Lockdown per la terza età: soluzione scientifica o utopia irreale?

I decisori politici si sono orientati quasi tutti sulle soluzioni più severe sul piano della socialità nell’obbiettivo di contenere mortalità e paralisi delle strutture sanitarie adeguandosi all’Italia che per prima ha adottato il lockdown, pur annoverando alla fine della prima ondata 35.000 morti

di Aldo Di Piazza

Una recente disamina, “Covid. ‘Lockdown selettivo per età: isolando gli anziani salveremmo migliaia di vite’. La proposta Ispi”, pubblicata da Quotidiano sanità , il 30 ottobre 2020, esamina uno studio di un ricercatore ISPI, dott. Matteo Villa, su modelli differenti di chiusure selettive in contrasto all’epidemia SARS-COVID19.

Il ricercatore evidenzia come “in Italia (ma pressappoco la stessa cosa avviene in tutto il mondo), l’82% dei deceduti per Covid aveva più di 70 anni e il 94% ne aveva più di 60 anni. È d’altronde naturale che sia così: è ormai noto che la letalità plausibile del virus cresce esponenzialmente con l’età, uccidendo meno di 5 persone su 10.000 nella fascia d’età 30-39 anni, ma oltre 700 persone ogni 10.000 tra gli ultra-ottantenni”.

Una analisi statistica molto accurata evidenzia che sarebbe sufficiente isolare gli ultra-ottantenni per dimezzare o quasi la mortalità diretta del virus. Se poi riuscissimo a isolare efficacemente gli ultra-sessantenni, la mortalità scenderebbe allo 0,07%, circa dieci volte inferiore al dato complessivo in un quadro di libera circolazione virale che presuppone una mortalità sulla popolazione generale di circa 460.000 soggetti, in Italia in un anno solare.

Ricapitolando, sottolinea l’analisi, ”anche in uno scenario di diffusa circolazione virale nella popolazione più giovane, si scenderebbe da un eccesso di mortalità diretta per Covid-19 di 460.000 persone senza isolamento, a 120.000 (-74%) se si isolassero gli ultra-settantenni e a 43.000 (-91%) se si isolassero gli ultra-sessantenni. È come dire che la mortalità totale nel corso di un anno solare in Italia aumenterebbe del 71% senza isolamento, ma solo del 18% con isolamento degli over-70, e appena del 7% con isolamento degli over-60”.

Di certo – ribadisce Villa – “l’isolamento selettivo non sarebbe, da solo, una soluzione al problema della saturazione degli ospedali. Ma renderebbe ogni livello di contagio notevolmente più sostenibile, perché sia il numero massimo delle persone che necessiterebbero di terapia intensiva, sia la velocità di riempimento dei posti a disposizione sarebbero nettamente inferiori” .

Ciò potrebbe evitare il collasso dei sistemi sanitari ordinari e di emergenza, timore principale di tutti i sistemi sanitari nazionali, quando la curva dei contagi prende l’andamento esponenziale, come si sta verificando in questi giorni in Italia.

Il contrapporsi di due posizioni, tra esse apparentemente opposte, di fronte alla pandemia è sorto molto presto, ai primi dell’anno, appena fu chiaro cosa stava per prepararsi, fra fondamentalmente da un lato gli economisti e dall’altro i medici in generale e nello specifico virologi, epidemiologi, infettivologi.

In mezzo i decisori politici

I primi ponevano come obbiettivo le attività economiche avendo come misuratori macro economici quelli a tutti noti, PIL e via dicendo. Devo precisare che i fautori di questa posizione rigorista economica erano in parte una costola dei Chicago Boys, tristemente noti come i teorici della Globalizzazione, con anche alcune voci di dissenso, nel loro ambito, come quella sicuramente autorevole di Joseph Stiglitz. Semplificando i termini hanno sostenuto soluzioni che conservassero integre le filiere economiche ed industriali, senza curarsi degli effetti sanitari del liberi tutti.

Non si può sostenere che non siano coerenti con il liberalismo più estremo: Chi è più forte vince e sopravvive, chi è più fragile scompare.

Per supportare tale tesi hanno sposato teorie indimostrate, come l’immunità di gregge, e citando le pandemie storiche dell’umanità come esempio, dimenticando che parlare di Immunità di Gregge, senza aver a disposizione i vaccini è una imbecillità. Non è una soluzione, è lasciar fare alla natura; come se le risposte, sul piano della scienza e dell’organizzazione sociale che l’Umanità possa dare oggi siano le medesime del quattordicesimo secolo.

Allora si viaggiava a piedi od al massimo a cavallo, oggi andiamo sulla luna.

