La crisi dei controlli sulla mobilità umana: il principio di realtà batte la propaganda

In assenza di una politica estera comune capace di risolvere le crisi regionali, dalla Siria alla Libia, l’Unione Europea e gli stati membri hanno rafforzato gli strumenti di controllo della mobilità dei migranti, in nome della lotta all’immigrazione “irregolare” ed ai trafficanti di esseri umani, senza aprire canali legali di ingresso e senza garantire l’effettiva attuazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati

di Fulvio Vassallo Paleologo

Da almeno un decennio il controllo violento sulla mobilità umana attuato con le politiche di negazione del diritto di asilo, di blocco delle frontiere e di criminalizzazione degli ingressi irregolari e di quanti li agevolavano, sia pure per motivi di soccorso, ha costituito il terreno di crescita di un diffuso senso comune incline al sovranismo, al populismo, alla xenofobia ed al razzismo istituzionale. Su questo terreno i partiti di destra hanno consolidato una crescita elettorale considerevole in tutti i paesi europei, al punto che oggi riescono a condizionare le scelte della maggior parte dei governi in carica e delle istituzioni europee, spesso bloccate dalle posizioni di chiusura dei paesi del gruppo di Visegrad ( Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) e dei loro alleati. Un blocco che ha comportato la paralisi del processo di riforma del Regolamento Dublino III, che continua a scaricare sui paesi più esterni (come l’Italia, la Spagna, la Grecia Cipro e Malta) l’onere principale nella gestione delle frontiere con i paesi terzi e nella accoglienza dei richiedenti asilo.

In assenza di una politica estera comune capace di risolvere le crisi regionali, dalla Siria alla Libia, l’Unione Europea e gli stati membri hanno rafforzato gli strumenti di controllo della mobilità dei migranti, in nome della lotta all’immigrazione “irregolare” ed ai trafficanti di esseri umani, senza aprire canali legali di ingresso e senza garantire l’effettiva attuazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, ma scendendo a patti con i regimi che governavano i paesi terzi, a partire dalla Turchia di Erdogan, per bloccare in quei paesi i potenziali richiedenti asilo che altrimenti sarebbero arrivati alle frontiere europee. Nello stesso periodo venivano progressivamente chiuse tutte le vie di ingresso legale, con la utilizzazione della categoria di “migranti economici” per giustificare non solo le pratiche di respingimento in frontiera, ma soprattutto la precarietà e lo sfruttamento degli stranieri “irregolari” presenti nel mercato del lavoro, ma perennemente esposti al rischio di essere arrestati, rinchiusi in un centro di detenzione per essere poi deportati nei paesi di origine. espulsioni con accompagnamento forzato che poi in realtà non venivano eseguite che in un numero ridotto di casi, appena qualche migliaio di persone all’anno.

Questo sistema di controlli sulla mobilità umana, spacciato come garanzia per difendere la funzionalità del sistema Schengen ( la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea), la effettività delle politiche di respingimento e di rimpatrio, la sicurezza interna e la pace nei rapporti con i paesi terzi, è ormai andato in crisi, e in questi mesi si frantumerà del tutto, in modalità che saranno evidenti. Anche a quella parte di popolazione che ha finora ritenuto di salvaguardare il proprio residuo benessere con il supporto alle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera e di blocco delle frontiere, accanendosi nella campagna di odio contro le ONG “colpevoli” di soccorrere troppi naufraghi nelle acque internazionali del Mediterraneo.

Il dato nuovo più rilevante è costituito dalla nuova politica adottata dalla Turchia, ormai entrata nel conflitto siriano,, che dopo mesi di ricatto all’Unione Europea per ottenere copertura sull’invasione del Rojava, adesso va oltre le minacce ed apre le proprie frontiere verso l’Europa, con la rottura sostanziale degli accordi che dal 2016 la legavano agli stati dell’Unione Europea, dietro un compenso che ammontava a diversi miliardi di euro. Si può quindi costatare che l’Europa ha commesso una grave errore di valutazione nel ritenere Erdogan un partner affidabile capace di garantire un controllo effettivo e duraturo delle vie di fuga che i siriani sono costretti a percorrere ancora oggi. Dalla Siria arriva una richiesta di aiuto che non può essere evasa con altre politiche di collaborazione con regimi autoritari, allo scopo esclusivo di fermare i profughi in fuga. politiche che portano soltanto alla guerra ed allo sterminio di altri innocenti.

