Covid 19, giovani e bambini più colpiti nella terza ondata

Le varianti del virus SARS-Cov-2 non solo sono più trasmissibili, ma sembrano anche più aggressive, e a essere colpiti sono oggi soprattutto i più giovani. I ragazzi, che sono stati risparmiati dalla prima ondata di Covid-19, ora si ammalano di più e hanno anche manifestazioni gravi

di Franca Regina Parizzi

Più il coronavirus circola, più va incontro a mutazioni e più varianti compaiono. Questo è un processo ben noto, che si può controllare solo in due modi: misure molto restrittive per ridurre i contagi e vaccinazione di massa.   

Le varianti del virus SARS-Cov-2 non solo sono più trasmissibili, ma sembrano anche più aggressive, e a essere colpiti sono oggi soprattutto i più giovani. I ragazzi, che sono stati risparmiati dalla prima ondata di Covid-19, ora si ammalano di più e hanno anche manifestazioni gravi. Mentre prima i giovani raramente arrivavano in ospedale, ora molti di loro sono ricoverati per Covid-19, alcuni in condizioni gravi, pur in assenza di altre patologie.

Numerose sono le segnalazioni da diversi ospedali del nostro Paese e a lanciare l’allarme sono molti esperti. Tra questi, Massimo Andreoni, presidente della Simit (Società Italiana di Malattie Infettive), il quale sostiene che solo con un lockdown nazionale di un paio di settimane propedeutico a una efficace campagna vaccinale di massa (500-700 mila vaccinazioni al giorno) si può rallentare la diffusione  del virus e non arrivare alla chiusura degli ospedali ai pazienti non-Covid, come è già successo.

Massimo Andreoni, Presidente della Simit (Società Italiana di Malattie Infettive)

 “Aumentano i pazienti Covid in pronto soccorso, tanti sono giovani

Fanpage 11 marzo 2021

Molti esperti sono concordi nel prevedere un picco di 40.000 nuovi contagi al giorno per fine marzo e solo restrizioni severe, mirate a evitare drasticamente le occasioni di affollamento, possono ridurre le possibilità di trasmissione del virus e consentire nel contempo l’attuazione di una campagna vaccinale di massa.

Un diffuso allarmismo si è creato dopo le recenti segnalazioni di eventi drammatici seguiti (ma non dovuti) alla vaccinazione con il vaccino Astra Zeneca e la decisione di molti Paesi europei di sospendere temporaneamente la somministrazione di questo vaccino, in attesa delle valutazioni da parte dell’EMA (Agenzia Europea dei Medicinali), che il 18 marzo ha confermato la non correlazione al vaccino degli eventi segnalati. Questo ha posto tuttavia un freno alla campagna vaccinale in corso, e alimentato la paura in molti cittadini.

In base ai dati scientifici, all’esorbitante numero di persone già vaccinate nel mondo, è ampiamente dimostrato che tutti i vaccini al momento disponibili sono sicuri ed efficaci. Poter contare su un’ampia gamma di vaccini, e quindi di fornitori, è fondamentale per realizzare un’efficace campagna di vaccinazione di massa. L’arruolamento per fasce di età in base al rischio è certamente la scelta più logica e razionale, poiché abbiamo visto come con l’età aumentino le probabilità di contrarre la malattia in forma grave o letale.

La comunicazione mediatica e istituzionale, focalizzata sui rischi della malattia nella fascia di popolazione più anziana, ha alimentato l’illusione che la giovane età costituisca una sorta di protezione contro le conseguenze più gravi della malattia. Tuttavia il rischio di morte non è l’unico elemento da considerare: esiste anche il rischio di conseguenze a lungo termine dell’infezione, e questo non è certo più basso nei giovani, anzi.

La Covid-19 può comportare una serie di problemi per la salute, che non risparmiano i giovani e che, anzi, si presentano nei giovani con una frequenza significativa. 