Lo stesso è successo in medicina. Il secolo scorso, durante la Pandemia della Spagnola, durata tre anni, si contarono intorno a 50 milioni di morti con una popolazione umana di circa 1,5 miliardi di persone. Ecco cosa succede lasciando fare all’immunità di gregge. Considerando il tasso di letalità attuale (quasi 4%) alla fine della SARS-COVID19 pandemia conteremmo oltre 300.000.000 di morti.

Chi è disposto ad assumersi questo costo fatta eccezione per irresponsabili e verosimilmente criminali come Trump, Bolsonaro e qualche altro compagno di merenda?

Mi dispiace pensare che non potrò avere il piacere di vedere quale sarà il giudizio della Storia per questi personaggi.

L’altra compagine contrapposta, quella tecnica, chiamiamola sanitaria, mettendo da parte le dinamiche economiche ha preso di mira le conseguenze sanitarie cercando di ottimizzare i risultati, a fronte dei SSN presenti sul campo, cercando soluzioni sull’aggregazione sociale nel cui quadro i meccanismi epidemici si sviluppano. Il tutto corroborato da una epidemiologia molto solida sulle soluzioni da adottare.

I decisori politici, tranne le eccezioni di cui sopra, si sono orientati quasi tutti sulle soluzioni più severe sul piano della socialità nell’obbiettivo di contenere mortalità e paralisi delle strutture sanitarie. Tutti si sono più o meno rapidamente adeguati all’Italia che, per prima investita, per prima ha fatto scoprire il magico sapore del lockdown, con buoni risultati, pur annoverando alla fine della prima ondata 35.000 morti.

Francia , Spagna , Germania , Gran Bretagna (dopo un corso pratico per Boris Johnson in terapia intensiva) e tutti gli altri a seguire, hanno fronteggiato questa prima botta con distanziamento sociale, chiusure, mascherine, igiene.

Bisogna precisare che in questi mesi la ricerca medica, la pratica clinica con il suo naturale ed ovvio e, direi, sacro empirismo, hanno determinato una diversa capacità di affrontare i problemi che questa patologia determina, migliorando decisamente le percentuali di guarigione; e tale progressione è continua, giorno per giorno, in attesa di un vaccino efficace e di anticorpi monoclonali a basso costo.

L’estate ci ha un po’ distratti tutti e ha forse illuso la popolazione che il problema fosse alle spalle, sospinta anche dalle amenità televisive di Zangrillo e Bassetti, nonostante tutti gli epidemiologi più seri paventavano una seconda ondata in autunno.

E la cosiddetta Seconda Ondata ci è arrivata come una sberla in pieno viso.

E’ chiaro che si sono fatti degli errori, ma non è questo l’argomento di questo articolo, ne parleremo un’altra volta.

Nel corso di questa estate e nei primi mesi autunnali, a bocce più ferme, si è valutato l’impatto economico della pandemia e le discese del PIL a due cifre,  regola per l’eurozona. Va ancora peggio per il resto del mondo industrializzato, e questo ha indotto ed incoraggiato previsioni di scenari economici drammatici per l’impatto della seconda ondata.

Bisogna anche capire che tutti i decisori politici hanno cercato di salvaguardare gli interessi economici vitali cercando soluzioni di compromesso; e questo è comprensibile.

La ricerca, quindi, di soluzioni più morbide ma egualmente efficaci sia sul piano sanitario che su quello economico, è diventata spasmodica ed in questo quadro  nasce la ventilata possibilità di effettuare dei lockdown selettivi per fasce di età.

All’inizio di questo articolo spiego le ragioni strettamente teoriche che fanno prendere in considerazione seriamente un lockdown selettivo per età, che in teoria porta il vantaggio sulla salute, con ampissima riduzione della mortalità, e consente al Sistema Sanitario di non entrare in affanno. Il tutto con i processi produttivi, sostenuti dal resto della popolazione, in pratica intatti, Almeno in teoria.

Sembra la soluzione perfetta.

Taiwan, la Corea del Sud e Hong Kong hanno dato i primi esempi di come fermare il Covid-19 senza isolamento. I loro riflessi addestrati dalla SARS nel 2003, dalla MERS e dall’influenza aviaria, hanno rapidamente tagliato i viaggi in Cina, hanno introdotto test diffusi per isolare gli infetti e hanno tracciato i contatti. Le loro popolazioni hanno rapidamente indossato mascherine protettive. ( Greg Ip – WALL STREET JOURNAL )
 
La Svezia ha adottato un approccio diverso. Anziché imporre blocchi, ha imposto solo modeste restrizioni per mantenere i casi a livelli che i suoi ospedali potessero gestire. Risultato: la Svezia ha subito più morti con l’indice di letalità 3 volte superiore rispetto ai vicini di Danimarca, Norvegia e Finlandia, ma meno della Gran Bretagna, e ha subito un prezzo economico inferiore a entrambi, secondo un’analisi di JP Morgan Chase & Co.

