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Aita Mari sbarca a Messina, basso profilo da Ong e Ministero

La nave Ong Aita Mari nel porto di Messina il 13 febbraio 2020 (Ph: Alessio Tricani)

La nave Ong Aita Mari, con a bordo 158 naufraghi soccorsi in due distinte operazioni SAR nei giorni scorsi, ha completato questa mattina lo sbarco nel porto siciliano di Messina. Dopo la proposta di assistenza alle autorità marittime italiane per il soccorso di 20 naufraghi a sudest di Lampedusa, la nave aveva atteso ancora svariate ore nei dintorni dell’isola pelagica italiana che le si assegnasse un porto sicuro di sbarco. Poi, senza clamore da parte di nessuno, compresa la stessa Organizzazione non governativa, aveva messo la prua in direzione nordest iniziando a navigare così verso Messina. Navigazione condotta senza l’aggiornamento dati AIS (Automatic Identification System) sul porto di destinazione. Circa 24 ore di navigazione per raggiungere il porto siciliano dello Stretto, iniziate già la notte tra martedì 11 e mercoledì 12. Il porto era stato assegnato dall’Italia quando la nave si trovava in prossimità delle acque territoriali italiane di Lampedusa e non si era innescata la diatriba a cui si era ormai abituati sull’assegnazione del Place of Safety (porto sicuro). A Messina, questa mattina, sono entrati in azione di nuovo i medici dell’equipe Ministero della Salute con l’attuazione del protocollo di sicurezza preventiva anti-coronavirus. L’equipe del Ministero è salita a bordo della nave Ong per uno screening preliminare ed a ogni migrante sbarcato è stata controllata la temperatura corporea come già visto in occasione dello sbarco dei migranti che si trovavano sulla Open Arms.

La Aita Mari era l’unica nave Ong in missione nel Mediterraneo centrale nei giorni scorsi. La nave si era imbattuta in due imbarcazioni soccorse ed in una sulla quale non è potuta intervenire ma che le aveva permesso di essere testimone di una operazione che appariva, almeno in un primo momento, sospetta sul piano del rispetto delle convenzioni internazionali. Dopo il primo soccorso, di una imbarcazione con 93 persone a bordo tra cui 16 donne e 37 minori, una decina dei quali molto piccoli, la Aita Mari aveva visto intervenire la cosiddetta guardia costiera della Libia fuori dalla zona SAR (Ricerca e Soccorso) di propria competenza. Un intervento coordinato dalla Centrale MRCC di Malta su segnalazione di un velivolo che dalla nave Ong era sembrato anch’esso maltese. All’arrivo del pattugliatore libico in acque internazionali non più SAR della Libia si erano verificate le solite scene con persone finite in mare e l’Ong invitata perentoriamente ad allontanarsi. La Aita Mari era però rimasta in zona e non è detto che questa presenza non abbia fatto sì che i naufraghi soccorso siano stati trasbordati sul pattugliatore maltese P-62 invece che ricondotti in Libia.

La Aita Mari aveva poi cercato un gommone segnalato a nord di Garabulli, come molte delle barche cariche di profughi che sono partite nelle ultime settimane, ma la ricerca non ha dato esito positivo. Nel corso dell’operazione SAR è stata invece avvistata un’altra barca, non segnalata, con a bordo 65 persone. Soccorsa questa seconda imbarcazione, la Aita Mari si era trovata al limite della sostenibilità a bordo e si era diretta a nord, verso un porto sicuro europeo. Dopo la parentesi che l’aveva vista entrare in acque territoriali italiane a sudest di Lampedusa

, e che non si esclude possa essere stato intervento SAR scatenante per l’operazione poi effettuata dalle autorità italiane, la nave Ong aveva atteso l’assegnazione di Place of Safety che le autorità italiane non avevano negato, salvo mantenere un basso profilo sul coordinamento assunto. La Aita Mari navigava in direzione di Messina e transitava al largo della costa est della Sicilia mentre in Senato si discuteva sull’autorizzazione a procedere in giudizio penale sul senatore Matteo Salvini, all’epoca dei fatti incriminati ministro dell’Interno e dei “porti chiusi” che adesso sembrano lentamente e senza grande propaganda riaprirsi in ottemperanza al diritto internazionale.

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