Nuova strage di migranti, si ringrazia la guardia costiera libica?

Chi sono gli attori che operano nel mare più letale al mondo? Chi ha ringraziato il capo del governo italiano quando si è recato a Tripoli? Come e perché muoiono profughi che lasciano la Libia a bordo di barche e gommoni? Cosa sono “Irini” e “Frontex” e che ruolo hanno al largo della Libia? Chi ha riconosciuto ad uno Stato in guerra e senza mezzi ed addestramento la più sconfinata area SAR del Mediterraneo?

di Mauro Seminara

La notizia è che un gommone carico di esseri umani per il quale la piattaforma civile Alarm Phone aveva chiesto soccorso alle autorità marittime del Mediterraneo centrale è naufragato e sono così morti nell’ormai noto buco nero del Mediterraneo centrale altre 130 persone. Lo abbiamo appreso perché la nave umanitaria Ocean Viking della organizzazione internazionale SOS Mediterranee, una di quelle criminalizzate e perseguite dalle autorità italiane dal 2017 ad oggi, si trovava in missione al largo della Libia in acque internazionali. Acque del Mediterraneo centrale la cui responsabilità SAR (ricerca e soccorso), sconfinata, è della Libia già da tre anni. Per meglio comprendere i fatti proponiamo ai lettori una breve legenda.

IMO: Organizzazione Marittima Internazionale, agenzia delle Nazioni Unite competente per l’affidamento di un’area SAR ad uno Stato che ha i requisiti per gestirla.

Guardia costiera libica: Corpo indistinto di uno Stato diviso da una guerra civile.

Frontex: Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea.

Missione Irini: Missione militare internazionale che dovrebbe vigilare sull’embargo sulle armi in Libia.

Ammiraglio Fabio Agostini: Comandante della missione Irini.

Mario Draghi: Capo del Governo italiano nominato dal presidente della Repubblica e sostenuto da quasi tutte le forze politiche.

ONG: Organizzazione non governativa, nel caso in oggetto opera soccorsi in mare mediante navi finanziate da donazioni private e operatori volontari.

Alarm Phone: Organizzazione non governativa che riceve telefonicamente richieste di soccorso in mare inoltrandole alle autorità marittime competenti.

Nel 2018, grazie ad un serio e concreto intervento del Governo italiano, la Libia ottiene il riconoscimento di una sconfinata area SAR dall’Organizzazione Marittima Internazionale. L’IMO, che fa capo alle stesse Nazioni Unite di cui sono agenzie anche l’Alto Commissariato delle NU per i Rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), riconosce che la Libia, dilaniata da una guerra civile e divisa in varie fazioni, possa essere un place of safety (luogo sicuro di sbarco) nel caso di soccorso a naufraghi. Le riconosce anche la necessaria dotazione, il giusto addestramento ed ogni altro requisito perché la Libia – considerata un unico Stato – possa intervenire con efficacia fino ad oltre 70 miglia nautiche dalla propria costa. Per farlo, la Libia, sempre intesa unica per comodità dei “committenti”, impiega vecchi pattugliatori d’altura donati dall’Italia con personale addestrato dall’Italia – quando non fugge dando alla latitanza a fine addestramento in Italia – e sotto l’affiancamento al coordinamento SAR italiano, come hanno dimostrato atti d’inchiesta di una Procura italiana che cercava forse prove contro una ONG e ne ha trovate involontariamente di ben più gravi contro due Stati ed una agenzia delle Nazioni Unite.

L’ammiraglio Agostini, comandante della missione “IRINI”, in una recente intervista rilasciata ad un noto quotidiano italiano, ha garantito per la cosiddetta guardia costiera libica asserendo che questa non utilizza violenza sui migranti né armi contro i naufraghi soccorsi. L’ammiraglio ha però precisato di poter garantire solo per la “guardia costiera di Tripoli” e non per altre o altri corpi che operano in mare dalla Libia. Quella di Tripoli viene addestrata anche grazie all’impegno dell’Italia, in virtù di un protocollo d’intesa che vede i libici fermarsi in Italia per il periodo di addestramento. La missione Irini dovrebbe vigilare sull’embargo sulle armi in Libia perché nel Paese nordafricano si smetta di fare la guerra si occupa quindi di addestrare guardacoste di Tripoli, non sa nulla degli altri e di come operano, non ha mai fermato un cargo o una consegna di armi in Libia e non ha mai soccorso una imbarcazione con persone in pericolo a bordo, però è stata rinnovata per altri due anni.

