Bambini e lockdown: Come va? All’inizio tutto bene…

Benessere è Salute Rubrica a cura della dottoressa Franca Regina Parizzi

di Marina Massenz

Un pensiero come premessa

Il gioco non è per il bambino solo un momento di piacere e di espressività, di scoperta di sé e di relazione con gli altri, ma anche un grande mezzo di conoscenza e di sviluppo delle sue capacità. Si cresce giocando; il piccolo sperimenta e conosce il proprio corpo, il suo movimento, impara a regolarsi nella relazione con i pari, ad accettare regole, a vincere paure. Esplora il mondo esterno, lo spazio sociale, conosce l’ambiente in cui vive e non solo quello domestico.

Credo che in un primo tempo il trovarsi a casa, per lo stato di emergenza sanitaria generale, magari con entrambi i genitori e/o i fratelli, possa essere stato vissuto un po’ come una specie di “vacanza” dalla normale routine, che comporta sempre in età evolutiva un certo sforzo di adattamento. Riferendomi ai bambini dell’età della scuola materna o primaria, si tratta di accettare regole, tempi uguali per tutti, di svolgere compiti non sempre graditi, di regolarsi secondo le richieste degli adulti di riferimento.

Dunque in un primo periodo penso ci sia stato un riappropriarsi della dimensione casa “a tempo pieno” e il piacere della presenza continua dei genitori; una bella rassicurazione (se gestita bene) e un tempo nuovo, lungo, da vivere insieme. Una situazione, appunto, eccezionale.

Bisogna sottolineare in questo senso come sia molto importante che i genitori abbiano dato in modo adeguato le informazioni necessarie ai bambini per comprendere il motivo di questa reclusione. Il messaggio deve essere il più possibile realistico, ma anche comprensibile e tradotto in linguaggio adeguato a seconda delle diverse età. È anche fondamentale che gli adulti siano in grado di non trasmettere ai piccoli le loro preoccupazioni per il lavoro o le loro ansie per la situazione di emergenza sanitaria che sicuramente preoccupa tutti; i genitori devono fare da “cuscinetto” tra questa difficile realtà e i propri figli, garantendo loro la serenità necessaria per accogliere con lo spirito giusto le necessarie limitazioni. I piccoli vivono nel presente, il che li porta a non preoccuparsi di quello che accadrà domani, cosa che invece negli adulti in quarantena genera ansia e apprensione relativamente a diversi aspetti della vita.

Gli adulti, pur dividendosi tra “smart working”, cure domestiche e tempo per i figli (cosa sempre laboriosa), penso si siano messi con impegno nella prima fase di questa emergenza a condividere giochi, cercare attività creative da fare insieme, sperimentare con i bambini alcune attività “dei grandi”, come cucinare (magari biscotti) o bagnare le piante o sbucciare i piselli.

Affermo questo dal mio osservatorio, pur parziale, di terapista della neuro e psicomotricità per l’età evolutiva; ho tenuto, tramite telefonate, videochiamate, whatsapp, etc. un rapporto almeno settimanale con le famiglie e i bambini che seguo. Ho inviato materiale per giochi di vario tipo da fare a casa, spunti per “piccole collaborazioni domestiche”, qualche indicazione poi più specifica e mirata per ogni singolo bambino, tenendo presente quali aree di sviluppo fosse più utile e possibile sollecitare anche in questa situazione di lunga permanenza a casa.

Anche a casa infatti si possono fare moltissimi giochi interessanti e piacevoli; solo per fare alcuni esempi, esiste sempre la grande risorsa del gioco simbolico o di finzione, da quello più elementare a quello più complesso, magari con utilizzo di travestimenti. Si può muoversi, ad esempio con la musica: suonare strumenti, cantare, ballare. Inventare “percorsi psicomotori” tra gli arredi domestici, fare piste per biglie o macchinine; si può modellare, costruire, fare puzzle, impegnarsi in giochi da tavolo condivisi, spesso stimolanti dal punto di vista percettivo e/o cognitivo.

Saltare sul letto dei genitori, anche se loro strillano…

E poi? Dopo un mese?

Il primo impatto negativo di questa reclusione in casa è certamente legato alla limitazione dei giochi di movimento che in genere si realizzano negli spazi sociali, sia a livello scolastico che negli spazi aperti adibiti al gioco infantile. Difficilmente l’ambiente domestico può consentire il dispiegarsi delle energie dei bambini e la sperimentazione di sé che il movimento spontaneo e libero garantisce. Inoltre è anche molto importante per loro e inizia a pesare la protratta sospensione dei rapporti con i coetanei, i compagni di gioco abituali; spesso in modo silente, se sono ancora piccoli, avvertono tutti certamente la mancanza di queste relazioni.

