La Tunisia dà una lezione all’Italia e mette sotto inchiesta la polizia e la guardia costiera di Sfax

La più grave strage dell’immigrazione di quest’anno, una strage di cui si è appreso nello stesso giorno in cui Salvini, nel suo tour elettorale da Pozzallo, attaccava la Tunisia dalla quale arriverebbero troppi “galeotti”

Foto d'archivio

di Fulvio Vassallo Paleologo

In tutti i paesi del mondo, si sta diffondendo la notizia della strage che si è verificata sabato scorso nella regione di Sfax, sembrerebbe a 16 miglia dalla costa, al largo dell’isola di Kerkennah, dunque al limite delle acque internazionali. Oltre centro migranti, non solo tunisini, avrebbero perso la vita per l’affondamento del barcone sovraccarico con il quale speravano di raggiungere le coste italiane. La più grave strage dell’immigrazione di quest’anno, una strage di cui si è appreso nello stesso giorno in cui Salvini, nel suo tour elettorale da Pozzallo, attaccava la Tunisia dalla quale arriverebbero troppi “galeotti”. Su questa strage regna in Italia un silenzio assordante, come se le vittime fossero uccise due volte, dapprima dalle acque che le hanno inghiottite, poi dall’indifferenza generale, se non da una rimozione predeterminata. Poche le eccezioni a questo silenzio generale.

On wednesday may 6 Italian ships intercepted 227 would be immigrants at sea and sent them directly back to Libya.
On wednesday may 6 Italian ships intercepted three boatloads of migrants they were transferred to three Italian ships and by Thursday morning they were returned to Tripoli.
Non è passato dagli uffici stampa italiani neppure il comunicato emesso dalle Nazioni Unite (OIM). Un pessimo segnale di omessa informazione, anche per la capacità di autocensura di buona parte della stampa nazionale. Che cosa produrrà adesso il rammarico dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati e quanto ne terranno conto le opinioni pubbliche dei paesi occidentali che arrivano a gioire anche di queste stragi ? Il ministro Salvini, come il suo predecessore Maroni, ordinerà adesso i respingimenti collettivi in mare, richiesti anche dal governo belga ma sanzionati nel 2012 dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo ? Sarà proprio la Tunisia il primo paese con il quale si cercherà di negoziare la ripresa di queste prassi illegali?

Lo stesso silenzio si era registrato in Italia, nei primi mesi dell’anno, quando altre imbarcazioni cariche di migranti si erano inabissate dopo essersi allontanate dalle coste tunisine. Lo scorso gennaio erano stati proprio elicotteri italiani a soccorrere i migranti naufragati al largo di Sfax, che però erano stati riportati a terra in Tunisia, cosa è successo davvero ancora nei giorni scorsi? Una rotta che veniva riaperta proprio in inverno dopo il lancio dell’operazione Themis di Frontex e dell’operazione Nauras della Marina militare, che tentavano di bloccare la rotta libica. E già lo scorso anno un barcone partito dalle coste tunisine era affondato a seguito di uno speronamento da parte di un battello guardiacoste.

Adesso è proprio la Tunisia a dare una lezione all’Italia, aprendo una inchiesta immediata sulle responsabilità della strage e rimuovendo i vertici della polizia e della Guardia costiera di Sfax, sotto la spinta di una opinione pubblica che rivendica verità e giustizia. Poche ore dopo la notizia dell’apertura delle indagini sulla strage di Sfax giungeva anche la notizia della destituzione del ministro dell’interno, Lotfi Brahem, che pure si era giustificato adducendo il numero di persone intercettate in mare e riportate a terra negli ultimi mesi. Una destituzione decisa da parte del Primo ministro tunisino, Youssef Chahed che contesta al ministro dell’interno ed alla polizia uno scarso impegno nel contrasto delle partenze dalla regione di Sfax.

La rimozione del ministro è stata giustificata ” for their failure to stop the vessel”, come se si contestasse al ministro dell’interno, ed agli agenti di polizia e della Guardia costiera indagati, di non avere saputo “fermare” il barcone carico di migranti prima del naufragio. È una vicenda che assume di ora in ora caratteri sempre più controversi, comunque è certo che in Tunisia, sotto la spinta delle famiglie delle vittime e della società civile, si sta tentando di fare chiarezza sulle responsabilità di questa ultima strage. In Italia invece, le famiglie delle vittime delle stragi dell’immigrazione non hanno voce e faticano a farsi rappresentare nelle sedi processuali.

Per la stampa internazionale ”The government reported the dismissal in a statement on Wednesday without specifying the reasons, but local media reported that it is related to the incident. Chahed had previously accused the country’s security guards of not having prevented the boat with 180 immigrants from sinking off the Tunisian coast. After the accident, the prime minister proclaimed the strengthening of the security forces in the Kerkennah Islands, off the south-east coast of the African nation, although he acknowledged that the decision dates from last October.”