In mezzo al caos che viene risucchiato in silenzio da quello che è ormai volutamente un buco nero c’è l’agenzia europea Frontex. Un soggetto di difficile comprensione, con autorità e compiti di guardia costiera europea ma senza assetto navale nel Mediterraneo centrale già dal 2018, che si appresta ad avere dotazione di armi e che ha un bilancio enorme che spende in modo poco comprensibile, come il noleggio dei velivoli con pilota che utilizza per sorvolare l’area SAR della Libia. Frontex è consapevole dei report delle agenzie delle Nazioni Unite che operano in Libia, dei maltrattamenti cui vengono sottoposti i naufraghi recuperati dalla sedicente guardia costiera libica dopo lo sbarco in Tripolitania, della guerra civile ed anche dei sequestri che avvengono più ad est come nel caso dei pescatori italiani detenuti per 108 giorni come terroristi a Guantanamo. Ma in caso di avvistamento di barche o gommoni carichi di probabili richiedenti asilo ne segnala la posizione a quella guardia costiera libica che non parla neanche inglese – requisito fondamentale per una Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo che l’IMO dovrebbe aver verificato – e che forse non sta neanche a terra ma su una nave militare, nel porto di Tripoli, che non batte bandiera della Libia.

Alarm Phone riceve telefonate dai migranti in mare, mediante telefoni satellitari in certi casi e medianti cellulari in altri, se sotto costa. In altri casi ancora sono i parenti a segnalare alla centrale d’allarme telefonica civile la presenza di barche cariche di persone in mare. Alarm Phone gira la segnalazione alle autorità nazionale che detengono le aree SAR più vicine oltre a quella in cui si trova o si presume si possa trovare l’imbarcazione. Quindi segnala la presenza di una barca in pericolo agli MRCC (Centrali di Coordinamento Soccorso Marittimo) di Italia e Malta oltre a tentare di mettersi in contatto con quella libica. I risultati sono spesso disastrosi, con la sala libica che non risponde, riaggancia oppure parla solo in arabo. Quella di La Valletta che non risponde al telefono. Quella italiana che nel più dei casi risponde che inoltrerà la segnalazione all’autorità competente. La segnalazione di Alarm Phone viene inoltrata anche alle navi ONG eventualmente presenti in area.

Le navi delle ONG erano una vera flottiglia dopo il ritiro della missione umanitaria italiana “Mare nostrum” nel 2014. Nacquero come rimedio al ritiro delle navi militari italiane e tra il 2015 ed il 2016 divennero una dozzina. Nel 2017 iniziò la caccia alle ONG ed il primo colpo assestato fu quello del sequestro, nell’agosto dello stesso anno, della piccola nave Iuventa. Oggi di navi se ne vede solo una a turnazione apparentemente non casuale. ONG che operano in mare, in attesa della nuova nave di Sea Eye, ce ne sono soltanto tre ma devono fare i conti con lunghissime ispezioni (Port State Control) nei porti italiani e conseguenti ripetuti fermi amministrativi che impongono loro lunghi periodi di stop mission. In assenza di navi private, nel Mediterraneo centrale non c’è nessuno che soccorre le barche cariche di disperati in fuga ed in pericolo. Quando le navi private intervengono in soccorso di queste persone, evitando naufragi, pagano un prezzo altissimo come quello del mercantile Etienne della compagnia Maersk oppure come quello delle ONG ferme per mesi e poi costrette a nuovi interventi e modifiche alle navi in cantiere.

Mario Draghi è il premier italiano che ha definito il presidente turco Erdogan un “dittatore” dopo aver toccato con mano, in Libia, come la Turchia abbia letteralmente sottratto l’osso libico dai denti italiani. In occasione del suo viaggio in Libia il capo del Governo italiano ha anche ringraziato la “guardia costiera libica” per il grande lavoro che svolge. Non ha però precisato quale guardia costiera, se quella di Tripoli, di Zuwara, di Bengasi o di dove altro. Quella stessa guardia costiera – di non è chiaro quale Libia – che, come si evince da atti processuali ed intercettazioni varie, talvolta illegittime, risulta intervenire solo se non è giorno di riposo, se il tempo è buono, se la motovedetta funziona ed ha il carburante e magari se dispone di patate e armi da usare entrambe contro navi ONG (vedi lancio di patate contro Sea Watch e strascico di naufrago sotto lo scafo) o contro pescatori italiani se non addirittura contro le motovedette della Guardia Costiera italiana che in più di un caso già in passato si ritirarono nel porto di Lampedusa a stuccare fori di proiettile sullo scafo.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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