Libia, anche gli USA perdono un drone su Tripoli

Un drone statunitense è stato abbattuto sopra Tripoli durante una missione Africom. Il velivolo è scomparso dai radar appena due giorni dopo l'abbattimento del drone italiano precipitato a Tarhuna. Secondo l'OIM "In questo momento i bombardamenti a Tripoli e dintorni sono molto pesanti"

Uno dei più evoluti droni USA che decollano dalla base militare italiana di Sigonella (Sicilia)

di Mauro Seminara

Il 20 novembre abbiamo dato la notizia, a rottami ancora fumanti, del drone “Predator” italiano abbattuto sui cieli della Libia e precipitato a Tarhuna, circa cinquanta chilometri a sud della capitale. Del caso aveva dato conferma la Difesa italiana, dichiarando che con il drone era stato “perso il contatto” mentre sorvolava il Mediterraneo centrale in ausilio alla missione “Mare sicuro”. Appena tre giorni dopo, è questa volta la Difesa americana a dare notizia di un drone con cui è stato perso il contatto. Il drone in questione, anche questo disarmato, era schierato nella missione statunitense Africom ed è scomparso sui cieli di Tripoli come quello italiano.

L’ufficio relazioni esterne del Comando Africa degli Stati Uniti (missione Africom) ha emesso un laconico comunicato stampa come si conviene in circostanze militari di questo genere, con poche e misurate parole sull’incidente e qualcuna in più spesa per giustificare la presenza del velivolo in area. “Un aereo disarmato a pilotaggio remoto del Comando USA degli Stati Uniti (RPA) è stato perso su Tripoli, Libia, il 21 novembre”. Questa la breve ma obbligata comunicazione che dal comando americano viene fornita anche se sul caso è aperta un’inchiesta. Un dovere dimenticato in Italia, dove l’apertura di un inchiesta di una Procura autorizza un Corpo dello Stato ad omettere ogni forma di comunicazione con la stampa.

Il Comando USA militarmente impegnato in Libia con la missione Africom puntualizza che: “Le operazioni di RPA sono condotte in Libia per valutare l’attuale situazione di sicurezza e monitorare l’attività estremista violenta”. Un po’ la solita storia degli sceriffi, quindi i buoni, che si trovavano a sorvolare un teatro di guerra civile per una nobile causa: la guerra al terrorismo. “Queste operazioni – prosegue la laconica nota Africom – sono fondamentali per contrastare l’attività terroristica in Libia e sono pienamente coordinate con i funzionari governativi appropriati”. Nessun dettaglio sul tipo di drone, se non che era in volo disarmato. Particolare che non è esattamente immediato quando negli stessi cieli si combatte una guerra.

Una precisazione di non poco conto però, con cui gli americani sottolineano che il velivolo non si trovava sui cieli della Libia in missione segreta ma con l’approvazione del Governo di Tripoli (oppure soltanto dei “funzionari governativi appropriati“), il Governo di Accordo Nazionale (GNA) presieduto da Fayez al Serraj ed assediato dal Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar che vi ha dichiarato guerra il 4 aprile di quest’anno. Già nel caso del drone italiano precipitato a Tarhuna, era stata rivendicata dal comandante sul campo delle forze di Haftar la legittimità dell’abbattimento di un velivolo militare “ostile”.

“L’incidente è attualmente sotto inchiesta”, chiude la nota diffusa ieri dal Comando Africom di Stoccarda, in Germania. Ma mentre Italia e Stati Uniti perdono droni in missione in Libia viene diffusa un’altra informazione su cosa sta accadendo su quei cieli, ed è dell’OIM. Sollecitando la comunità internazionale ad attivarsi per smantellare con la massima urgenza il sistema di detenzione migranti in Libia, l’Organizzazione Internazionali per le Migrazioni delle Nazioni Unite ha ieri affermato che “In questo momento i bombardamenti a Tripoli e dintorni sono molto pesanti”. La guerra infuria, ed ha connotati tutt’altro che da “guerra civile”.

La capitale, Tripoli, è sotto assedio e perfino i sofisticatissimi droni italiani e statunitensi – che sorvolano ad elevata altitudine – non sono più al sicuro. Non è da escludere che il Governo riconosciuto dalle Nazioni Unite stia per capitolare sotto i colpi delle forze di Haftar e, soprattutto, dei suoi alleati. Tutto questo accade mentre l’Unione europea si ostina a respingere in Libia i profughi che erano riusciti a mettersi in mare e fingere che la frazione dello Stato nordafricano con cui ancora – almeno su carta – c’è un dialogo sia un “porto sicuro”.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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