Con il prolungarsi della permanenza in casa possono quindi subentrare difficoltà; nervosismo (anche per la mancanza appunto di movimento), capricciosità eccessiva, intolleranza alle piccole frustrazioni, regressione…

I bambini vivono inoltre la confusione di avere i genitori a casa, ma non nella modalità che vorrebbero; fanno fatica a tollerare la presenza-assenza, vedere la mamma o il papà impegnati in una chiamata di lavoro ad esempio e non disponibili per loro. Per questo motivo ho suggerito di organizzare bene le giornate; dividersi lo spazio e il tempo per stare con i figli, in modo che chi sta con loro possa in quel momento mettere in campo una reale disponibilità.

In questa circostanza inoltre è più che mai necessario fare attenzione ai loro comportamenti, saperli osservare. È possibile che si verifichino delle regressioni a stadi precedenti che danno sicurezza e funzionano da contenimento. Alcuni potrebbero tornare a cercare i peluche, il ciuccio o il biberon. A volte i giochi che i bambini improvvisano spontaneamente in questa situazione ci raccontano come stanno vivendo, perché mettono in scena le emozioni che li attraversano; possono rappresentare catastrofi, guerre, lotte tra animali, oppure scenari che evidenziano la necessità di sentirsi protetti, costruendo ad esempio case, tende, rifugi in cui raccogliere i pupazzi preferiti, teli, coperte, cuscini… costruendosi insomma quello che si è soliti definire nella scuola materna “lo spazio morbido”, luogo di conforto e rassicurazione.

Chi invece è più grandino, e frequenta già la scuola primaria, avrà comunque una certa continuità con il suo ambiente scolastico, sia nella forma di compiti o lezioni che vengono assegnati dagli insegnanti che per la maggiore possibilità di esprimere (e realizzare) il desiderio di sentire gli amici più cari o di vederli grazie alle moderne tecnologie.

È un momento particolare, in cui i genitori dovrebbero abbassare le aspettative, anche su se stessi; sforzarsi magari di tollerare più confusione e disordine in casa per permettere ai bambini di usare lo spazio liberamente: correre, andare sul triciclo, ballare… Dobbiamo cercare di garantire loro una buona dose di attività motoria perché in età evolutiva questo incide sullo stato psicofisico.

Derive da evitare…

Dopo questo lungo tempo di “clausura”, siamo in un momento in cui la difficoltà si fa sentire più vivamente, per diversi motivi che riguardano sia gli adulti che i bambini.

Per i bambini già scolarizzati molte energie dei genitori vengono consumate per cercare di farli studiare, mentre loro sono via via meno motivati… Infatti la motivazione all’apprendimento in età evolutiva è legata in grandissima parte alle relazioni (con i pari, con gli insegnanti) e dunque al contesto in cui generalmente si va per imparare. I piccoli, pre-scolari, hanno in genere dei tempi di gioco da soli piuttosto brevi, dunque i genitori vengono continuamente tirati in causa per essere partner con cui condividere l’attività del momento. Dunque le energie degli adulti durante la giornata sono disperse in mille rivoli (tra l’attenzione ai figli, il loro lavoro, le cure di casa) e si avverte una certa stanchezza. I giochi si fanno meno creativi e meno stimolanti, si ricorre più spesso all’uso routinario di attività e cose note per sprecare meno tempo e energie. Anche i genitori più consapevoli e impegnati, che prima evitavano l’uso di tablet e TV se non per tempi brevi e controllati, ora “parcheggiano” i piccoli davanti ai video con un latente senso di colpa, ma rendendosi conto di non avere più così tante risorse da mettere in campo.

Mi sentirei, per chiudere, di dare un piccolo suggerimento ai genitori. Data la situazione molto impegnativa e stressante che questa epidemia ci obbliga ad affrontare, con tutte le possibili ricadute di ansia su diversi fronti, forse sarebbe una cosa bella per tutti imparare a giocare.

Non dico che si debba per forza trovare piacevole giocare con le macchinine o con le bambole, ma la condivisione con tutta la famiglia di un gioco, magari un semplice gioco da tavolo, può essere davvero un momento di sollievo, se ci si abbandona al piacere di farlo e si dimenticano i doveri per un po’. Nella “cornice di gioco” si sta con concentrazione, passione, allegria; si condividono regole, obiettivi, si fanno alleanze, si rompono, si scherza, si fingono inimicizie e rivalità… Caratteristica del gioco è infatti quella di chiudere i giocatori all’interno di uno spazio-tempo speciale e sospeso, quasi un cerchio magico, che si conclude alla fine della partita e nel quale il senso di responsabilità e le diverse possibili preoccupazioni che la realtà adulta impone restano temporaneamente fuori dalla porta.

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