Natale De Grazia, 12 dicembre 1995

La vita, le indagini e la misteriosa morte del Capitano di Fregata della Guardia Costiera che indagando per conto della Procura di Reggio Calabria su un traffico di illecito smaltimento di rifiuti si era imbattuto in un traffico di rifiuti tossici e radioattivi, di armi e di droga su scala internazionale

Il Capitano di Fregata Natale De Grazia, deceduto misteriosamente la notte tra il 12 ed il 13 dicembre del 1995

Natale De Grazia, classe 1956, è un Capitano di fregata, medaglia d’oro “alla memoria” al Merito di Marina, deceduto il 12 dicembre 1995 a Nocera Inferiore, in Calabria. Il Capitano De Grazia venne inizialmente certificato defunto a seguito di un malore che gli avrebbe causato un arresto cardiaco, ma sotto la prima semplicistica versione sulla sua prematura scomparsa si celava una storia di orrendi crimini sui quali l’uomo della Guardia Costiera stava indagando. Il curriculum di Natale De Grazia, fornito dalla Guardia Costiera che ieri ha varata una nuova unità navale che porterà il suo nome, è impeccabile e da esso si evince il profilo di una persona brillante ed impeccabile.

Conseguito il titolo professionale marittimo di Capitano di lungo corso nel 1981, effettua quattro anni di navigazione in qualità di 2º e in seguito di 1º Ufficiale di coperta su navi mercantili e petroliere, raggiungendo il titolo di capitano di lungo corso. Nel 1983 vince il concorso pubblico per Ufficiali a nomina diretta ed entra a far parte del Corpo delle capitanerie di porto Guardia costiera, raggiungendo in un anno il grado di Guardia marina e in seguito di Capitano di corvetta.

Tra il 1984 e il 1991, De Grazia presta servizio prima presso la Capitaneria di porto di Vibo Valentia e quindi nel Compartimento Marittimo di Reggio Calabria. Nel 1991 assume il comando del Circondario Marittimo di Carloforte (Cagliari). Nel 1994, a seguito di un nuovo trasferimento presso la Guardia costiera di Reggio Calabria, collabora attivamente con un pool investigativo coordinato dal sostituto procuratore Francesco Neri, costituito per effettuare le indagini sulle “navi a perdere”, sospettate di essere state affondate, deliberatamente, con il loro carico di rifiuti radioattivi.

La notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1995 il Comandante De Grazia muore improvvisamente in circostanze sospette mentre si recava alla Spezia per attività di indagine.

Nel 2004 il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, insignisce De Grazia della medaglia d’oro “alla memoria” al Merito di Marina, perché la sua opera «è stata contraddistinta da un altissimo senso del dovere che lo ha portato, a prezzo di un costante sacrificio personale e nonostante pressioni ed atteggiamenti ostili», a svolgere complesse investigazioni nel settore dei traffici clandestini e illeciti operati da navi mercantili.

Cosa è successo quella notte e su cosa stava indagando Natale De Grazia?

Istituita con legge del 6 febbraio 2009, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti depositò nel febbraio del 2013 una relazione sulla morte del Capitano di Fregata Natale De Grazia. Un documento di oltre 300 pagine approvato all’unanimità dalla Commissione che raccoglie tutte le criticità e le incongruenze sul decesso dell’uomo dello Stato che pare essere stato vittima due volte: la prima per omicidio e la seconda per il depistaggio che avrebbe dovuto far sparire il motivo della sua morte. Quello che dopo venticinque anni pare ancora un caso di omicidio irrisolto, di cui non sono mai state trovate né realmente cercate le prove, nasce da un esposto di Legambiente che finisce sul tavolo della Procura della Repubblica di Reggio Calabria relativo a presunti interramenti di rifiuti tossici in Aspromonte. Natale De Grazia si trova a far parte del pool investigativo coordinato dal sostituto procuratore Francesco Neri.

