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Operazione militare a Lampedusa, poi Serraj ringrazia l’Italia

La Marina Militare martedì notte, 16 aprile 2019, a Lampedusa

di Mauro Seminara

La Libia, sconfinato e ricco territorio nordafricano popolato da appena sei milioni di persone, pare essere divenuto il teatro di una guerra del Mediterraneo. In Libia infatti si scontrano l’Italia con la Francia, l’oriente (o il Medio Oriente) contro l’area occidentale del Mar Mediterraneo, la Russia con i suoi partner economici contro l’establishment economico atlantico. La posizione dell’Italia, da sempre partner prediletto della Libia, aveva perso il proprio ascendente in quel territorio in cui l’ENI ha interesse enormi che si ripercuotono sull’economia nazionale. Nel momento in cui le politiche estere italiane avevano perso i rapporti diplomatici con i referenti dell’area mediterranea ed anche in seno all’Unione europea con il conflitto tra un Palazzo Chigi a tre premier e l’Eliseo, proprio a ridosso delle elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento che stanno gravemente minando i pilastri dell’Unione, il generale Haftar ha ottenuto il nullaosta dai propri “sponsor” per la conquista di Tripoli. Le Nazioni Unite hanno quindi alzato bandiera bianca, annullato il previsto incontro del 14 aprile in cui le parti libiche avrebbero dovuto fare il loro ulteriore passo avanti per concordare democratiche elezioni ed il governo italiano è entrato in crisi tra il rischio di una conseguente ondata migratoria da gestire in assoluta autonomia ed una possibile futura Libia in cui il partner prediletto potrebbe essere la Francia e non più l’Italia. Il quadro, sommariamente esposto, vede una breve sequenza di giorni in cui l’Italia pare muovere dei passi e dalla sponda opposta del Mediterraneo arrivano anche gli attestati di stima e ringraziamenti.

Il messaggio di Serraj all’Italia

Il portavoce del presidente libico Fayez al Sarraj, Mohammed Younis, ha deciso questa mattina di rilasciare all’Ansa una dichiarazione. Younis ha detto all’agenzia: “Non abbiamo bisogno di aiuti militari, possiamo cavarcela da soli. Ci serve sostegno diplomatico e politico”. Dichiarazione che segue un question time alla Camera dei deputati in cui, malgrado la spaccatura interna al governo italiano sulle azioni da intraprendere in Libia, pare abbia prevalso la linea del Ministero della Difesa contro un intervento militare italiano in Libia. Intervento che, nel caso, costituirebbe una variazione sostanziale dello stato libico da “guerra civile” a “guerra”, proprio a causa dell’ingerenza militare di un Paese straniero. Il portavoce di Serraj, all’Ansa, ha anche dichiarato: “L’Italia è il nostro partner più importante”. Un’affermazione, in un momento critico in cui il partner sembra assumere una posizione pilatesca, che tende a nutrire vari punti di domanda circa il tempismo e le ragioni di tale ufficiale attestato di stima da parte del presidente assediato a Tripoli verso l’Italia. Uno dei quesiti conseguenti a tale dichiarazione obbliga all’analisi dell’operazione militare che si è tenuta a Lampedusa martedì 16 aprile, alla vigilia delle dichiarazioni in Parlamento dei ministri dell’Interno e della Difesa. Operazione che ha visto navi da assalto della Marina Militare rimanere in rada anche il giorno successivo, cioè ieri, ed allontanarsi dalle acque territoriali italiane con strana coincidenza rispetto alla dichiarazione all’Ansa di Mohammed Younis.

Le grandi e oscure manovre di Lampedusa

Già lunedì, sull’isola un tempo “porta d’Europa”, territorio italiano in assoluto più a sud, si era registrato un certo andirivieni di velivoli militari da trasporto. Martedì si sono intensificati atterraggi e decolli dello stesso tipo di velivolo dall’aeroporto civile dell’isola. Al crepuscolo sono poi comparsi gli altri attori di una insolita operazione interforze della Difesa italiana. Sul lato ad est di Lampedusa sono comparse due grandi navi da guerra. Si trattava di due delle tre classe San Giorgio della Marina Militare italiana. Navi classificate quali anfibie, caratterizzate da un “garage” a poppa dal quale escono grandi unità navali da sbarco. Delle “zattere” da trasporto truppe, stile sbarco in Normandia, che nel buio dello scalo alternativo di Cala Pisana operavano trasferimenti continui andati avanti fino alle tre di notte. Aerei atterravano, mezzi dell’Aeronautica Militare – del distaccamento di Lampedusa – facevano staffette da sottobordo, mediante percorsi interni, fino alla banchina più piccola della caletta ad est di Lampedusa, le zattere caricavano al buio e partivano verso le navi da assalto alla fonda un miglio al largo o poco più.

