Letizia Moratti e il PIL

Sappiamo bene che basta nascere dalla parte “sbagliata” di una nazione o addirittura del pianeta per trovarsi senza diritti, servizi essenziali quale l’accesso all’acqua, al cibo e all’istruzione, per morire di malattie altrove curabili e per restare vittima di violenza criminale o politica

di Salvatore Lillo

Letizia Moratti ha stampato perennemente in volto l’espressione di albagia di quelle persone che, essendo nate ricche e privilegiate, pensano che sia loro dovuto tutto. Non è difficile immaginarsela in abiti e parrucca da dama del ‘700 in compagnia di un cicisbeo in polpe e tricorno, col volto tutto incipriato come un “giovin signore” di pariniana memoria e magari somigliante al piccolo avvocato di provincia Attilio Fontana.

Sa di appartenere ad una razza padrona. Infatti senza alcuna esperienza nel campo della comunicazione, divenne Presidente della Rai per volere di Silvio Berlusconi in conflitto di interesse, perché proprietario delle reti televisive concorrenti. Lei non fece una piega e per ingraziarsi il suo protettore puntò a fare della Rai “un’azienda complementare della Fininvest”. Poi, sempre sotto l’egida di Berlusconi, divenne Ministro dell’Istruzione. Si badi bene, non della Pubblica Istruzione, perché l’aggettivo “pubblico” è totalmente inviso a persone di tal fatta. Infine fu eletta Sindaca di Milano.

Durante il suo mandato la città tradizionalmente più aperta e accogliente d’Italia, assunse un aspetto arcigno e ostile. I ghisa, come per tradizione a Milano si chiamano i vigili urbani, divennero inutilmente fiscali, se non vessatori nei confronti dei cittadini per realizzare anche a Milano la stessa “tolleranza zero” della New York di Rudolph Giuliani mentre veniva tollerato l’abuso edilizio del figlio della Moratti, in arte Batman. Sui mezzi pubblici bastava avere il colore della pelle un po’ più scuro per vedersi richiedere con accanimento il biglietto da uno stuolo di solerti controllori, spesso senza divisa per non essere individuati, intenzionati a eliminare una volta per tutte gli abusivi dai mezzi pubblici. Tali vere e proprie angherie provocavano avvolte la protesta e la riprovazione degli altri passeggeri. Da Sindaca considerò la casa dei milanesi cioè il Comune di Milano, come un’azienda personale, assumendo nuovi dirigenti scelti personalmente e non con concorso come prevede la Costituzione e sottopose a pressioni i vecchi dirigenti, considerati inaffidabili, affinché si mettessero da parte e andassero in pensione.

Così la “sciura” Letizia non fu, fortunatamente, riconfermata per un secondo mandato, essendo bastato ed avanzato il primo a far comprendere ai milanesi in che mani si fossero affidati. Dopo la sconfitta elettorale donna Letizia tornò al “lavoro usato”: Banche e Finanza. Sembrava che si fosse finalmente levata di torno dalla vita pubblica, quando inopinatamente, il peggiore Presidente della storia lombarda, l’ha riesumata riuscendo al tempo stesso a ridimensionare sé stesso, nominandola Vicepresidente e Assessora alla Sanità, o meglio al Welfare come preferiscono le persone che hanno frequentato master in America in cui hanno appreso il verbo neoliberista che propinano poi in Italia come ricetta di efficienza economica.

Il suo primo atto è stato quello di chiedere che, nella distribuzione dei vaccini, dovesse essere preso in considerazione il criterio del PIL (Prodotto Interno Lordo). Una richiesta di una ferocia classista neanche dissimulata, senza precedenti. Sarebbe come dire che occorre curare e vaccinare sulla base del reddito. In altri termini questa donna pretenderebbe di rendere formale e giuridicamente sancito, quello che sin’ora era stato solo un dato di fatto delle ingiustizie della storia: la discriminazione dei meno abbienti che invece bisogna combattere e abolire.

Sappiamo bene che basta nascere dalla parte “sbagliata” di una nazione o addirittura del pianeta per trovarsi senza diritti, servizi essenziali quale l’accesso all’acqua, al cibo e all’istruzione, per morire di malattie altrove curabili e per restare vittima di violenza criminale o politica. Dopo la caduta del Sistema comunista, condannato sempre per l’assenza di libertà e per la sua ideologia fondata sulla lotta di classe considerata generatrice di odio sociale, la lotta di classe non si è affatto fermata. Al contrario essa è ripresa con maggiore vigore. Soltanto che questa volta è condotta dai privilegiati per escludere tutti gli altri dalla ricchezza.

La Moratti ha detto parole “dal sen fuggite” che “richiamar non vale” perché rappresentano il suo vero pensiero che è quello neo liberista che si sta sempre più affermando come un pensiero unico per il quale non è neanche pensabile un mondo diverso o più umano di quello in cui viviamo. Esso sta ispirando la più terribile e crudele guerra sociale della storia per escludere dal potere e dalle decisioni che contano la quasi totalità del genere umano, declassato ormai al ruolo di produttore e consumatore. Il sistema in cui ci vogliono far vivere è molto più totalitario di quello nazista e comunista messi insieme. Entrambi questi sistemi, nonostante la crudele repressione che adoperarono, non riuscirono a soffocare totalmente il dissenso. Quello neoliberista punta invece a costruire un sistema dove gli schiavi, produttori/consumatori non si sentano tali e non hanno quindi il bisogno di dissentire. Anche perché sono stati persuasi che non c’è alcuna alternativa. I romanzi di Orwell erano Disneyland al confronto.

Non fu Marx ad inventare la lotta di classe. Essa preesisteva. Egli semmai la scoprì studiando le società umane e vi intravide una possibilità di dinamismo storico a cui tentò di dare un esito positivo, sociale e politico per il superamento dell’oppressione e dell’alienazione dell’uomo. Se l’esperimento storico del Comunismo non ha dato i frutti sperati e si è rivelato fallimentare, questo non deve diventare motivo per l’accettazione supina del pensiero unico dominante che tra l’altro porta al suicidio dell’umanità. Dobbiamo invece, con sempre maggiore impegno, lavorare alla nascita di nuove forme di pensiero divergente per la simultanea liberazione dell’uomo dalle catene dell’alienazione personale  e da quelle dell’alienazione sociale per far nascere un uomo nuovo capace di affrontare questi tempi così difficili.

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