Nel corso dell’inchiesta – recita la relazione della Commissione parlamentare – si aprirono subito scenari inquietanti legati al fenomeno delle «navi a perdere», indicandosi con tale espressione le navi affondate dolosamente con carichi di rifiuti radioattivi o comunque tossici, smaltiti illegalmente nelle profondità marine“. Qui entra in gioco il Capitano di Fregata Natale De Grazia. Insieme a lui fanno parte della squadra investigativa il maresciallo capo Scimone Domenico, appartenente alla sezione di polizia giudiziaria dei Carabinieri presso la Procura di Reggio Calabria, il maresciallo Moschitta e il carabiniere Rosario Francaviglia, questi ultimi due appartenenti al nucleo operativo del reparto operativo Carabinieri di Reggio Calabria, ed in una successiva fase partecipano attivamente alle indagini anche ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo forestale dello Stato di Brescia e di La Spezia.

Scrisse la Commissione parlamentare sull’operato di Natale De Grazia e su quanto accadde con la sua morte: “Nelle indagini il capitano De Grazia profuse una dedizione ed un impegno fuori dal comune, tali da farlo considerare, anche dai sui stessi colleghi, il « motore » dell’inchiesta. Non a caso, dopo la sua morte, le attività investigative (giunte a risultati importanti e, da un certo punto di vista, ad una vera e propria fase di svolta) subirono un rallentamento significativo: alcune delle attività che il capitano stava personalmente compiendo non furono proseguite e si disperse, in parte, quel bagaglio di conoscenze e di professionalità che il capitano aveva acquisito nel corso dell’inchiesta e aveva messo a servizio dei magistrati e dei colleghi.”

Il procuratore capo della Procura di Reggio Calabria, estremamente soddisfatto delle doti investigative  dell’abnegazione del Capitano De Grazia, chiese ed ottenne la dispensa dell’ufficiale di Guardia Costiera da altri servizi ed il totale affidamento al pool investigativo. Ottenuto il completo servizio di Natale De Grazia, il procuratore capo Scuderi ed il sostituto Neri gli affidarono l’esecuzione di deleghe investigative per acquisire a La Spezia documenti utili all’approfondimento degli affondamenti di navi sospette tanto quanto il loro carico. Il Capitano di Fregata partì alla volta di La Spezia insieme ai due colleghi di team investigativo appartenenti all’Arma dei Carabinieri: il maresciallo Moschitta ed il carabiniere Francaviglia. Un lungo viaggio con auto di servizio che il Capitano Natale De Grazia non riuscirà a terminare. È il pomeriggio del 12 dicembre 1995 e l’uomo di punta dell’indagine deve andare a setacciare documenti che probabilmente rappresentano tracce fondamentali per la ricostruzione dei movimenti di quelle cosiddette “navi a perdere”, mercantili affondati per inabissare rifiuti tossici nei mari della Calabria.

L’ufficiale della Guardia Costiera ed i due militari dei Carabinieri stanno percorrendo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Sulla strada si erano fermati a cenare e poi avevano ripreso il cammino ma ad un certo punto il Capitano De Grazia, secondo quanto dichiarato dai due militari che lo accompagnavano, viene colto da malore. Stando agli atti ufficiali, il Capitano Natale De Grazia non viene accompagnato dai carabinieri Moschitta e Francaviglia in ospedale con l’auto di servizio ma sarà un’ambulanza a farlo. Un’ambulanza che prende a bordo l’ufficiale colpito da un malore per condurlo al Pronto Soccorso di Nocera Inferiore dove – ufficialmente – Natale De Grazia arriva già deceduto nelle primissime ore del 13 dicembre. Natale De Grazia muore, in circostanze particolari, mentre conduce un’indagine e le indagini sulla causa del suo decesso appaiono immediatamente ed artatamente lacunose. Di cosa si stava occupando l’uomo così scomparso in un delicato momento dell’inchiesta lo esplicita in un breve e semplice periodo la Commissione parlamentare: “Nell’ambito di questa più ampia inchiesta, invero, sono emerse talune peculiarità relative alle circostanze che hanno accompagnato il decesso del capitano ritenute meritevoli di ulteriori approfondimenti sia perché le indagini effettuate all’epoca furono carenti sotto molteplici aspetti, lasciando insoluti interrogativi in ordine alle cause del decesso sia perché tale tragico evento si inserisce in un contesto investigativo del tutto particolare in ragione degli interessi in gioco e dei personaggi coinvolti (dalle indagini sulle navi a perdere condotte dalle procure di Reggio Calabria e Matera emersero, infatti, per la prima volta indizi di un disegno criminoso di respiro sovranazionale, nel quale apparivano coinvolti diversi Stati, riguardante il presunto inabissamento in mare di rifiuti tossici).