Ma per avere chiara evidenza della situazione complessiva mondiale consiglio vivamente di visitare il sito web della Johns Hopkins University (https://coronavirus.jhu.edu/map.html) dove con chiarezza visiva immediata si ha contezza della situazione e della sua possibile evoluzione.

Fatta eccezione di Taiwan e la Corea del Sud, che hanno contenuto la pandemia con utilizzo diffuso e concreto delle App telefoniche, con un tracciamento pronto ed efficace, con imponente “tamponamento” della popolazione e non ultimo con ammirevole disciplina della stessa, e della Cina che con metodologia militare, senza tanti complimenti, con un pragmatismo chirurgico ha avuto rapidamente la meglio ed è ben lontana, in atto, da una possibile seconda ondata. Bisogna però riconoscere che la capacità cinese di fronteggiare una pandemia sarà discutibile in ottica di libertà individuali, se pur ineccepibile per efficacia. Anche se, probabilmente, i numeri veri non sono stati quelli ufficiali.

Escludendo quindi il modello “militare” cinese, quasi tutto il mondo è ricorso a confinamenti più o meno serrati e soluzioni alternative efficaci sono fortemente ricercate.

Stando ai più recenti dati Eurostat, l’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di over 65, rispetto alla popolazione di età compresa tra i 15 ed i 64 anni.

 Il 35% degli italiani nel 2017 ha più di 65 anni .

Le persone anziane vivono così oggi in contesti familiari caratterizzati (dati ISTAT 2018 ):

  • dalla presenza maggioritaria di “coppie senza figli” fino alla soglia degli 84 anni: è così per il 48,0% delle persone fra i 65 e i 74 anni, per il 40,4% delle persone fra i 75 e gli 84 anni
  • da una significativa presenza (19,9%) di famiglie con coppia fra i 65 e i 74 anni in cui sono ancora presenti figli non ancora usciti dal nucleo genitoriale.
  • da famiglie con tutti anziani: dal 21,9% del 2003 al 23,9% del 2012-2013 per le famiglie di 65+ e dal 10,4% del 2003 al 12,7% del 2012-2013 per le famiglie di 75+
  • da una notevole percentuale di famiglie composte da “persone sole”: il 48,7% delle famiglie composte da persone sole sono anziani di 65 anni e più, di cui il 17,0% delle persone ha un’età compresa fra i 65 e i 74 anni; il 20,7% delle persone fra i 75 e gli 84 anni; l’11,1% persone con più di 85 anni
  • dalla condizione prevalente di “persona sola” dopo gli 84 anni: è così per il 52,2% delle persone con 85 anni e più
  • da un accentuato gap di genere nell’esperienza della solitudine in età avanzata:
    • fra gli uomini la percentuale di persone sole di 65 anni e più è del 30,0%, mentre fra le donne raggiunge il 62,5% (gap di genere di 32,5 punti percentuali);
    • Le donne vivono una straripante esperienza della vedovanza: l’83,5% delle persone vedove fra i 65 e gli 89 anni sono donne.

Questo quadro complessivo della collocazione sociale degli over 65 pone seri problemi attuativi su una soluzione che confina la terza età. A questo aggiungiamo a mo’ di esempio che la Lombardia annovera 500.000 over 65 che vivono in famiglia, così come la Campania ne annovera 420.000 ( ISTAT 2018) .

A primo acchito sembra un modello più realizzabile in contesti diversi da quello tipicamente mediterraneo, dove troviamo una società strutturata con un legame familiare, non solamente affettivo, forte e denso di significati, con antiche radici nella società contadina.  È uno scenario  che può essere immaginato in società con differente strutturazione, dove il distacco dalla famiglia è precoce e favorito dallo Stato, che ha assunto tutti i ruoli sussidiari   che aveva la famiglia nella sua interezza. Penso, per essere chiari, alle società scandinave, che hanno nell’ultimo secolo trovato un equilibrio tra le due polarità. Non è tutto così semplice ed aritmetico e si potrebbe obbiettare che la Scandinavia mostra il più alto numero di suicidi nella terza età, frutto forse dell’elemento  solitudine, enorme problematica irrisolta oltre le soluzioni che storicamente la famiglia tradizionale, originariamente contadina, aveva naturalmente trovato, attribuendo a chi sopravviveva al tempo il ruolo di testimone del gruppo e delle sue radici.

 Ma era un’altro mondo.

