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Accordi segreti tra Malta e guardia costiera “libica”, omissione di soccorso istituzionale

di Fulvio Vassallo Paleologo

Le Organizzazioni non governative avevano già denunciato lo scorso anno gli accordi segreti tra Malta e la sedicente guardia costiera “libica”, dopo che motovedette partite da Tripoli, probabilmente le stesse assistite e coordinate dalla centrale operativa della missione italiana NAURAS presente nel porto militare di Tripoli (Abu Sittah), avevano intercettato un barcone carico di naufraghi sconfinando nella zona SAR (Search and Rescue) maltese. Adesso da Malta arrivano conferme molto circostanziate sulla portata dei protocolli di collaborazione tra le autorità maltesi e la sedicente guardia costiera “libica”. Un consigliere dell’ex primo ministro maltese, nel corso della sua testimonianza davanti alla Commissione d’inchiesta sull’attentato che ha causato la morte della giornalista Daphne Caruana Galizia, ha dichiarato: “Il mio intervento ha impedito ai migranti di entrare a Malta. Mi coordinavo con le forze armate di Malta e la guardia costiera libica. Quando sapevamo dove erano le barche, informavamo le autorità libiche di salvare queste persone. L’ho fatto fino a quando non mi sono dimesso”.

Chi sostiene di avere salvato vite, collaborando con le motovedette libiche, in realtà ha riconsegnato persone, donne e bambini compresi, ad autorità colluse con i trafficanti e incapaci di garantire la vita e la dignità dei naufraghi, privati del diritto di chiedere asilo in un Paese sicuro. Da anni le Nazioni Unite avvertono che la Libia non garantisce porti sicuri di sbarco. Questi accordi, confermati anche dall’agenzia Reuters, si inserivano nel quadro delle politiche europee di supporto (law enforcement) alle milizie libiche per bloccare quella che si definisce soltanto come “immigrazione irregolare”, e trovavano un precedente importante, più manifesto, negli accordi stipulati il 2 febbraio 2017 dal governo italiano con il governo di Tripoli, poi ratificati il giorno successivo dalla Conferenza di Malta. Tra le priorità individuate dagli accordi di Malta volte a contenere il flusso dei migranti irregolari dalla Libia verso l’Italia, e confermate ancora pochi giorni fa, la formazione, equipaggiamento e supporto per la guardia costiera nazionale libica e altre agenzie pertinenti .

Una importante fonte giornalistica inglese ha documentato

come dietro gli accordi stipulati da Malta e dall’Italia con la guardia costiera “libica” ci sia ancora oggi l’Unione Europea. Una notizia che non sorprende, se si considerano i fondi trasferiti agli Stati in questione per supportare le milizie libiche e la guardia costiera da cui promanano, e soprattutto la trasformazione delle missioni Frontex ed il ritiro di tutti gli assetti navali della missione EUNAVFOR MED – SOPHIA, sulla quale non ci si ritrova d’accordo neppure per imporre l’embargo di armi ai gruppi armati che si contendono la Libia. La sorveglianza aerea ancora garantita dall’Unione europea serve soltanto per aumentare le intercettazioni, dunque i respingimenti, delegati ai libici, ma risulta meno efficace per garantire efficienti azioni di ricerca al fine di salvare vite e portare le persone verso un porto sicuro di sbarco.

Secondo un documento riservato del Servizio europeo per l’azione esterna (EEAS) al Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) del 12 febbraio scorso riportato dal Morning Star “l’Unione Europea continuerà a sostenere la Guardia costiera libica”. Il documento riservato pubblicato dal giornale inglese afferma infatti che “il rafforzamento delle capacità e l’addestramento della guardia costiera e della marina libiche rimane invariato come compito di supporto”, mentre poco dopo, il Commissario europeo Borrell ha confermato in una conferenza stampa che le “nuove” navi dell’Operazione di sorveglianza attiva dell’UE sarebbero state ritirate se ci fossero prove del loro ruolo di “fattore di attrazione” per i migranti, confermando quindi l’intenzione di lasciare le navi delle ONG e qualche mezzo commerciale, come unici assetti navali di soccorso nel Mediterraneo centrale.

