Svelati i rapporti tra ONG e trafficanti libici

La diffusione di Avvenire delle foto del trafficante libico Bija a Mineo, nel maggio del 2017, apre ad un disvelato scenario in cui le ONG erano comprovato ostacolo all'attuazione di accordi tra apparati dello Stato italiano e trafficanti libici. Nel 2017 il traffico libico si è trasformato dall'organizzare partenze al sequestrare persone, e quelle messe in mare per andare incontro a morte certa non dovevano incontrare salvatori Non governativi

di Mauro Seminara

Il programma italiano per il “contenimento” dei flussi migratori attraverso la Libia, malgrado la segretezza con cui è stato gestito, probabilmente per via di accordi che uno Stato non potrebbe siglare ufficialmente, emerge lentamente ed inesorabilmente a distanza di un paio d’anni buoni. A collocare una nuova tessera nel complesso puzzle è stato ieri il quotidiano Avvenire con una inchiesta firmata da Nello Scavo, cui va il plauso di Mediterraneo Cronaca. Il giornale della Cei ha pubblicato le foto dell’incontro segreto che l’11 maggio 2017 si tenne all’interno del mega Cara di Mineo. Un ghetto per richiedenti asilo, quello in provincia di Catania, nato per volontà del Governo presieduto da Silvio Berlusconi mentre al Viminale sedeva Roberto Maroni.

Bija

L’11 maggio del 2017, come rivelato dalle foto esclusive pubblicate da Avvenire, a Mineo era presente il leader dei trafficanti di esseri umani della Libia occidentale: Bija. In qualche modo, l’aguzzino torturatore di migranti era arrivato in Italia per partecipare alla riunione da cui sarebbe poi nata l’efficace politica anti-migratoria del ministro dell’Interno Marco Minniti, uomo “di sinistra” del Governo di “centrosinistra” presieduto da Paolo Gentiloni. L’inchiesta di Avvenire ha prodotto una serie di fascicoli aperti tra Procure della Repubblica e Servizi segreti, entrambi interessati ma in modo diverso. I primi dovrebbero cercare adesso eventuali violazioni delle leggi in quel contesto. I secondi saranno certamente interessati alle fonti di Nello Scavo. Per quel che riguarda le Procure inquirenti, c’è da sperare che il prevedibile ostruzionismo che gli altri, i Servizi, potrebbero mettere in atto non riesca a ad ostacolare più di tanto l’esito investigativo. Indagine che probabilmente partirà proprio da come e con quali documenti il trafficante libico – non registrato all’incontro di Mineo – ha raggiunto l’Italia.

Come lo stesso Nello Scavo fa notare nella sua inchiesta, dopo l’incontro tra funzionari italiani e boss malavitosi libici dell’11 maggio 2017 si è registrata una strana e progressiva riduzione sensibile delle partenze. Al contempo, forse per prendere due piccioni con una fava, le istituzioni italiane hanno iniziato la campagna ufficiale di criminalizzazione delle ONG che con le loro navi soccorrevano persone nel Mediterraneo centrale e che prestavano anche un prezioso supporto a Guardia Costiera e Marina Militare italiana. L’obiettivo principale pare quindi l’allontanamento dei testimoni dalla scena del crimine che l’Italia si sarebbe apprestata a consumare in accordo con i trafficanti denunciati dalle Nazioni Unite. Ma l’altro “piccione” era quasi sicuramente l’uso strategico collaterale delle ONG accusate di complicità con i trafficanti, quasi fosse un “depistaggio” utile per Procure della Repubblica e mass media. Tutti concentrati sull’operato delle Organizzazioni non governative, nessuno – o quasi – attento alla mutazione funzionale del business libico per mano italiana. In tanti hanno scritto che in Libia la fonte di guadagno per i trafficanti non consisteva più nel far partire le persone ma nel trattenerle e torturarle fino al pagamento di soddisfacente riscatto da parte delle famiglie. Un business molto più redditizio con cui si faceva cassa in vari modi. Uno era il finanziamento che arrivava dall’Europa, grazie all’Italia, per la realizzazione del “modello di accoglienza” italiano per migranti da rinchiudere e gestire come una massa umana non autosufficiente. Il secondo modo riguardava la possibilità concessa ai boss libici di gestire quei centri come lager in cui stuprare, uccidere, ottenere riscatti e vendere esseri umani come schiavi.