A questo punto ritengo che i Sociologi, che devo confessare non sono stati molto coinvolti almeno durante la prima fase, pongano le loro pregiudiziali, che gli Psicologi e gli Psichiatri facciano sentire la loro voce, oltre che per il problema scuola e didattica a distanza, anche sull’isolamento degli anziani con la solitudine che talvolta riempie tutti gli spazi e rende grigi tutti i colori.

A tal proposito rievoco una discussione con una mia amica tedesca, in una casetta nella Svezia meridionale, sulle rive di un lago, vicino ad un piccolo paese provvisto di ogni servizio sociale, che mi raccontava della vita quotidiana in questa piccola comunità, provvista di tutto, e mi diceva: “Sai, Aldo, abbiamo un’enorme problema relativo agli anziani. Immagina che a queste latitudini, l’oscurità o le tenui luci dominano otto mesi l’anno, e succede di frequente, che qualche anziano una sera decida di fare una bevuta oltre ogni limite di acquavite, o qualcosa di analogo, quindi esce nel terrazzino in piena notte, in pieno inverno, con indosso solo una camicia, si siede sulla sdraio e si lascia andare. Così vengono ritrovati al mattino.

Confesso che venni molto colpito da questo racconto, da questa dinamica lieve, da queste immagini in successione, quasi da sembrare un film di Bergman. E mi sono sempre sforzato, da allora, di osservare con maggiore attenzione questo mondo; e ricordo lo  sguardo intenso ma intristito di mio padre, quando leggeva sui necrologi la scomparsa di un conoscente, di un vecchio amico e mi diceva “siamo rimasti soli, tutti i testimoni della nostra vita non ci sono più”.

La nostra vita si evolve lungo le direttive del tempo. Da bambini  non abbiamo un passato, abbiamo un presente dominante, ed un istintivo imperioso futuro. Da adulti abbiamo un passato solido e pieno di eventi, un presente ancora dominante, un futuro in parte già utilizzato ma ancora progettabile. Da vecchi il passato è dominante con tutto il suo carico di scelte, di errori, di dolori e di gioie, il presente è tremolante, il futuro viene vissuto attraverso quello dei figli e dei nipoti, se ci sono; tranne che per quei fortunati che non hanno perso la voglia di giocare.

Come si è capito non posso condividere  una scelta come un Lockdown  selettivo per fasce di età perché non possiamo continuare a vedere tutto come solo un equilibrio tra l’infettivologia e l’economia ma dobbiamo inserire nelle nostre scelte altri elementi altrettanto importanti e quindi dobbiamo sforzarci di osservare il tutto non nei termini di una Pandemia, ma considerarla una Sindemia, come elaborato da Merril Singer trent’anni addietro.

Il pane è importante ma bisogna avere

la fame e la voglia di mangiarlo.

Altrimenti da solo non serve a niente.

Dedicato  a tutti coloro che non ce l’hanno fatta , a quella generazione di padri, madri e di nonne, nonni, che è stata falciata in questi drammatici mesi, portando per sempre via il loro affetto, la loro memoria familiare, i loro sorrisi. Abbiamo il dovere di trovare soluzioni migliori. Lo dobbiamo a loro.

                                                                  Dott . Aldo Di Piazza

                                                                  medico Internista

Informazioni su Aldo Di Piazza 7 Articoli
Nato ad Agrigento il 14/05/1950, ha conseguito la Laurea in Medicina e Chirurgia all'Università di Palermo nel luglio 1975 con 110/110 cum laude . Ha conseguito la specializzazione in Medicina Interna nel 1980 presso la Clinica Medica, diretta dal Prof. Edoardo Storti, dell'Università di Pavia . Ha prestato servizio come studente interno, dal 1971 al 1975, ed a seguire come Medico Interno sino al 1980, presso l'Istituto di Patologia Medica, diretta dal Prof. Giandomenico Bompiani, dell'Università di Palermo. Si è costantemente occupato di Metabolismo ed è stato responsabile del Centro Antidiabetico Mediterraneo, struttura accreditata al Servizio Sanitario Nazionale, sita a Palermo sino al 1990. Da allora sino al pensionamento, nel 2020, è stato responsabile di ambulatori territoriali di Medicina Interna e Diabetologia presso l'ASP 6 di Palermo e presso l'isola di Lampedusa nel poliambulatorio SSN. Grande esperienza nella gestione di patologie croniche e degerative sul territorio e nelle realtà isolane. Socio ordinario della SIMI (Società Italia Medicina Interna) e della SID (Società Italiana Diabetologia) da lunga data. Della SIMDO (Società Italiana Metabolismo Diabete Obesità) più di recente. Componente del Consiglio Direttivo Regionale SID per due quinquenni. Amante della lettura, della musica e della fotografia.

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