Anche se non si è ancora raggiunta nessuna intesa sulla prosecuzione dell’operazione EUNAVFOR MED (SOPHIA), la posizione politica comune da parte del Consiglio dell’Unione Europea sembra dare copertura a quegli accordi bilaterali tra Italia, Malta e la guardia costiera “libica” che hanno prodotto la rarefazione dei mezzi di soccorso militari e privati nel Mediterraneo centrale, per lasciare spazi di intervento sempre più ampi alle motovedette delle milizie libiche, che ormai riescono ad intercettare più della metà delle persone che comunque a caro prezzo riescono ancora ad allontanarsi dalle coste libiche, andando anche incontro ad un destino di morte. Come si è verificato attorno al 10 febbraio con la scomparsa di un gommone carico di 91 persone, scomparso dopo il primo avvistamento, senza che si avesse notizia di un qualsiasi intervento di soccorso o di intercettazione.

Continuano intanto ad essere pubblicati (ed ignorati dai media italiani) i documenti che confermano come sulla base di accordi bilaterali, tanto dall’Italia, quanto da Malta, si sia conferita da tempo una ampia delega alla sedicente guardia costiera “libica” per la intercettazione dei barconi, carichi di persone in fuga dalla Libia, anche quando si trovino già in acque internazionali, anche oltre i limiti della cosiddetta zona SAR “libica”. Le prove del coordinamento italiano non mancano, e sono emerse proprio nei procedimenti penali intentati contro le ONG. Prove che rimangono, anche se i relativi procedimenti vengono archiviati.

In questi giorni la stampa maltese dà ampio rilievo alla scoperta di documenti che provano gli accordi intercorsi tra il Governo de La Valletta e la guardia costiera libica, ed al contempo i gravi abusi subiti dai migranti intercettati in acque internazionali, addirittura nella zona SAR maltese e riportati indietro in Libia, nelle mani degli stessi trafficanti dai quali erano fuggiti a caro prezzo. Una denuncia che si collega alle denunce di collusione tra i trafficanti libici e la sedicente guardia costiera “libica”, documentate alcuni mesi fa da pochi giornalisti coraggiosi e poi rimosse dall’attenzione dell’opinione pubblica, senza che neanche la magistratura riuscisse ad indagare in profondità su questa materia in modo da riaffermare il principio di legalità nei rapporti tra le autorità italiane e quelle libiche. Sembra ormai provato come in realtà gli accordi tra Italia e Malta con la sedicente guardia costiera “libica” siano sotto l’egida dell’Unione Europea e dell’agenzia Frontex. Le menzogne dei libici hanno ormai i giorni contati. Nel tempo potrebbero essere accertate anche le responsabilità di politici e di agenti istituzionali italiani ed europei.

Rimangono ancora aperti alcuni procedimenti penali contro rappresentanti delle ONG che non avrebbero obbedito alle indicazioni di abbandonare ai libici i naufraghi individuati in mare o che non hanno potuto trovare nel porto de La Valletta un place of safety (POS), per il diniego del governo maltese. Un governo che, come emerge adesso dai documenti più recenti, aveva stretto un accordo segreto con la sedicente Guardia costiera “libica”. Se questi processi dureranno ancora, sarà ancora maggiore la quantità di prove che le indagini difensive permetteranno di raccogliere sulle collusioni tra le missioni europee, le autorità italiane e il governo di Tripoli, inclusa la sedicente guardia costiera “libica”.

In una lettera indirizzata al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, inviata lo scorso 13 febbraio, il Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa esorta il governo italiano a introdurre nel Memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 3 febbraio 2017 maggiori garanzie sui diritti umani. Pur rilevando che sono in corso discussioni per modificare in questo senso alcune parti del Memorandum, il Commissario invita l’Italia a riconoscere le realtà attualmente prevalenti sul terreno in Libia e a sospendere le attività di cooperazione con la Guardia costiera libica che comportano il ritorno in Libia di persone intercettate in mare”.

Sembra sempre più difficile dunque, anche dopo il recente intervento della Corte di cassazione sul caso Rackete, che qualcuno riesca a provare un intento elusivo dei comandanti e dei capomissione delle ONG, dopo il soccorso di naufraghi in acque internazionali, diretto ad introdurre in Italia migranti “clandestini”, come ha sostenuto per tutto il periodo del suo mandato di governo il senatore Salvini, e come sembrerebbe emergere in qualche procedimento penale ancora aperto, a Ragusa (Open Arms) ed a Trapani (Iuventa), mentre sono state archiviate la maggior parte delle accuse rivolte contro le ONG in altre sedi giudiziarie.