Natale De Grazia muore, ed il maresciallo Moschitta, in contatto con il proprio Comando provinciale, la Procura della Repubblica reggina ed un famigliare dell’ufficiale di Guardia Costiera, chiede subito che venga eseguito un esame autoptico. Il collega quindi non crede subito al semplice malore e vuole un’autopsia, che però viene inizialmente definita inutile trattandosi “evidentemente” di morte naturale. Malgrado le insistenze dei militari, e non solo, la Procura competente a livello territoriale dava il nullaosta alla sepoltura senza autopsia dell’uomo che d’un tratto ha chinato il capo sulla spalla ed è morto, secondo il medico legale per un infarto. La ricostruzione di quanto accadde quella sera, in breve, è la seguente:

Il trio investigativo si ferma a cenare a Campagna, al ristorante “Da Mario”; si rimettono in marcia alle 23:30 e con Natale De Grazia sul sedile del passeggero, il carabiniere Francaviglia alla guida ed il maresciallo Moschitta dietro il Capitano di Fregata procedono per il loro viaggio; Natale De Grazia dice ai colleghi che intende riposare un po’, allaccia la cintura e mantiene la propria posizione in auto; venti minuti più tardi il Capitano De Grazia sta russando; a mezzanotte, mentre il veicolo rallentava per superare il casello autostradale di Salerno Mercato il maresciallo Moschitta vede che Natale De Grazia china di colpo la testa: è morto.

I due militari, Moschitta e Francaviglia tentano di rianimarlo e non accettano l’evidenza neanche all’arrivo dell’ambulanza, quando il sanitario a bordo dice loro che non c’è più nulla da fare. Insistono i due colleghi di pool e Natale De Grazia viene condotto al pronto soccorso di Nocera Inferiore dove viene certificata la morte, poi anche dal medico legale che determina un arresto cardiaco. Questa la ricostruzione basata principalmente sulle testimonianze dei due militari che viaggiavano con Natale De Grazia.

Natale De Grazia verrà poi sottoposto all’esame autoptico e sostanzialmente tutto si concluse con quello che l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce come “morte naturale avvenuta in presenza o in assenza di testimoni e dovuta ad arresto cardiaco improvviso, verificatosi inaspettatamente in un soggetto che fino a sei ore prima godeva di buona salute”: la morte improvvisa di un adulto. L’esame tossicologico non rilevò presenza di droghe, ma fu mirato solo al rilevamento di droghe o alcol e non vennero effettuati esami per la ricerca di veleni. Due anni dopo il cadavere di Natale De Grazia viene riesumato per ulteriori accertamenti, ma l’esame viene affidato allo stesso medico che conclude allo stesso modo la sua ricerca, affermando di non aver trovato tracce di veleni capaci di uccidere in poche ore. Nessuna ricerca su altre forme di avvelenamento e dubbi dei famigliari sul caso. Natale De Grazia rimane un caso avvolto da un alone di mistero, fra incongruenze e dubbi relativi a vizi investigativi, ma la causa della sua morte rimane chiusa tra le ipotesi di stress da troppo lavoro ed una patologia pre-esistente e mai rilevata. Ma perché il caso del suo improvviso decesso era stato tanto delicato da prevedere indagini, approfondimenti, riesumazioni ed infine una Commissione parlamentare d’inchiesta? Quando Natale De Grazia iniziò ad indagare su reati ambientali, come da prove raccolte dalla Commissione parlamentare attraverso testimonianze e fascicoli d’inchiesta delle Procure della Repubblica coinvolte, non trovò soltanto rifiuti speciali illecitamente smaltiti ma traffici di rifiuti tossici e radioattivi, traffici di armi e di droga ed un giro che coinvolgeva molti Stati, dalla vicina Libia alla Russia ed anche vicini e “civili” Paesi europei. Un giro d’affari simile a quello in cui si era imbattuta la giornalista Ilaria Alpi, uccisa in un agguato in Somalia insieme al suo cameraman Miran Hrovatin, a Mogadiscio, nel marzo del 1994.

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