Il nuovo “modello Libia”, avviato in gran segreto al tavolo cui funzionari italiani sedevano candidamente al fianco di criminali libici riconosciuti tali a livello internazionale, ha cambiato in peggio le condizioni umane in Libia con una notevole riduzione del valore della vita attribuito ai migranti dai trafficanti. Se prima era il raggiungimento dell’Europa mediante il Mediterraneo centrale l’obiettivo, dopo il “grande cambiamento” non aveva più alcuna importanza che le persone arrivassero sulla sponda nord del Mar Mediterraneo sane e salve. Quelli messi in mare ormai erano stati spremuti fino alla fine e la barche su cui venivano fatti salire rappresentava un abbandonarli al loro destino invece di ucciderli e doverli poi seppellire. Con un simile meccanismo criminale messo in atto con l’assistenza, il supporto logistico ed i mezzi italiani, la presenza delle navi ONG, con le loro videocamere ed i loro giornalisti europei a bordo, era una bomba da dover disinnescare ad ogni costo. Se alla Corte internazionale dei Diritti dell’uomo, cui il segretario generale delle Nazioni Unite ha spedito il definitivo report-denuncia sul caso Libia con il ruolo delle autorità – guardacoste inclusi – nel traffico di persone, dovessero aprire una vera inchiesta internazionale con l’intenzione di scoprire e punire i trasgressori, preziosi come l’ossigeno sarebbero tutti i contributi video, fotografici, di navigazione, coordinate e testimonianze raccolte a bordo con i migranti che le Organizzazioni non governative sono in grado di fornire.

Il rapporto tra le navi ONG ed i trafficanti erano analoghi a quelli tra i mafiosi ed i testimoni oculari noti per non aver paura di denunciare. Ed è chiaro che, in una ipotetica “trattativa” in cui la mafia può chiedere servigi allo Stato o questo li rende di propria sponte per agevolare chi svolge il lavoro sporco per procura, la prima cosa che per richiesta dei trafficanti o interesse del Governo italiano deve sparire è la flotta di navi umanitarie cui i trafficanti hanno anche sparato per intimidirle. In qualche modo, per ingenuità, complicità oppure inadeguatezza ideologica, le navi delle ONG sono divenute – dopo qualche anno di attività per cui nessun magistrato si era posto domande – l’oggetto delle più improbabili ipotesi di reato e delle energie da profondere per perseguirle. Erano venuti fuori i “gola profonda” infiltrati, che hanno poi in parte sostanziale ritrattato le accuse, e le prove che nulla provarono dopo due anni di indagini a carico delle persone e delle Organizzazioni che salvavano vite umane.

Un grottesco precedente storico in cui, per la prima volta, uno Stato si adoperava nel perseguimento, con accanimento, di chi fa del bene senza trarre profitto. Adesso sappiamo però anche altro, grazie al prezioso tassello aggiunto da Avvenire: mentre lo Stato italiano si adoperava per perseguire con ogni mezzo chi salvava vite umane offrendo loro il rispetto dei diritti umani, lo stesso Stato italiano sedeva al tavolo con il peggior nemico dei diritti umani e concludeva accordi con esso. Il processo “Trattativa Stato-mafia” di Palermo si è concluso con il riconoscimento in primo grado di giudizio dell’esistenza di un accordo segreto tra la Repubblica italiana ed il mafioso stragista corleonese Totò Riina. Dopo un quarto di secolo. Anche a causa del pesante depistaggio di apparati dello Stato che inquinavano prove, fornivano falsi testimoni rei confessi di una strage che non avevano compiuto ed ostacolando l’azione della magistratura in ogni modo. In questo caso però ci sono però i mafiosi libici, gli apparati dello Stato italiano e la consapevole complicità dell’Unione europea con tutti i Servizi conseguentemente coinvolti. Chissà se una sentenza porterà un giorno giustizia condannando gli artefici di questi perpetrati e coperti crimini contro l’umanità. Alle ONG intanto andrebbero le formali scuse dello Stato italiano direttamente per voce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

1 Commento

  1. Titolo fuorviante (e sottotitoli, anche). Bisogna avere coscienza, anche nella scrittura del titolo.

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