Oltre la pandemia, quello che serve alla sanità

Le liste di attesa oggi si misurano in semestri, con una incidenza non trascurabile su qualità e durata della vita dei cittadini visto che si stimano circa 24-30.000 mancate diagnosi di tumori maligni e una mortalità triplicata per le patologie cardiovascolari

di Costantino Troise

Presidente Nazionale ANAAO ASSOMED

I numeri parlano da soli. Quelli della pandemia sommersa, dei malati di altro da covid-19, delle prestazioni sanitarie non effettuate nel periodo della emergenza epidemica,sono pari  a circa 16 milioni di  visite specialistiche e accertamenti diagnostici, 310.000 ricoveri, 600.000 interventi chirurgici, 4 milioni di procedure di screening per tumori. Di fatto, quasi 5 mesi di prestazioni da recuperare. Le liste di attesa oggi si misurano in semestri, con una incidenza non trascurabile  su qualità e durata della vita dei cittadini visto che si stimano  circa 24-30.000 mancate diagnosi di tumori maligni e una mortalità  triplicata per le patologie  cardiovascolari. Un dramma cui porteranno scarso sollievo le misure previste dal “ decreto agosto” che stanzia risorse economiche per incentivare medici e infermieri a lavorare oltre il dovuto contrattuale.

Ma una retribuzione oraria che cresce di “ben” 20 euro su quella ordinaria, per lavorare magari di notte e nei week end, difficilmente apparirà attrattiva per professionisti sfibrati dalla dura esperienza primaverile, con ferie centellinate,se pure sono state concesse, e orari di lavoro e riposi derogati. Anche perchè si parla di retribuzioni al lordo, come se lo Stato non sapesse di riprendere con la mano destra la metà di quello che concede con la sinistra, negando ai medici pubblici ciò che è stato concesso agli insegnanti pubblici e a tutti i lavoratori privati, cioè la detassazione di questa parte del salario. Quanto alle assunzioni permesse, o promesse, siamo al solito precariato di stato, fatto di lavori usa e getta che in pochi sono disposti ad  accettare.

Nel frattempo, i cittadini sono costretti a tagliare le attese rivolgendosi al privato, quando non vi sono indirizzati dalle stesse Regioni, mentre continua la fuga dei medici pubblici, i più giovani all’estero, dove trovano gratificazioni economiche e professionali, i meno giovani nelle braccia di un privato che sulle macerie della pandemia va riorganizzandosi. Ovviamente su linee produttive ad alta remuneratività che lasciano al pubblico tutto il  peso della emergenza e della urgenza, spingendo in alto una spesa privata che già nel 2019 ha raggiunto i  34 miliardi sui 117 di spesa totale.

L’annunciato  “rinascimento della sanità” per la prima volta potrebbe contare su risorse non da tagliare ma da spendere,  dal  recovery fund o, meglio, dal Mes. Addirittura si parla di 34 miliardi per gli ospedali, da costruire, mettere in sicurezza o ammodernare. Se però va bene investire una marea di soldi in opere strutturali, di edilizia o investimento tecnologico, per una sanità nuova c’è molto altro da fare.

C’è  un nodo politico che l’agenda del governo rimuove dalle analisi  e dalla programmazione . Il  personale del SSN, medico soprattutto, numericamente carente, mal pagato, demotivato, stressato e oberato di attività, appare in preda a un burn out figlio della perdita di status e del  peggioramento crescente delle condizioni di lavoro, cui l’emergenza pandemica ha dato solo il colpo di grazia. Una progettualità oscillante tra ciò che è importante e ciò che è urgente, che ignori  che il lavoro è il valore fondante del SSN, rischia di confondere una riforma di struttura con le infrastrutture necessarie. Non solo moneta,ma  idee e competenze sono fondamentali per lo sviluppo di un sistema complesso come quello sanitario. Dove  il capitale umano conta quanto e più di quello economico. Lo scatto che serve oggi alla sanità è, appunto, la valorizzazione del suo capitale umano attraverso una innovazione profonda della organizzazione e della governance del sistema.

Per i dirigenti sanitari, tramontata la retorica degli eroi,  tutto rischia di essere peggio di prima. Ma senza personale motivato gli ospedali, vecchi o nuovi, sono destinati a essere quinte teatrali, le sofisticate tecnologie elementi di arredo, il territorio puro riferimento geografico. La rivoluzione copernicana non può che partire dai medici del SSN. Migliorando le condizioni del loro lavoro, garantendo retribuzioni coerenti con la sua gravosità e rischiosità, riformando il sistema di  formazione post laurea per i giovani, mettendo in campo una politica di assunzioni che recuperi i tagli del passato abolendo il precariato di Stato.

La questione, come si vede, non  può limitarsi all’edilizia, se non si vuole affossare il (fu) sistema sanitario (nazionale) migliore del mondo. I soldi servono ma non sono tutto. Un radicale cambiamento di paradigma sul ruolo e sullo status dei Medici è fondamentale per lo sviluppo di un sistema complesso come quello sanitario. Non riducibile a un indistinto “territorio”, erede unico di una “ospedalectomia” che va avanti da anni.

Lavorare in ospedale non deve essere una sofferenza, perchè la crescita del disagio dei professionisti, sommandosi alla crisi di fiducia dei cittadini a fronte della montagna di prestazioni negate, erode la sostenibilità del sistema sanitario, quali che siano le risorse investite. Il lavoro  dei medici ospedalieri reclama,oggi e non domani, un diverso valore, anche salariale, diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi che riportino i medici, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato.

1 Commento

  1. Concordo su quasi tutto, da inserire in una rivisitazione del SSN un riequilibrio con la medicina territoriale elemento fondamentale per una Sanità efficiente. E che non si faccia l’errore di destinare risorse al recupero delle liste d’attesa se non attraverso il potenziamento dei servizi pubblici :assunzione di nuovo personale e ripristino di adeguate strutture. Altrimenti significherà destinare risorse alla sanità privata.

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