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Covid-19, sono i geni a comandare “quanto” ti ammali

di Maurizio Maria Fossati

giornalista UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica d’Informazione), scrittore, divulgatore scientifico

SARS-CoV-2: un nuovo virus, l’ultimo flagello dell’umanità. Lo abbiamo isolato e continuiamo a studiarlo per combatterlo. L’ultima cosa che abbiamo imparato è che “la predisposizione genetica gioca un ruolo fondamentale nella storia della malattia da SARS-CoV-2”. Lo afferma Alberto Mantovani, immunologo, ricercatore e direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Rozzano (Milano). Ce ne ha parlato in un incontro on-line organizzato dai giornalisti UNAMSI (Unione medico Scientifica di Informazione).

Lo ricorderemo per sempre quel 7 gennaio 2020: il giorno in cui i ricercatori isolarono l’agente patogeno responsabile di un’epidemia destinata a diventare pandemia. Un nuovo betacoronavirus, che l’OMS denominò SARS-CoV-2, a indicare la similarità con il virus della SARS, che nel 2002-2003 causò un’epidemia globale con 8.096 casi confermati e 774 decessi. Fu così che l’OMS battezzò Covid-19 la malattia causata dal virus.

Oggi, anche se i vaccini ci mostrano una luce in fondo al tunnel, la pandemia imperversa e il virus sta mutando. E’ assolutamente vietato abbassare la guardia.

In base ai dati forniti dall’OMS ai primi di febbraio i casi accertati sono oltre quasi 103 milioni, con circa 2 milioni e mezzo di decessi.

Due linee di difesa

Ma come si difende l’organismo umano da questa nuova malattia?

“L’uomo – spiega il professor Mantovani – possiede sostanzialmente due linee di difesa contro i virus: l’immunità innata che solitamente risolve circa il 90% dei casi di aggressione, e una seconda linea difensiva, quella coordinata dai linfociti T, i cosiddetti ‘soldati’ del sistema immunitario che combattono la presenza del virus nell’organismo”.

“Oggi, siamo sicuri – afferma Mantovani – che la prima linea di difesa, quella dell’immunità innata, sia  fondamentale per la resistenza a Covid-19. Lo abbiamo imparato dagli studi sulla genetica della malattia e dalle storie cliniche dei pazienti. Oggi possiamo affermare che la ‘predisposizione genetica’ dell’individuo ha un ruolo fondamentale nella storia della malattia. Ma non solo. Possiamo anche dire che ci sono vere e proprie immunodeficienze che vengono smascherate solo dal contatto con il virus”

La predisposizione genetica

Come faccia il virus a evadere le linee di difesa dell’organismo non è ancora completamente chiaro, ma perché, dopo il contagio, alcune persone reagiscono in modo asintomatico e altre devono affrontare, invece, conseguenze gravissime?

“Come dicevamo, la predisposizione genetica gioca un ruolo fondamentale nella storia della malattia. E la ragione della smisurata reazione immunitaria va ricercata soprattutto sul cromosoma 3. Una nostra ricerca di analisi genetica sulla popolazione italiana e uno studio internazionale hanno evidenziato che sul cromosoma 3 ci sono alcuni geni legati all’infiammazione (fra cui le chemochine, un gruppo di proteine a basso peso molecolare della famiglia delle citochine) che determinano il fatto che la  malattia evolva nella forma più grave, con sindrome da distress respiratorio. Ma, in parallelo, si è anche scoperto che una parte dei pazienti manifesta vigorose risposte autoimmuni”.

“Dalla prima comparsa della pandemia, quindi, la visione della malattia è cambiata in modo profondo. Siamo al crocevia tra diversi possibili fattori: predisposizione genetica, vera e propria immunodeficienza, autoimmunità, e risposta infiammatoria fuori controllo che possiamo peraltro identificare precocemente con marcatori predittivi. Possiamo dire, quindi, che si sta andando verso una personalizzazione delle cure”.