Da diversi studi su soggetti  asintomatici è emerso che più della metà di questi, pur non presentando  sintomi soggettivi o presentandone  in forma lieve, hanno un danno polmonare dovuto al Covid-19, e 1 su 5 di quelli che hanno contratto la malattia, anche in forma leggera, sviluppa danni al cuore. Anche nelle forme moderate della malattia, cioè quelle che non hanno richiesto un supporto respiratorio, sono stati trovati segni di alterazioni patologiche dei neuroni (che sono le cellule del Sistema Nervoso Centrale – SNC), non è chiaro se dovute direttamente al virus o indirettamente alla risposta immunitaria che il virus scatena. Alcuni sintomi caratteristici della malattia, anche lieve o moderata, sono la perdita del gusto e dell’olfatto, il disorientamento e le vertigini. Tutti sintomi, questi, di un’aggressione del SNC da parte del virus.

Ci sono poi i malati a lungo termine di Covid-19 (il così detto “long Covid”: ved. articolo precedente del 15 marzo 2021 di Maurizio Maria Fossati), che continuano a presentare sintomi (più spesso affaticamento e fame d’aria), anche a molti mesi di distanza dalla malattia e dalla negatività del tampone. Il long Covid rappresenta certamente un importante problema di salute, di cui si parla poco poiché tutta l’attenzione è concentrata sui dati del contagio, dei ricoveri e delle vittime. Ne ritorneremo a parlare in questa rubrica. Perché  è un problema molto serio, che potrebbe ridurre significativamente l’aspettativa di vita. Secondo un recente rapporto dell’ISTAT, nel 2010 la speranza di vita alla nascita era di 81,7 anni, nel 2019 di 83,2 e nel 2020 il dato è sceso a 82,3, registrando un impatto negativo significativo sui progressi raggiunti in dieci anni nel campo della salute, annullati in un solo anno.

Questi dati ovviamente non sono influenzati dai possibili danni prolungati – o permanenti? – alla salute a seguito della Covid-19, che potranno essere valutati a medio o lungo termine, ma che verosimilmente abbatteranno ulteriormente la speranza di vita.

Come accade agli adulti, anche i giovani e i bambini sviluppano una sindrome post-Covid, che può durare anche molti mesi, e sulla quale medici e ricercatori stanno cercando di fare chiarezza analizzando gli effetti a lungo termine: problemi che interessano i polmoni e il cervello, danni al cuore e all’intestino e, molto spesso, una stanchezza cronica.

Da alcuni studi pubblicati su riviste scientifiche emerge che un maschio adulto sui 30 anni ha circa una possibilità su 100 di sviluppare una conseguenza a lungo termine sulla salute dopo aver contratto la malattia. Poiché il rischio di morire di un sessantenne malato di Covid-19 è dello 0,7%, si deduce che è più probabile che un trentenne  abbia danni a lungo termine da Covid-19 che un sessantenne muoia per Covid-19.  E questo considerando il rischio dei soli soggetti che sono stati seguiti nel tempo dopo essere stati ricoverati in ospedale, mentre la gran parte dei soggetti apparentemente guariti dopo aver superato la malattia acuta a domicilio, sfuggono evidentemente ai controlli ambulatoriali ( il follow-up).

Minimizzare il rischio nei giovani, focalizzando l’attenzione solo sul rischio di morte da Covid-19, comporta come conseguenza, oltre che alimentare false illusioni, di indurre i giovani ad allentare le misure di protezione, ignorando tutti quei problemi di salute che spesso seguono o alla malattia, anche lieve, e persino all’infezione asintomatica.

Problemi che in parte sono già dimostrati, ma le cui conseguenze a lungo termine, nell’arco della vita, sono tutte da valutare. Ci sarà uno scenario futuro di patologie croniche e debilitanti per la generazione di trentenni-quarantenni di oggi? Non possiamo escluderlo.

