Barca scomparsa, naufragano le speranze

Soccorsa una barca con migranti al largo delle città portuali tunisine di Chebba e Mahdia dalla Guardia Nazionale della Tunisia, ma a bordo sono tutti subsahariani. Dopo cinque giorni dalla partenza non si hanno notizie dei sei ragazzi di Sfax partiti mercoledì 6 gennaio per raggiungere la costa italiana

Relitto di barca migranti tunisina sulla scogliera (Foto d'archivio)

di Mauro Seminara

Il 6 gennaio era partita dal porto tunisino di Sfax una barca con 6 ragazzi che intendevano bruciare la frontiera approdando in Italia. Sei “harraga” della stessa Sfax che avevano tentato la sorte come molti loro connazionali. Ma in questo caso qualcosa deve essere andato storto. L’ultimo contatto del telefono cellulare di uno dei ragazzi è dell’8 gennaio, quando un familiare ha provato – per l’ennesima volta – a chiamarlo e, forse inavvertitamente, al ricevente è partita la risposta. Sono le dodici e mezza circa di venerdì, il telefono è agganciato ad una cella e quindi la terraferma non è lontana più di tre miglia, ma il chiamante sente solo il suono delle onde del mare e per appena una trentina di secondi. Poi cade la linea.

Il giorno successivo, sabato 9 gennaio, intorno Lampedusa si vede una intensa attività di ricerca in mare. Un velivolo della Guardia Costiera “pettina” avanti e indietro un’area che i tracciati pubblicati dal cronista Sergio Scandura mostrano un’idea ben precisa di dove si potrebbe – o dovrebbe trovare – la barca dei ragazzi tunisini di Sfax. Un’area ben ritagliata tra ovest e nordovest dell’isola italiana ed una distanza dalla costa che potrebbe coincidere con un temporaneo aggancio di rete telefonica il giorno precedente. In mare ci sono anche le motovedette SAR classe 300 dello stesso Corpo, ma a sera il risultato è nullo. Della barca nessuna traccia. Ipotizziamo che il natante scomparso possa essere stato avvistato il giorno precedente da uno dei velivoli, Frontex e affini nazionali, che ogni giorno scandagliano quel tratto di mare compreso tra Sfax, le Pelagie e Pantelleria. Quello che, nel caso dovesse perdurare questo guinzaglio lungo 12 miglia nautiche intorno al collo della Guardia Costiera italiana, potrebbe presto trasformarsi in una sorta di nuovo triangolo delle Bermuda. Un nuovo buco nero in cui scompaiono barche e persone senza lasciare alcuna traccia ai familiari perché possano piangere i loro figli.

Le ricerche intorno Lampedusa coincidono con il giorno in cui un familiare ha lanciato l’allarme non avendo più notizie né risposte telefoniche dal telefono di chi si trovava in mare da tre giorni ormai. Ieri sera una fioca luce di speranza sulla sorte dei ragazzi si accende ma per pochissimo tempo, poi il buio. Il parlamentare tunisino eletto all’estero Majdi Karbai twitta che “Ia piccola imbarcazione con bordo 6 migranti di nazionalità tunisina, partita mercoledì scorso e di cui si sono perse le tracce, è stata trovata sulle coste tunisine zona Chebba-Mahdia e sono tutti salvi”. Manca poco alle venti di domenica e l’annuncio del soccorso effettuato dalla Guardia Nazionale tunisina illude per poco tempo. In precedenza, con altro tweet, Karbai aveva fatto riferimento ad un’imbarcazione scomparsa che era partita da Sfax mercoledì 6 gennaio alle 22:00. Ma il parlamentare faceva riferimento a 6 migranti di nazionalità tunisina e 24 di altre nazionalità.

Questa mattina lo stesso Karbai ha twittato che sull’imbarcazione soccorsa tra Chebba e Mahdia dalla motovedetta tunisina ci sono solo migranti di etnia subsahariana. Mancano quindi all’appello i sei ragazzi di Sfax che, con buona probabilità, sono partiti lo stesso giorno dallo stesso porto ma su una barca diversa da quella sulla quale sono stati fatti imbarcare i migranti subsahariani. Dopo cinque giorni quindi non si hanno notizie dei giovani harraga di Sfax che, se non hanno raggiunto la costa italiana con un cosiddetto “sbarco fantasma” dandosi alla macchia ma senza poter telefonare a casa, sembrano scomparsi nel buco nero del Mar Mediterraneo in cui i salvataggi scarseggiano in favore degli interventi di “law enforcement” in acque territoriali che non tutti riescono a raggiungere.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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