Sul fronte del Mediterraneo centrale, la disintegrazione dello stato libico, ancora in preda ad un conflitto civile del quale non si vede lo sbocco, dopo il fallimento dell’ennesima conferenza di pace, questa volta a Berlino, e la conclamata corruzione delle forze di sicurezza, in particolare della sedicente guardia costiera “libica”, che sono state foraggiate in questi anni dall’Unione Europea e dall’Italia, rende inefficace una politica di blocco degli arrivi attuata in collaborazione con le autorità libiche. Anche in assenza delle navi delle ONG bloccate o “rallentate” con i pretesti più diversi ( anche con la quarantena), le persone continuano ad imbarcarsi per fuggire dalla Libia e le organizzazioni dei trafficanti, colluse con le milizie governative, come nel caso del “comandante” Bija (in foto con uniforme da guardacoste) a Zawia, sono sempre più forti. Se gli arrivi non aumentano visibilmente, succede solo perchè si moltiplicano i casi di abbandono in mare ed anche perchè, se si chiude una rotta, immediatamente se ne apre un’altra. In forte aumento gli arrivi in Spagna e dall’lgeriz averso l’Italia.

In molti casi si ritorna ad utilizzare le vie di ingresso terrestri o si tenta la fortuna con un visto di ingresso breve o con documenti falsi. Il numero delle vittime aumenta di continuo, sia in mare, che a terra, dove i migranti sono intrappolati tra le fazioni armate che si contendono la Libia e persino l’UNHCR ha dovuto chiudere i suoi uffici per i combattimenti che anche attorno Tripoli si estendevano sempre di più.

Si aggiunge infine un terzo fattore di destabilizzazione che farà saltare del tutto il sistema dei controlli di frontiera sui quali gli attuali governi europei e la la stessa Unione Europea, hanno basato le proprie politiche migratorie collegandole esclusivamente al fattore sicurezza, senza mai considerare la possibilità di aprire canali legali di ingresso e salvaguardare effettivamente i diritti umani a partire dal pieno riconoscimento dell’accesso al territorio per la presentazione di una istanza di protezione internazionale. La Germania, a causa dell’estensione del nuovo COVID 19 ha già sospeso i ritrasferimenti Dublino verso l’Italia dei richiedenti asilo che qui avevano lascato tracce del loro primo ingresso in Europa. Molti altri paesi europei stanno considerando l’ipotesi di sospendere la libera circolazione prevista dal Trattato di Schengen, non sarà dunque l’Italia a chiudere le proprie frontiere, ma gli altri paesi europei potrebbero presto sbarrare i loro confini, o intensificare i controlli di frontiera, anche a scapito dei lavoratori italiani che devono recarsi all’estero per lavoro. Dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, il tema della mobilità interna, anche con riferimento ai cittadini europei, dovrà necessariamente essere riconsiderato.

Gli stati con i quali l’Italia ha concluso accordi di riammissione potrebbero rivedere presto le loro politiche. Molti paesi terzi hanno ricevuto proprio dall’Italia le prime persone che sono risultate contagiate dal nuovo Coronavirus, si pensi ai casi registrati in Marocco ed in Nigeria, paesi con i quali l’Italia ha accordi di riammissione con procedure semplificate, che negli anni permettevano il rimpatrio con accompagnamento forzato degli immigrati “irregolari” anche senza una identificazione compiuta, sulla base del mero accertamento della provenienza nazionale. Si può ritenere che tali accordi potranno subire una sospensione nei prossimi mesi, ed in ogni caso dovrebbero essere sospesi anche da parte italiana. Quali garanzie di tutela della salute potranno avere quei migranti nigeriani irregolari, tra questi molti richiedenti asilo denegati, magari anche neomaggiorenni, giunti in Italia all’età di sedici-diciassette anni, che fossero riportati a Lagos con il pesante marchio di essere soggetti potenzialmente infettivi perché provenienti dall’Italia ? Non sarebbero forse rinchiusi in quei lazzaretti in cui finiscono spesso le vittime di tratta nigeriane che vengono rimpatriate con accompagnamento forzato, e che risultano positive al virus dell’HIV ? Le storie riferite al riguardo non mancano, e sono noti esiti tragici. In Nigeria, come in altri paesi africani si cura solo chi ha famiglie che pagano, se non si trova il supporto di qualche ONG, come MSF o Emergency, ancora presente in quei paesi.

