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Tripoli circondata da Haftar, i “porti sicuri” dell’Italia sono teatro di guerra

Il generale Haftar ha dato il via all’operazione militare di conquista della capitale libica dopo un incontro con uno dei suoi alleati esterni: re Salman, dell’Arabia Saudita. L’altro alleato forte del “Mushir” – il “feldmaresciallo”, come lo chiamano i suoi leali – è l’Egitto di al-Sisi, che lo sostiene anche militarmente. Gli ultimi combattimenti dell’avanzata di Haftar si sono tenuti nel corso del primo trimestre di quest’anno, ed hanno permesso al generale di conquistare anche la regione a sud di Tripoli ponendo sotto il proprio controllo i giacimenti petroliferi di cui è ricca. Adesso le forze di Khalifa Haftar si sono accampate a 60 chilometri sud della capitale dopo aver conquistato la città di Gharyan. Un’area strategica per affrontare le esigue forze che dovrebbero difendere Tripoli. Nel frattempo, una colonna militare si è spostata ad ovest per tagliare i rifornimenti alla capitale provenienti dalla Tunisia. Tripoli sarà quindi presto completamente accerchiata e il Consiglio Nazionale presieduto da Fayez al-Serraj è chiuso in una piccola area in cui sorgono i palazzi governativi. Perfino l’aeroporto di Tripoli non è sotto il controllo di quel governo riconosciuto dalle Nazioni Unite ma non dalla Libia.

Anche l’Italia ha firmato la dichiarazione congiunta insieme a Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti per esprimere profonda preoccupazione per i combattimenti. La guerra a meno di 400 chilometri dall’ultimo pezzo di terra italiano però non sembra meritare le aperture dei telegiornali e la notizia passa in secondo piano come cronaca estera. Ciò accade però mentre si spiega, con buona probabilità, la recente palese assenza della sedicente guardia costiera libica durante la scomparsa del gommone con cinquanta persone ed il soccorso di altre 64 persone effettuato dalla nave Alan Kurdi. La nave della Ong tedesca non ha ottenuto un Place of Safety, un “porto sicuro”, dall’Italia e vaga avanti ed indietro – per moderare gli effetti di un moto ondoso sostenuto – a largo di Lampedusa senza poter rallentare la propria navigazione.

Al riguardo, ponendo una definitiva pietra tombale sul dibattito italiano del “porto sicuro libico”, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, dalla Libia ha lanciato ieri alcuni tweet che non lasciano spazio a repliche del Governo di Roma. Riassumendo i tre cinguetti del segretario Guterres, arroccato per la notte in una blindatissima sede delle Nazioni Unite alla periferia della capitale libica, il messaggio è il seguente: “Sono profondamente scioccato e commosso dalla sofferenza e dalla disperazione che ho visto nel centro di detenzione di Tripoli, dove migranti e rifugiati sono in carcere per un tempo illimitato e senza alcuna speranza di riconquistare la loro vita. A questo punto nessuno può sostenere che la Libia sia un porto sicuro di sbarco. Questi migranti e rifugiati non sono solo responsabilità della Libia, ma sono di responsabilità dell’intera comunità internazionale.”

I migranti detenuti in centri di detenzione governativi e privati rischiano adesso di rimanere imprigionati durante i possibili combattimenti, e comunque schiacciati dalla guerra che si avvicina a grandi passi verso la costa. La guerra infuria e l’ultima speranza, pseudo-militare, è la milizia di Misurata da cui arrivano forze intenzionate a fermare Haftar e difendere Tripoli. Misurata è la città che si trova tra la capitale di Haftar, la Bengasi conquistata cinque anni fa, e Tripoli. A Misurata c’è anche un presidio militare italiano ed un ospedale. Ma a parte Misurata e la capitale assediata, nove decimi di Libia sono sotto il dominio di Haftar. Il generale, nel dare il via all’avanzata e motivare le truppe, ha diffuso un audio con la propria voce. Il messaggio è chiaro e deciso: “Oggi completiamo la nostra marcia!”. Ed a giudicare da come l’Unione europea e le Nazioni Unite, da tempo ed anche oggi, stanno a guardare, le probabilità che Tripoli cada sotto il controllo di Haftar ci sono tutte.

Il segretario generale delle Nazioni Unite è andato subito e personalmente in Libia, dove è atterrato mercoledì. Ha già incontrato il presidente del Consiglio Nazionale, Fayez al-Serraj alla presenza di Ghassan Salame, il mediatore speciale dell’ONU per la crisi libica. L’intenzione di Guterres sarebbe quella di perseguire l’obiettivo per cui le Nazioni Unite lavorano da anni: una riconciliazione politica con delle elezioni democratiche invece di un conflitto militare. Sembra però che Haftar abbia perso la pazienza e ritenga di non avere più alcun motivo per attendere. La Libia è con lui e con lui risultano essere anche l’Egitto e l’Arabia Saudita. Oggi è previsto un incontro tra Antonio Guterres e Khalifa Haftar. Lo hanno riferito le Nazioni Unite, ma sull’esito non ci sono previsioni. Se Haftar dovesse ritirare le sue truppe mentre queste sono accampate a meno di cento chilometri sud di Tripoli ed hanno fissato un checkpoint a meno di trenta chilometri ad ovest della capitale, perderebbe la fiducia dei suoi ed arretrerebbe troppo rispetto alla posizione dominante attualmente occupata. Ed il generale attende questo momento da quando, nel 2014, insieme alle forze lealiste di Gheddafi sopravvissute alla guerra del 2011, conquistò Bengasi e chiuse la sua solidissima alleanza con il Governo parallelo di Tobruk per divenire il leader della Cirenaica. Adesso manca solo il formale prestigio di Tripoli perché Khalifa Haftar possa dire di aver preso il posto di Muammar Gheddafi.

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