Di certo, come si è verificato nei confronti dell’Italia, anche gli accordi segreti tra Malta e la sedicente guardia costiera “libica” saranno sottoposti al giudizio della Corte penale internazionale. Quali che siano i risultati ed i tempi, probabilmente assai lunghi, di intervento della Corte, sarà comunque possibile individuare precise responsabilità personali, che potrebbero poi assumere rilievo anche negli ordinamenti interni se le diverse procure intensificheranno i rapporti di collaborazione con la Corte penale internazionale su temi tanto delicati. Certamente, nel tempo, la politica dei “porti chiusi” non ha ridotto le vittime sulla rotta del Mediterraneo centrale, se si considera la forte riduzione delle partenze in questi ultimi due anni. La società civile ha già scritto la sua sentenza, consegnata agli atti del Tribunale Permanente dei Popoli nella sessione che si è tenuta a Palermo nel dicembre del 2017. Con la conclusione e la attuazione degli accordi tra Italia, Malta e la sedicente guardia costiera “libica” sono stati commessi “crimini contro l’umanità” da intendere come veri e propri “crimini di sistema”.

Secondo questo Tribunale della società civile:

la decisione di arretrare le unità navali di Frontex e di Eunavfor Med ha contribuito all’estensione degli interventi della Guardia costiera libica in acque internazionali, che bloccano i migranti in viaggio verso l’Europa, compromettendone la loro vita e incolumità, li riportano nei centri libici, ove sono fatti oggetto di pratiche di estorsione economica, torture e trattamenti inumani e degradanti;

le attività svolte in territorio libico e in acque libiche e internazionali dalle forze di polizia e militari libiche, nonché dalle molteplici milizie tribali e dalla cosiddetta “guardia costiera libica”, a seguito del Memorandum del 2 febbraio 2017 Italia-Libia, configurano – nelle loro oggettive conseguenze di morte, deportazione, sparizione delle persone, imprigionamento arbitrario, tortura, stupro, riduzione in schiavitù, e in generale persecuzione contro il popolo dei migranti – un crimine contro l’umanità;

la condotta dell’Italia e dei suoi rappresentanti, come prevista e attuata dal predetto Memorandum, integra concorso nelle azioni delle forze libiche ai danni dei migranti, in mare come sul territorio della Libia;

a seguito degli accordi con la guardia costiera libica e nell’attività di coordinamento delle varie condotte, gli episodi di aggressione denunciati dalle ONG che svolgevano attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, sono ascrivibili anche alla responsabilità del governo italiano, eventualmente in concorso con le agenzie europee operanti nello stesso contesto;

l’allontanamento forzato delle navi delle ONG dal Mediterraneo, indotto anche dal “codice di condotta” imposto dal governo italiano, ha indebolito significativamente le azioni di ricerca e soccorso dei migranti in mare e ha contribuito ad aumentare quindi il numero delle vittime.

Una responsabilità morale e politica, ormai evidente, anche se ancora non accertata in sede giudiziaria, che comunque dovrebbe imporre una netta svolta nei rapporti con le diverse autorità che oggi si contendono la Libia, privilegiando gli sforzi per riprendere un processo di riconciliazione nazionale e di rispetto dei diritti umani delle persone migranti e dei libici tutti. In questa direzione andrebbe interrotta ogni collaborazione con l’attuale guardia costiera “libica”, che ancora oggi fa “sparire” le persone, e rilanciata una missione europea (meglio se internazionale) di ricerca e soccorso in alto mare, con la cancellazione della finzione della cosiddetta zona SAR “libica”, con l’apertura di canali legali di evacuazione dalla Libia e con la creazione di spazi di sicurezza per la stessa popolazione civile residente, ormai da anni in preda agli scontri tra milizie.

Come osserva l’OIM, “È necessario rinforzare un sistema di ricerca e soccorso in mare, che possa essere di ampio raggio e guidato direttamente dagli Stati. Allo stesso tempo occorre realizzare con urgenza un meccanismo di sbarco veloce e strutturato, che preveda che gli stati del Mediterraneo si prendano uguali responsabilità nell’assicurare un porto sicuro per coloro che sono stati soccorsi. L’impegno delle navi ONG che operano nel Mediterraneo dovrebbe essere riconosciuto e dovrebbe essere messo un termine a ogni limitazione o ritardo nelle operazioni di sbarco”.

Se gli Stati dell’Unione Europea e l’Italia si potranno ancora definire Paesi democratici che rispettano i diritti umani, a partire dalla salvaguardia della vita umana in mare e dal diritto di chiedere asilo, si vedrà dall’impegno che sapranno esprimere in questa direzione.

Associazione Diritti e Frontiere:
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