In Israele, dove è stata attuata una campagna vaccinale di massa, si sta osservando un fenomeno preoccupante: sono aumentati notevolmente i casi di Covid-19 tra i bambini e gli adolescenti, con un picco tra i 6 e i 9 anni. Ricordiamo che la vaccinazione è prevista al di sopra dei 16 anni di età per alcuni vaccini (Pfizer Biontech) e al di sopra dei 18 anni per altri (Moderna). I risultati delle sperimentazioni dei vaccini in età evolutiva (0-18 anni) non saranno disponibili prima della metà/fine 2022. Secondo Rocco Russo, responsabile del Tavolo tecnico sulle vaccinazioni della Società Italiana di Pediatria (SIP), sono queste le tempistiche per arrivare a un vaccino specifico per i bambini. L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha concordato con alcune aziende farmaceutiche uno specifico piano per la sperimentazione dei vaccini anti-Covid 19 nei bambini. Si dovrebbe iniziare con la fascia di età tra i 12 e i 17 anni, per poi scendere gradualmente. E’ dunque necessario attendere i risultati della sperimentazione, poiché il bambino, soprattutto nei primi due anni di vita, non ha un sistema immunitario tale da sviluppare un’adeguata risposta anticorpale con lo stesso dosaggio e lo stesso numero di dosi previsto per l’adulto. Va sottolineato tuttavia come un’alta copertura vaccinale nella fascia di popolazione in età adulta e anziana sia già di per sé in grado di ridurre la circolazione del virus, proteggendo quindi indirettamente anche i più giovani e i piccoli.

I contagi nei bambini e nei giovani sono aumentati in questa terza ondata della pandemia. I dati lo dimostrano in diversi Paesi, anche in Italia.

Verosimilmente, la diffusione della nuova variante inglese, più contagiosa, spiega perché i bambini e gli adolescenti, finora risparmiati dalla Covid-19, siano oggi più colpiti, anche se bisogna tener presente come i dati siano influenzati anche dal maggiore numero di test diagnostici che oggi vengono eseguiti.

La variante inglese è dominante in Israele. Il recente rapporto del Coronavirus Knowledge and Information Center riporta che in Israele il 75% dei soggetti positivi ha meno di 40 anni e la metà dei casi gravi ha meno di 60 anni. Il rapporto conferma che il tasso di mortalità per Covid-19 nei giovani rimane molto basso, ma sono aumentati in maniera preoccupante nei giovani i sintomi post-Covid, che vanno dall’affaticamento, alla fame d’aria, ai battiti accelerati o martellanti, fino ad arrivare ai problemi di memoria, di concentrazione e del sonno.

Uno studio pubblicato da JAMA (Journal of the American Medical Association5 Marzo 2021) riporta in una elevatissima percentuale di casi (22%) di ragazzi sotto i 21 anni ricoverati a causa del Covid complicanze neurologiche, soprattutto encefalopatia e ictus.

A conferma di queste osservazioni un altro rapporto della Mayo Clinic (USA): anche nei giovani il SARS-Cov-2 può causare ictus, convulsioni e sindrome di Guillain-Barré (una paralisi transitoria).

Alcuni ricercatori (neurologi e psichiatri del Policlinico Gemelli di Roma) hanno osservato una ridotta performance cognitiva nei guariti da Covid-19 in rapporto a quella attesa per l’età e avanzano l’ipotesi che il danno cerebrale possa tradursi in un rischio aumentato di sviluppare il morbo di Parkinson e l’Alzheimer, di aggravarne il quadro clinico o di anticiparne l’insorgenza (Quotidiano Sanità 19 marzo 2021).

In Gran Bretagna un centinaio di bambini vengono ricoverati in ospedale ogni settimana per la sindrome infiammatoria multi-sistemica (MIS-C), osservata in molti centri pediatrici di diversi Paesi (anche in Italia) già all’inizio della pandemia e originariamente descritta come malattia di Kawasaki o simil-Kawasaki.

Uno studio pubblicato di recente da JAMA (Journal of the American Medical Association), ha analizzato 1.116 cartelle cliniche di giovani e giovanissimi (di età compresa tra 0 e 20 anni) ricoverati in 66 ospedali, sparsi in 31 Stati USA, nel periodo 15 marzo-31 ottobre 2020.