Il virus sta mutando in modo convergente

Ma quanto dobbiamo temere le mutazioni del virus?

“Lo sappiamo bene. Tutti i virus mutano. In questo momento abbiamo identificato 4 varianti con una costellazione di mutazioni diverse, ma che hanno una cosa in comune: una mutazione all’amminoacido 501 della proteina Spike. Siccome le mutazioni sono avvenute pressoché contemporaneamente in continenti diversi (Europa, Africa, Nord e Sud America), questo fa sospettare che ci possa essere una ‘evoluzione convergente’ del virus che lo porta a trasmettere di più la malattia. Le armi a nostra disposizione sono i vaccini. Siamo sicuri che i vaccini funzionano bene contro la variante inglese, mentre ci sono dei dubbi sulla variante brasiliana e su quella nata in Sudafrica. Ma questo non significa che i vaccini non funzionino perché la differenza del riconoscimento del virus è solo quantitativa e soprattutto perché i linfociti T riconoscono pezzi completamente diversi del SARS-CoV-2”.

L’ombrello protettivo

Ma quanto dovrebbe durare la protezione offerta dal vaccino?

“E’ meno di un anno che ci confrontiamo con questo nuovo nemico, un periodo troppo breve per assicurare certezze sulla durata della copertura vaccinale. Studi recenti indicano che la risposta immunitaria dovrebbe rimane attiva almeno per 6 mesi. Ma la speranza dei ricercatori è di raggiungere la protezione per un paio d’anni”.

Perché gli anziani sono stati quelli che hanno pagato il prezzo più alto della pandemia?

“Diabete e problemi cardiocircolatori spesso affliggono le persone avanti con gli anni. Queste, assieme ad altre patologie hanno contribuito ad aumentare il rischio.  Non dobbiamo neppure dimenticare che l’età avanzata porta in generale all’invecchiamento del sistema nervoso centrale, ma anche a quello del sistema  immunitario che ‘perde memoria e repertorio’. Ma non è tutto. Anche lo stato infiammatorio generale di un anziano è più elevato rispetto ai livelli di infiammazione di base dei periodi di vita precedente. Peraltro ci sono altri fattori che possono influenzare l’andamento della malattia. L’obesità, per esempio, agisce negativamente a qualunque età. E il sesso favorisce le donne, che, come è risaputo, hanno un sistema immunitario generalmente più forte”.

Maurizio Maria Fossati: Milanese, giornalista professionista, divulgatore scientifico e scrittore. Dopo l’università (ingegneria), spinto dalla passione per il mare e l'immersione subacquea, entra nella redazione di «Vela e Motore» per poi passare alla Mursia. Nell’85 è a «Le Scienze», edizione italiana di «Scientific American». Nel '91 passa a “Il Giorno” dove è responsabile delle pagine e degli inserti di Scienza e Salute e dove è a capo della redazione “Il Giorno-Metropoli”. Oggi si occupa di Salute sulle pagine di QN (Quotidiano Nazionale) e modera convegni medici. E' docente in corsi di formazione continua per giornalisti dell’Ordine Nazionale Giornalisti. Già vicepresidente di UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica d'Informazione), di cui oggi è probo-viro, è anche giornalista UGIS (Unione Giornalisti Scientifici Italiani). Coautore del libro di medicina narrativa “Parole che curano. L’empatia come buona medicina. Storie di malati, familiari e curanti”, Publiediting, del volume “Comunicare la Salute”, testo UNAMSI per corsi universitari di comunicazione giornalistica per medici e ricercatori. Autore di “Immersione subacquea, in apnea e con le bombole”, De Vecchi, e coautore di “Dieci x dieci, le cento meraviglie del mare”, edito da Touring Club Italiano-Gist. Per Morellini ha pubblicato nel 2019 “Perché? Oltre 100 quiz per svelare le curiosità della scienza”, e nel 2020 “Perché? Ambiente. Oltre 100 quiz per salvare il Pianeta”.
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