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Attacco a Ong, spari dai libici alleati dell’Italia e persone in mare

di Mauro Seminara

Quando abbiamo mandato via le ONG l’immigrazione è diminuita“, aveva detto il comandante Bija a Francesco Mannocchi nel corso dell’intervista trasmessa in anteprima esclusiva venerdì sera a Propaganda Live (foto). E per quell’intervista, Abd al-Rahaman al-Milad, alias “comandante Bija“, si è presentato in uniforme con tanto di gradi ostentati sulle spalle oltre che accompagnato dal portavoce della Marina Militare della Libia. Bija è l’uomo che nel 2018 è stato inserito dall’ONU nella lista dei criminali internazionali e sanzionato, per il quale il presidente libico di Tripoli aveva dichiarato l’allontanamento, e che ha minacciato due giornalisti italiani adesso sotto protezione delle forze dell’ordine

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Bija, che dice a Francesca Mannocchi di essere stato anche al Viminale nel corso del suo viaggio in Italia del 2017, afferma che la presenza delle ONG in area SAR libica aumenta traffici e partenze. I dati però lo smentiscono, affermando che l’incremento delle partenze di migranti dal nord Africa è avvenuto in assenza di navi da soccorso umanitario. L’unica certezza è che, come lo stesso Bija afferma, i libici non vogliono Organizzazioni non governative tra i piedi e dopo la visita in Italia della delegazione libica è partita la guerra alle ONG da parte degli italiani. In principio con il Codice di condotta del ministro Marco Minniti, poi con i decreti sicurezza di Matteo Salvini.

Oggi, malgrado le condizioni meteo precarie, una barca era partita dalla Libia e si trovava già in difficoltà alle 11:44, quando ancora sotto copertura rete libica avevano chiamato Alarm Phone per chiedere aiuto. In zona c’era la Alan Kurdi, nave della ONG tedesca Sea Eye che si era riparata dalla burrasca che aveva colpito il Mediterraneo centrale avvicinandosi alla linea di confine delle acque territoriali tunisine. Alarm Phone aveva inoltrato la richiesta di aiuto alla Guardia Costiera italiana ed alla ONG che si trovava nelle vicinanze. La Alan Kurdi è infatti giunta in tempo, ma sul punto si sono presentate anche delle unità navali libiche. Non è chiaro se di quelle che l’Italia si ostina a chiamare “guardia costiera”. Potenti motoscafi bianchi dotati di vari motori fuoribordo e con ostentate mitragliatrice pesante a prua e grande bandiera libica a poppa. E questi intercettori miliziani non si sono limitati a mostrare le armi ma le hanno anche usate.

Fortunatamente non ad altezza uomo, oppure con pessima mira. I colpi d’arma da fuoco, secondo quanto dichiarato da Sea Eye che denuncia l’accaduto in un tweet, sono stati sparati in aria ed in mare. Ma in mare c’erano migranti e soccorritori. Gordon Isler, portavoce di Sea Eye, parla di 92 persone che la nave Alan Kurdi stava soccorrendo, e descrive uno scenario con i naufraghi in mare e 17 soccorritori al seguito. Tutti sotto la minaccia armata dei libici. Quelli del “porto sicuro” in cui l’Ue vuole si rimandino i migranti. Fortunatamente c’era in volo anche il velivolo ONG Moonbird che ha documentato tutto dal cielo (foto) mentre dalla Alan Kurdi ritraevano la scena dal mare. Il viaggio italiano di Bija non avrebbe prodotto alcun esito sulla civilizzazione dei libici a cui l’Unione europea delega i respingimenti dei migranti e l’Italia fornisce motovedette e personale in affiancamento.

Qualcosa però deve aver interrotto il far west libico intorno alla Alan Kurdi e ad un certo punto le motovedette si sono ritirate. L’aggressione si è fermata come se un ordine superiore avesse tempestivamente richiamato la milizia. La Alan Kurdi pare quindi essere riuscita a soccorrere tutti i migranti, inclusi tutti quelli caduti in mare, senza subire vittime o feriti. Giusto ieri, al Viminale, si era tenuto un incontro a cui avevano partecipato tutte le ONG operative nel Mediterraneo – incluse quelle le cui navi sono sotto sequestro – e tra esse c’era anche Sea Eye. Al tavolo, cui prendevano parte oltre al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese anche una delegazione del Ministero degli Esteri ed una del Comando generale delle Capitanerie di Porto, le ONG avevano proposto istanza per “porre fine alle intercettazioni da parte della guardia costiera libica, che riporta le persone in Libia in violazione del diritto internazionale“.

Decisamente improbabile che si attendessero l’indomani una simile aggressione armata. Fatto gravissimo che non si verificava da inizio guerra alle Ong, quando i colpi di arma da fuoco furono rivolta ad una nave di Medici Senza Frontiere. Ed i libici con cui l’Italia mantiene accordi e fornisce motovedette, supporto logistico, manutenzione ed affiancamento, non sono nuovi alla leggerezza nell’uso delle armi. Lo sa bene anche l’equipaggio di una motovedetta classe 200 della Guardia Costiera italiana che qualche anno addietro ha portato a casa il ricordo, fatto di colpi sullo scafo, delle armi libiche usate contro la vera Guardia Costiera nel corso di un intervento SAR.

Bija, il criminale per le cui minacce Nancy Porsia e Nello Scavo sono stati posti sotto protezione, ha raccontato a Francesca Mannocchi che in Italia ha visitato centri di accoglienza ed incontrato la Croce Rossa, ma anche di aver visitato la sede della Guardia Costiera italiana – come scoperto da Nello Scavo – ed il Viminale. Inoltre, il “comandante Bija” ricorda anche di aver incontrato “quelli dell’Operazione Sophia”. Ancora tutta da chiarire la vicenda del viaggio italiano, per cui, secondo le inchieste pubblicate da Avvenire, ci sarebbero anche contraddizioni tra l’OIM ed il Ministero dell’Interno e tra lo stesso Bija e le fonti che invece sussurrano di possibili documenti falsi.

Appena un po’ più chiara è invece la realtà dei fatti nella cosiddetta area SAR della Libia ed i rapporti ufficiali che l’Italia continua ad intrattenere con le milizie libiche spacciate per guardia costiera ed invece armate e con la tendenza all’uso delle armi. Il tassello infine aggiunto da Bija, intervistato dalla bravissima Francesca Mannocchi, è proprio l’incontro con “quelli dell’Operazione Sophia“. Dal ritiro delle navi dell’operazione europea, Sophia ha infatti soltanto velivoli con cui sorvola il Mediterraneo centrale avvistando le imbarcazioni cariche di migranti. Le segnalazioni con coordinate geografiche delle imbarcazioni vengono però trasmesse alla sedicente guardia costiera libica che provvede al recupero.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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