Circa la metà dei pazienti considerati nello studio aveva sviluppato la Covid-19 in modo acuto, prevalentemente a livello polmonare, e la restante metà presentava invece la sindrome infiammatoria multi-sistemica (MIS-C), in molti casi comparsa alcune settimane dopo la diagnosi di un’infezione da SARS-Cov-2, che si era manifestata in forma lieve. I ragazzi e i bambini che hanno sviluppato la sindrome infiammatoria multi-sistemica (MIS-C), avevano nella quasi totalità dei casi un’età compresa tra 6 e 12 anni. Più dell’80% dei pazienti con Covid-19 acuta polmonare, aveva meno di 6 o più di 12 anni. Nella maggior parte dei casi, i ragazzini che avevano sviluppato la sindrome infiammatoria multi-sistemica non avevano patologie pregresse. Dieci giovani pazienti con MIS-C, e otto con Covid-19 acuta polmonare, sono morti.

Anche in Italia il numero di infezioni nei più giovani è cresciuto in maniera preoccupante.

All’Ospedale San Matteo di Pavia, uno degli ospedali in prima linea sul  fronte Covid-19, i ricoveri dei bambini per Covid-19 sono aumentati del 20%. Il più piccolo aveva solo un anno, ora è guarito, ma ha avuto necessità di un attento monitoraggio e del supporto con l’ossigeno.

Ma i casi di Covid-19 sono aumentati soprattutto nei giovani.

La diffusione del contagio tra i giovani è dovuta a presunzione di essere invincibili, incoscienza, irresponsabilità e disattenzione nel’adottare le misure di contenimento

rispetto agli adulti. E’ ogni giorno sotto gli occhi di tutti. Gli assembramenti nei luoghi di aggregazione giovanile e la movida coinvolgono i ragazzi, certo non i vecchi.

E poi c’è la scuola. Sulla chiusura delle scuole le polemiche non sono mancate e non mancano.

Le scuole sono ambienti ristretti (più ristretti rispetto agli uffici). Genitori o altri parenti accompagnano i bambini e i ragazzi a scuola, creando inevitabilmente affollamenti. Ci sono poi altri importanti fattori di rischio, oltre agli assembramenti all’entrata e all’uscita dalle scuole e dalle aule, che riguardano i trasporti con i mezzi pubblici.

Che la scuola sia un momento di rischio della trasmissione dell’infezione è abbondantemente dimostrato: l’apertura delle scuole comporta un incremento del numero dei casi. Questo rischio può essere considerato accettabile quando la circolazione del virus è sotto controllo, ma in questo momento non è così e i dati e le proiezioni dimostrano una crescita esponenziale dei casi.

Continuare a rincorrere l’epidemia, aprendo e chiudendo le scuole e le attività commerciali, è uno sforzo vano, crea confusione, malcontento, sfiducia e tensione sociale. Un lockdown generalizzato per 2-3 settimane potrebbe essere l’ultimo sacrificio necessario per consentire una campagna di vaccinazione di massa in sicurezza e per vedere finalmente uno spiraglio di luce in fondo al tunnel?

Informazioni su Franca Regina Parizzi 27 Articoli
Nata a Milano il 15.12.1947, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1972 presso l’Università degli Studi di Milano con voti 110/110 e lode. Nel 1974 è stata assunta presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, inizialmente come Assistente nel Reparto di Malattie Infettive e successivamente, dal 1980, nel Reparto di Pediatria, divenuto nel 1983 sede della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, ove ha ricoperto successivamente (dal 1988) il ruolo di Aiuto Corresponsabile Ospedaliero, e, dal 2000, di Dirigente Medico con incarico di Alta Specializzazione. Ha conseguito la Specializzazione in Malattie Infettive e successivamente in Chemioterapia, entrambe presso l’Università degli Studi di Milano. Nel 1977 e 1978 è stata responsabile del Reparto di Pediatria presso l’Hôpital Général de Kamsar (République de Guinée – Afrique de l’Ouest) nell’ambito della Cooperazione Tecnica con i Paesi in via di sviluppo del Ministero degli Affari Esteri italiano. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e relatrice in diversi convegni (nazionali e internazionali). Dal 2010 si è trasferita da Monza a Lampedusa, isola alla quale è profondamente legata, dove esercita tuttora la sua attività come pediatra.

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