Gli accordi di riammissione che hanno concretizzato le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera si basano su un sistema detentivo che dovrebbe essere funzionale alla preparazione dei rimpatri forzati, anche quando si tratta di persone già detenute in carcere. Si tratta di un sistema già fallito del tempo, rispetto al quale il principio di realtà si sta prendendo la rivincita, contro la propaganda di quei partiti che in campagna elettorale annunciavano il rimpatrio forzato di centinaia di migliaia di persone irregolarmente presenti in Italia. Tutti i piani per la moltiplicazione dei centri di detenzione amministrativa sono falliti, anche se sono state aperte strutture impresentabili come il CPR di Macomer, altri centri sono stati chiusi e la “funzionalità” complessiva del sistema è sempre più ridotta.

Non sappiamo in quanto tempo l’opinione pubblica potrà mutare, con uno spostamento dei consensi elettorali dopo anni di propaganda contro i migranti, una propaganda che adesso viene smentita dai fatti, dopo che importanti sentenze della magistratura hanno fatto chiarezza sulla abnormità dei decreti sicurezza e delle prassi amministrative delle questure e delle prefetture che ne hanno fatto applicazione, anche con effetto retroattivo,adesso escluso dalla Cassazione con una sentenza a sezioni unite.

L’Italia e l’Unione Europea sono oggi di fronte ad una grande emergenza sanitaria che potrebbe spingere a posizioni di chiusura ancora maggiore. Potrebbero essere scelte politiche sempre più inefficaci e disumane. L’unica speranza per questo continente e per i suoi abitanti è costituita da un pieno recupero della umanità e dei valori base dello stato democratico, a partire dal principi di solidarietà, tra i cittadini ed i nuovi arrivati, tra gli stati, tra i governi regionali ed i governi nazionali, quindi con le istituzioni europee.

I rapporti con i paesi terzi andrebbero regolati diversamente abbandonando l’unico asse centrale del controllo repressivo della mobilità migratoria, ma orientadosi verso la pace, la soluzione pacifica dei conflitti e lo sviluppo, favorendo tutte le possibilità di mobilità legale, superando il meccanismo dei decreti flussi.

Il fallimento delle politiche di “gestione delle migrazioni” e dei controlli di frontiera “delegati” a paesi terzi che non rispettano i diritti umani va compensata con provvedimenti di regolarizzazione successiva per quanto sono stati costretti a fare ingresso irregolare. Tutti coloro che hanno avuto respinta la richiesta di protezione internazionale per la applicazione errata del decreto sicurezza 11372018, poi convertito nella legge n.132/2018 devono avere la possibilità di un riesame della loro posizione ed ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria, ancora prevista dall’art. 10 della Costituzione, e sicuramente da riconoscere a tutti coloro che avevano presentato domanda prima del 4 ottobre 2018, soprattutto se giunti in età minore.

Infine vanno liberate le navi delle ONG bloccate con i pretesti più diverse, adesso anche misure amministrative di quarantena e ripristinate le missioni di soccorso nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. L’Unione Europea deve ripristinare le missioni Frontex ed Eunavfor Med non solo per attività repressive di law enforcement da esercitare con i mezzi aerei, lasciando al loro destino i naufraghi che vengono avvistati in alto mare, ma con l’invio di unità navali che come avvenne nel 2015 con le missioni di Frontex, si spingevano fino a 30 miglia dalla costa libica. Per salvare vite, per non abbandonare altri naufraghi in mare.

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