Ccà semu, il documentario di Luca Vullo su Lampedusa è online

Il documentario girato nel 2018 a Lampedusa dal pluripremiato artista di "La voce del corpo" è adesso a disposizione di tutti su YouTube. Lo abbiamo intervistato per voi e vi proponiamo qui la versione integrale del suo lavoro, intitolato "Ccà semu" (Siamo qui), con una visione inedita dell'isola più famosa del mondo

L'isola dei Conigli di Lampedusa in una scena del film "Ccà semu" di Luca Vullo

Lo scorso 18 novembre è apparso su YouTube il documentario che Luca Vullo ha realizzato a Lampedusa e di cui vi avevamo parlato con un articolo nel corso delle riprese. frutto di un progetto di ricerca socio-antropologico dell’Università UCL di Londra condotta dalla Prof.ssa Michela Franceschelli e dalla ricercatrice Adele Galipò, l’artista nisseno era stato incaricato della sua produzione quale conoscitore dell’isola e conclamato documentarista. Lo scopo era quello di far conoscere meglio l’isola più a sud d’Europa divenuta centro simbolico dell’attuale crisi migratoria mediterranea. Visto l’attuale scenario geopolitico internazionale, ed il crescente sentimento razzista contro il diverso, Luca Vullo ha deciso di rendere visibile a tutti questo film pubblicandolo su YouTube in versione integrale.

Il risultato, firmato alla regia da Vullo

(in foto), fa riflettere molto su temi attualissimi come emigrazione, frontiere, porti aperti, diritti umani, isolamento e patriottismo. Una visione super partes del documentarista riesce inoltre a far emergere un aspetto spesso poco considerato di Lampedusa attinente allo stile di vita subordinato alla natura dei suoi abitanti. Le Pelagie sono infatti un luogo in cui, a differenza delle città metropolitane e rispettivi hinterland, dove la pretesa è che la natura ed i suoi eventi atmosferici non turbino il ritmo e le agende della popolazione, la quotidianità si svolge in funzione alla condizione climatica. L’arrivo della nave che approvvigiona l’isola, la distribuzione della posta e delle consegne di pacchi ma anche delle derrate alimentari, la connessione alla rete, le battute di pesca, sono tutti conseguenti alle meteo e meteo marine.

Ccà Semu, “siamo qui”, è il modo in cui gli abitanti di Lampedusa parlano del loro posto nel mondo con orgoglio e rassegnazione. In altre zone della Sicilia, all’espressione “Ccà semu” di solito segue quella che tradotta spiega “quello che viene ci prendiamo”. Un rimarcare ulteriore l’esser pronti ad affrontare ciò che gli eventi imporranno. Il documentario è però dedicato a Lampedusa. La Lampedusa di oggi, stretta nel doppio ruolo di centro simbolico dell’attuale crisi migratoria mediterranea e di comunità isolata alla periferia d’Europa. Un film sulla piccola comunità dell’isola che vive tra le difficoltà quotidiane pelagiche ed i tragici flussi migratori. E proprio pochi giorni dopo la pubblicazione gratuita voluta dall’artista, a Lampedusa si è consumata l’ennesima strage di migranti con una barca che si è capovolta uccidendo 21 persone delle quali solamente cinque sono state ritrovate.

Il documentario ha ricevuto il The Golden Ristretto come migliore Short nella prima edizione di “Italy Exported – Shorts in Competition” che si è svolta nell’ambito del XIII Festival del Cinema Italiano di San Diego (USA) dal 15 al 27 ottobre 2019. Il riconoscimento oltreoceano si aggiunge all’importante premio come Miglior Documentario già ricevuto in Italia durante il 64° Taormina Film Fest del 2018, lo storico festival cinematografico, con il Premio “Sebastiano Gesù” in ricordo del critico cinematografico siciliano.

Abbiamo sentito Luca Vullo per porre alcune domande sul suo lavoro e sulla sua decisione di renderne pubblico il risultato.

“Ccà semu” mette insieme una visione imparziale di Lampedusa con tante voci diverse tra loro, da quella che sciorina i soliti luoghi comuni a quella più critica che raramente viene proposta in Tv o sui telegiornali. Come hai assunto la responsabilità della scelta di una testimonianza piuttosto che un’altra?

Non è facile raccontare un isola e la comunità che vive su un isola. È un’impresa molto complessa, e nello scegliere una testimonianza piuttosto che un’altra inevitabilmente mancherà sempre qualcuno. Quindi non è mai facile decidere il campione che sia rappresentativo di tutta la comunità. Sono certo che sia quasi impossibile. Quello che però ho cercato di fare è far emergere delle testimonianze che gli inglesi – visto che è un film che viene da Londra – non hanno mai sentito, come ad esempio ragazzi e ragazze, giovani che vivono e lavorano sull’isola piuttosto che una anziana signora che a Lampedusa fa la contadina. Cercando quindi di avere un quadro diverso dal solo pescatore o persona che si occupa di diritti umani. L’idea era quindi di dare un taglio un po’ diverso da tutto quello che abbiamo visto e che i media hanno proposto su Lampedusa. La selezione è stata sicuramente di carattere contenutistico, per cercare di dare un quadro di professionalità diverse avendo a disposizione la disponibilità a testimoniare le proprie idee a Lampedusa, essendo ormai molti lampedusani restii a rilasciare interviste proprio a causa della violenza mediatica con cui l’isola è stata trattata in questi anni.

Tantissime voci e poco tempo (Il documentario dura in tutto 30 minuti). Ci sono state immagini o interventi che ti è costato davvero molto non poter inserire?

Chiaramente, con più tempo a disposizione e con un maggiore finanziamento, si sarebbe potuto fare molto di più. Questo era un piccolo progetto di ricerca universitario, con un budget veramente ridottissimo. Considerate che doveva essere un progetto di ricerca di quindici minuti ed io ne ho fatto un documentario di trenta minuti, quindi mettendo molto più di quanto mi era stato richiesto. Ne valeva la pena e lo avrei fatto anche di un’ora se avessi avuto più tempo per girare. Quindi, si: tante le cose che avrei voluto aggiungere. Credo però di aver colto l’essenza di ciò che volevo realizzare e ciò che voleva fare l’università e la professoressa Michela Franceschelli. Rammarico per un personaggio che mi sarebbe piaciuto davvero molto poter intervistare, avere il suo punto di vista, era Pasquale De Rubeis, detto “Pachino”, ma purtroppo non è più in vita.

Tu frequentavi Lampedusa e la conoscevi da anni. Questa ricerca ti ha svelato qualcosa dell’isola che ancora non sapevi?

Si, conoscevo l’isola da diversi anni e la frequentavo. Però non si finisce mai di imparare e neanche di conoscere un posto. Questo film mi ha permesso di trovare delle conferme a mie personali impressioni, ma anche di avere un quadro più completo. Perché secondo me da questo film emerge un bianco-nero molto netto, senza mezze misure. L’identità del lampedusano, ma anche la natura dell’isola e le vere difficoltà del territorio. Quindi è stato anche per me un modo per fare chiarezza su una serie di punti che magari già pensavo ma che raccontati da loro sono emersi in modo più chiaro e sfatando miti su Lampedusa. Mi hanno permesso di avere un quadro chiaro e spero che questo arrivi anche allo spettatore che vedrà il film.

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