincere gli italiani della portata infame, se non della inefficacia, delle politiche di blocco dei migranti in Libia e quindi di abbandono in mare. Un abbandono che si è ripetuto in queste ore, con un intervento ancora una volta tardivo delle autorità maltesi, con il rallentamento delle operazioni di sbarco delle ONG e con il sostanziale disimpegno di quelle navi militari della Marina italiana e della Guardia costiera che negli anni passati avevano salvato migliaia di vite. L’incapacità dell’Unione europea nell’adozione di una autonoma politica estera che rispetti gli obblighi di soccorso in mare, pure affermati nei Regolamenti FRONTEX (n. 656/2014 e 1626/2016), con il sostanziale riconoscimento di una vasta zona SAR “libica”, ancora quando la Libia non esiste più come stato unitario, e con la delega ai singoli stati di negoziare accordi di respingimento, come quelli conclusi tra il governo di Malta e le autorità libiche, trasformerà sempre di più il Mediterraneo in un mare di morte.

E’ falso affermare che la riduzione dei soccorsi con il blocco o i ritardi imposti alle navi delle ONG ridurrà il numero delle vittime. E’ vero esattamente il contrario, se solo si guarda, oltre alle vittime in mare, anche alle vittime che si contano tra i migranti che rimangono intrappolati in Libia o che vi vengono riportati dopo essere stati intercettati in acque internazionali dai mezzi della sedicente guardia costiera “libica” assistita e coordinata da assetti militari europei ed italiani.

Malgrado la proroga del Memorandum d’intesa tra Italia e Libia, esistono questioni ancora aperte che devono essere affrontate a livello interno ed internazionale. Il conflitto bellico ed economico che sta dilaniando la Libia si è già esteso all’intero Mediterraneo, i porti petroliferi della Cirenaica e le basi del Fezzan sono già bloccati, e presto una grave crisi energetica potrebbe costringere ad un brusco risveglio tutti i sostenitori delle politiche di contrasto rivolte contro i migranti in fuga dalla Libia. E sul piano della sicurezza interna la deflagrazione del conflitto libico potrebbe mettere in movimento verso l’Europa, e non solo sulle rotte marine, un numero incontrollabile di profughi in fuga e di combattenti. Dalla guerra in territori tanto vicini al nostro paese, soprattutto in un paese strategico per l’Italia come la Libia, e da uno scontro generalizzato nel Mediterraneo, non verrà certo quella sicurezza che i partiti di destra propagandano per aumentare i loro consensi elettorali.

Per queste ragioni occorre adottare, e subito, politiche di discontinuità rispetto a quelle scelte, centrate sul mero contenimento dei migranti in territori di guerra, che hanno portato al rafforzamento delle organizzazioni criminali ed a una deflagrazione ormai incontrollabile del conflitto libico.

Si deve bloccare ogni intervento unilaterale di assistenza e rifornimento militare alle diverse milizie libiche. Questo va deciso e monitorato a livello europeo, senza cedere ai ricatti della Turchia e senza consentire alla Francia di giocare la sua partita diplomatica in piena autonomia rispetto alle scelte dell’intera Unione Europea

Va sospesa anche unilateralmente la cosiddetta zona SAR libica, con una decisione chiara del Comitato esecutivo dell’IMO ( Organizzazione Marittima Internazionale), con il ripristino della presenza di navi militari italiane ed europee a nord delle acque territoriali libiche, con prevalente destinazione al soccorso dei naufraghi, senza tentare operazioni di blocco navale che produrrebbero un aumento esponenziale delle vittime.

Nell’immediato, anche prima di un pronunciamento dell’IMO, le autorità marittime italiane ed europee devono rispondere sollecitamente alle chiamate di soccorso inviando propri mezzi nelle acque internazionali a nord delle coste libiche e garantendo lo sbarco in un porto sicuro in Europa, nel più breve tempo possibile, come prescritto dalle Convenzioni internazionali. Dovrà essere ripristinato il protocollo d’intesa con le ONG che vigeva fino al 2017, prima della adozione del cosiddetto Codice di condotta Minniti.

Occorre riformare il Regolamento europeo Dublino 3 superando il principio della competenza primaria del primo paese di sbarco, con norme di tutela particolare per le vittime di abusi e torture, per le donne ed i minori non accompagnati. Le decisioni sui ritrasferimenti devono seguire, e non precedere, lo sbarco dei naufraghi soccorsi in acque internazionali.

Il governo italiano deve ritirare la missione militare Nauras ancora presente con una nave nel porto militare di Tripoli ( Abu Sittah) ed interrompere qualunque attività di manutenzione e coordinamento delle motovedette libiche attualmente impegnate nelle attività di intercettazione dei migranti in acque internazionali.

Occorre abrogare il decreto sicurezza del 4 ottobre 2018 ( poi convertito nella legge n.132/2018) che abroga l’istituto della protezione umanitaria già riconosciuto dalla giurisprudenza come attuazione dell’art. 10 della Costituzione italiana.

Occorre abrogare il decreto sicurezza bis che sanziona i soccorsi umanitari delle ONG e concede ai prefetti il potere di adottare la confisca amministrativa delle navi soccorritrici, con effetti che perdurano anche quando la magistratura penale esclude ogni responsabilità in capo ai soccorritori. Vanno accertate tutte le responsabilità della catena di comando e dei ministri che hanno ritardato lo sbarco dopo le operazioni di soccorso, o hanno impedito gli interventi di ricerca e soccorso (SAR) imposti agli assetti aero-navali italiani in base alle Convenzioni internazionali.

Vanno aperti canali legali di ingresso per lavoro, con l’adozione di nuovi “decreti flussi”, e con la regolarizzazione permanente a regime di quanti sono rimasti senza un permesso di soggiorno per la perdita del contratto di lavoro.

Vanno incrementati i canali umanitari con il supporto di tutte le organizzazioni della società civile e degli enti locali che si possono assumere, in concorso con lo stato, la responsabilità e gli oneri dell’accoglienza e dei percorsi di inclusione ( anche con la sponsorizzazione).

A livello europeo le proposte per una tregua nel conflitto libico devono comprendere la questione ineludibile della evacuazione dalla Libia di tutti i migranti trattenuti nei centri di detenzione (governativi o informali, in mano alle milizie) e di quelli che subiscono violenze ed abusi in un territorio frammentato, ormai campo di battaglia tra opposte fazioni che considerano le persone migranti come merce di scambio, se non come veri e propri bersagli da colpire per finalità militari.

Associazione Diritti e Frontiere:
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