Nel nostro paese, quando le navi delle ONG che svolgono attività di soccorso in acque internazionali raggiungono un porto di sbarco, su indicazione della Centrale operativa della Guardia costiera, le indagini si aprono contro i rappresentanti delle stesse Organizzazioni, e mai nei riguardi di chi avrebbe dovuto garantire il coordinamento più tempestivo dei soccorsi in mare.

Nei rari casi in cui si sono aperte indagini nei confronti di agenti istituzionali per le stragi più note degli anni passati, quella di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e quella a sud di Malta dell’11 novembre dello stesso anno, che si ricorda come la “strage dei bambini”, le attività processuali sono rallentate da continue richieste di archiviazione e la durata dei procedimenti lascia intravedere per gli imputati una serie di assoluzioni per prescrizione.

Il ministro dell’interno Salvini afferma adesso di avere programmato un incontro con il suo omologo tunisino, tanto per chiarire all’opinione pubblica italiana che non ci sono crepe nella collaborazione tra i due paesi. Ed in effetti la piccola Tunisia è uno dei paesi che, dopo il rafforzamento delle intese ad opera di Minniti, collabora maggiormente con le autorità italiane, sia per quanto riguarda le procedure di riammissione con accompagnamento fozato dei suoi cittadini che si trovano o giungono in Italia nella condizione di irregolari, sia per le attività di sorveglianza delle frontiere marittime. Adesso però, dopo lo svuotamento parziale della rotta libica, dovuto soprattutto alle condizioni disumane nelle quali i migranti venivano trattenuti nei centri di detenzione in Libia, migliaia di persone sono passate in Tunisia e da lì cercano di raggiungere le coste europee. Dopo la destituzione dell’attuale ministro dell’interno tunisino, vedremo adesso con chi Salvini cercherà di ricostruire rapporti di collaborazione tra Italia e Tunisia sul fronte del contrasto dell’immigrazione irregolare.

Anche alla Tunisia sono stati forniti mezzi per aumentare le intercettazioni in mare, si sono svolte attività di formazione congiunta delle guardie costiere ed è stretta la collaborazione tra le rispettive marine militari. Sarebbe dunque importante che Salvini ed il ministro dell’interno tunisino, che dopo l’ultimo naufragio ha appena rimosso i vertici della polizia e della guardia costiera di Sfax, si confrontino non solo sulle modalità di respingimento collettivo, ma anche sul rispetto effettivo dei doveri di salvaguardia della vita umana in mare, che vigono a carico di tutti gli stati in favore di qualunque essere umano, quale che sia la sua condizione di “clandestino”, di potenziale richiedente asilo, di soggetto vulnerabile ( come donne e minori) o di migrante regolare. Se non lo faranno potrebbero essere ritenuti responsabili di tutte queste vittime, non certo le ONG che ormai sono state allontanate quasi del tutto.

Occorre anche aggiungere che proprio davanti alle coste di Sfax, che si trovano molto vicine al confine con la Libia, sono presenti numerose navi militari sia italiane che europee, delle missioni Themis di Frontex e dell’operazione Sophia di Eunavfor Med, in collaborazione con assetti NATO, che ha curato anche la formazione della guardia costiera di Tripoli. Sono mezzi militari che svolgono una prevalente attività di monitoraggio e contrasto dell’immigrazione che viene definita “illegale”, ma che sono comunque tenuti a rispettare i rigorosi obblighi di soccorso previsti dal Regolamento Europeo (direttamente vincolante dunque) n.656 del 2014. Se si dovesse arrivare ad una inchiesta internazionale si dovrebbero verificare i rapporti di attività degli assetti navali di queste operazioni che si avvalgono di avvistamenti aerei e di sofisticati mezzi di monitoraggio satellitare, in funzione di contrasto dell’immigrazione, ma non sembra anche nel senso di garantire una prospettiva di salvezza a chi si trova in procinto di naufragare.

Queste stragi purtroppo si ripeteranno sempre più di frequente, per la mancanza di canali legali di ingresso, e per la lotta alle ONG, colpevoli di solidarietà, che rientra ancora tra i punti principali del programma del nuovo governo, con il rilancio della macchina del fango che ne ha macchiato l’immagine, riducendone la capacità di raccolta fondi necessaria per la prosecuzione della loro attività. Al di là delle inchieste che si faranno, e dei processi che si estingueranno per prescizione, o che non si faranno mai, rimane una precisa responsabilità morale e politica di quanto sta accadendo e di quanto accadrà ancora in futuro nelle acque del Mediterraneo centrale. Nessuna querela potrà cancellare i nomi ed i cognomi di quelli che vengono indicati anche sui media come i mandanti politici di queste stragi.

Articolo di Fulvio Vassallo Paleologo per ADIF – Associazione Diritti e Frontiere reperibile su www.a-dif.org
(Contenuto concesso dall’autore a Mediterraneo Cronaca)

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