Ore di lavoro in assoluto silenzio ed al buio. Le navi erano ferme ed a luci spente, appena visibili da terra. La zattera navigava dalla nave alla banchina a luci spente anch’essa. Perfino un elicottero, sempre della Marina Militare, si è alzato in volo intorno alle undici di martedì sera per girare intorno all’area di operazione in modalità volo silenzioso. Da terra se ne percepiva appena la presenza. La nave traghetto che collega le Pelagie alla Sicilia è rimasta ferma in porto fino a quasi mezzanotte, con il ponte chiuso ed in evidente attesa di disposizioni o autorizzazione a salpare. Lo ha fatto quando le navi da assalto classe San Giorgio si sono allontanate e l’operazione militare al buio si è messa in stand by. Poi la ripresa delle manovre “segrete” fino alle tre di notte. Testimoni oculari asseriscono di aver visto salire su una delle zattere da sbarco due uomini, distinti, in giacca e cravatta e con una valigetta 24 ore al seguito. Intorno alle consegne operate da mezzi gommati dell’Aeronautica, che seguivano gli atterraggi del velivolo da trasporto della Marina Militare, c’erano uomini del Battaglione San Marco armati in assetto operativo. L’oggetto dei trasporti erano delle casse in legno. Le tipiche casse di circa un metro di lunghezza, pesanti e con maniglie in dura corda, con cui vengono solitamente trasportate armi. Impossibile determinarne con certezza il contenuto, ma il genere era senza dubbio quello.

Lo scontro in Parlamento sulla Libia

Una parte della maggioranza italiana, legata alla componente di Governo che fa capo alla Lega, pare avere spinto per un’ipotesi di intervento militare in Libia. L’altra, facente capo al M5S di cui è parte la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, ha stabilito con ferma determinazione quanto già proposto dallo Stato Maggiore della Difesa come unica ipotesi utile per lo scenario libico. Elisabetta Trenta ha quindi ricordato che in Libia è già presente un contingente militare, dispiegato a Misurata e Tripoli, con ruolo di “supporto”. Una definizione poco chiara su quello che è in concreto il ruolo di “impegno nei confronti del popolo libico e delle istituzioni”. La missione Miasit, stando alle informazioni di pubblico dominio del Ministero della Difesa, “è intesa a fornire assistenza e supporto al Governo di Accordo nazionale libico ed è frutto della riconfigurazione, in un unico dispositivo, delle attività di supporto sanitario e umanitario previste dall’Operazione Ippocrate e di alcuni compiti di supporto tecnico-manutentivo a favore della Guardia costiera libica rientranti nell’operazione Mare Sicuro”.

Prosegue la definizione del Ministero con una precisazione riferita all’avvio della “nuova missione” del gennaio 2018: “La nuova missione, che ha avuto inizio a gennaio 2018, ha l’obiettivo di rendere l’azione di assistenza e supporto in Libia maggiormente incisiva ed efficace, sostenendo le autorità libiche nell’azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento delle attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale, dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, in armonia con le linee di intervento decise dalle Nazioni Unite”. Nessun riferimento alla nuova condizione della Libia, con la capitale assediata dall’Esercito Nazionale Libico e dalle varie milizie schierate con Khalifa Haftar che stanno causando un conflitto da circa trenta morti al giorno. Ma Elisabetta Trenta è chiara, a Montecitorio, su un punto: “Da parte dell’Italia non ci sarà nessun appoggio a un intervento unilaterale, non ripeteremo gli errori del passato”.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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  • Quando si dice che l'Europa ha sperimentato 70 anni di pace. Vigliacca mistificazione di tutti i nostri governanti della storia, in realtà, la seconda guerra mondiale, senza cessare, passò alla terza guerra mondiale con mille trucchi ed inganni, ed a scacchiera, naturalmente la nostra Italieta, sempre militarmente attiva ma totalmente, vigliaccamente, e cinicamente, partecipa in forma servile, Subordinata ed Autolesiva, contro gli interessi tanto nazionali come internazionali, a nostro danno e pregiudizio. W l'Italiota.

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