Salvini a processo, per Gup fu atto amministrativo

Non passa la linea dell'atto politico e il giudice per le udienze di Palermo convalida l'atto amministrativo già votato al Senato per l'autorizzazione a procedere ed anche la necessità di approfondire con un processo penale le eventuali responsabilità di Matteo Salvini sulle contestate ipotesi di reato di sequestro di persona e omissione di atti d'ufficio. Il leader della Lega perde il sorriso ed incassa un rinvio a giudizio che potrebbe costargli quindi anni di reclusione

Matteo Salvini dopo la decisione del giudice di rinviarlo a giudizio per sequestro di persona

di Mauro Seminara

Che la difesa di Salvini sul caso Open Arms appariva debole come in questo specifico caso il leader leghista lo avevamo anticipato all’esito della prima udienza preliminare all’aula bunker di Palermo il 9 gennaio. Il Tribunale di Palermo si è pronunciato alle tre del pomeriggio di un nefasto 17 aprile per il leader della Lega disponendo il rinvio a giudizio per i fatti contestati. Il 15 settembre avrà inizio il processo per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio a carico di Matteo Salvini, al tempo ministro degli Interni della Repubblica italiana in quel Governo M5S-Lega che acuì la guerra alle Ong. L’iter procedurale seguito dal giudice per le udienze preliminari di Palermo, Lorenzo Jannelli, è stato asciutto e più in linea con il concetto di “udienza preliminare” rispetto a Catania, dove la difesa di Salvini ha trovato terreno fertile per rendere una “udienza filtro” – come ama definirla l’avvocato Giulia Bongiorno – una sorta di processo preliminare con tanto di testimoni. Dopo tre udienze, delle quali la seconda per rinvio dovuto alla richiesta della difesa di ammettere quali prove documentali delle e-mail da far tradurre e la terza di conclusione con pronunciamento del giudice, il giudice Jannelli ha raggiunto la conclusione che i fatti contestati meritano un approfondimento in sede penale. In altre parole, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha confermato quanto già votato in Senato per la richiesta di autorizzazione a procedere proposta dal Tribunale dei Ministri: non si è trattato di atto politico ma di atto amministrativo, e se verrà confermata la responsabilità penale il senatore Salvini potrebbe pagare la propria responsabilità con una pena pari anche a quindi anni di reclusione.

Nel corso della giornata, con la lunga attesa fuori dall’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, il comportamento del senatore lasciava intendere che in caso di scommessa sull’esito dell’udienza sarebbe stato il caso di puntare sul rinvio a giudizio. La spocchia che contraddistingue Matteo Salvini in ogni circostanza pareva svanita e le pause, compresa quella in cui il giudice ha sospeso l’udienza per chiudersi in camera di consiglio, non sono state sfruttate dall’ex ministro che ha invece palesemente evitato la stampa. Un ingresso in auto senza voltarsi verso i giornalisti e via. Poi, al ritorno, ingresso dritto in aula ed al termine, dopo il pronunciamento del giudice, lo sguardo di chi pretese di fare “l’uomo forte al comando” e di decidere tutto da solo assumendosi il merito – ed oggi le conseguenze – della chiusura dei porti ai migranti mal celava insicurezza, forse anche smarrimento. Nessuna battuta, un solo sorriso ad una battuta che riguardava il suo legale, ma niente saltello alla Mussolini, niente goliardia. I seguaci del leghista oggi hanno dovuto incassare l’immagine di un uomo con la coda tra le gambe.

La difesa dell’ottima Giulia Bongiorno (in foto sopra) era nel caso al vaglio del gup di Palermo vistosamente debole. I fatti, pur magistralmente messi in fila dall’avvocato della difesa, non risultavano a prova di smentita. Anzi, ad una attenta lettura apparivano in modo assai vistoso come una teoria che filava solo in virtù delle omissioni che la ricostruzione offriva. Mancavano infatti i tempi delle disponibilità offerte, nel caso della Spagna, con le coincidenze tra intervento del TAR e apertura del governo spagnolo che annientano la tesi in questione e con cui la linea difensiva Bongiorno intendeva dimostrare che la Open Arms, nell’agosto del 2019, aveva un’alternativa al porto italiano di Lampedusa. Stessa logica con cui è stato omesso lo stato a bordo della nave durante i giorni d’attesa sotto costa a Lampedusa, quando i naufraghi soccorsi si gettavano in mare disperati ed i soccorritori della Ong erano costretti a gettarsi in mare a loro volta per soccorrerli di nuovo. Infine mancava il motivo per cui le persone sono sbarcate sulla maggiore delle Pelagie, che è rappresentato dall’ispezione condotta a bordo della nave Ong dal procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio.

Tra i punti cardine della linea difensiva di Salvini però ce n’è uno su cui la difesa ha molto insistito, e a che ancora oggi potrebbe rappresentare un grave pericolo per la navi con bandiera straniera che effettuano soccorsi nel Mediterraneo centrale: le operazioni in questione non erano state coordinate dalla Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo italiana (IMRCC) e per questo, secondo la tesi dell’avvocato Giulia Bongiorno, il non configurarsi quale evento SAR (ricerca e soccorso) dei salvataggi non pone in alcun modo l’obbligo da parte dell’Italia di offrire un luogo sicuro di sbarco ai naufraghi. Nelle centodieci pagine di note conclusive della difesa però si sorvola ripetutamente sul perché lo Stato di cui è responsabilità l’area SAR in cui i naufraghi sono stati soccorsi non ha coordinato i salvataggi e non è intervenuto per poi concordare con Stati vicini dotati di luoghi sicuri di sbarco la destinazione della nave Ong nella seconda fase del salvataggio, quando le persone vengono sbarcate in un territorio sicuro. Contro la difesa della pur abilissima legale di Salvini c’era la Procura della Repubblica di Palermo rappresentata direttamente dal Procuratore capo Lo Voi – che a differenza di quella di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio dell’accusato – ed un folto numero di avvocati che nel caso rappresentavano le 23 parti civili costituitesi ed ammesse dal giudice. Tra queste, oltre ovviamente alla stessa Open Arms ed al suo comandante di missione, anche il Comune di Palermo ed il Comune spagnolo di Barcellona.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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