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Un mare di abusi, il consenso contro le leggi

di Fulvio Vassallo Paleologo

Alcune considerazioni generali

Il caso della nave Diciotti della Guardia costiera italiana si aggrava giorno dopo giorno, anche se il ministro dell’interno Salvini sembra adesso cedere alla magistratura che ha imposto lo sbarco dei minori non accompagnati. Minori stranieri non accompagnati (MSNA), illegalmente trattenuti a bordo della nave, in violazione di tutte le Convenzioni internazionali che riguardano la tutela del minore e la prevalenza in tutti gli atti della pubblica amministrazione del suo “superiore interesse”(art. 3 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza secondo cui, in tutte le decisioni riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del minore) .Una violazione che comunque non si cancella con lo sbarco imposto dalla magistratura.

Occorre quindi ricostruire quanto è successo in questi ultimi giorni nel caso dell’operazione di ricerca e salvataggio svolta dalla nave Diciotti, epilogo dei primi mesi di governo Salvini-Di Maio, perché queste situazioni di trattenimento arbitrario a bordo delle navi, o di impedimento allo sbarco con totale limitazione della libertà personale, se non di fermo amministrativo o sequestro delle navi umanitarie, adesso anche nei confronti dei mezzi della guardia costiera italiana, potranno ancora verificarsi in futuro. E ci vorranno regole certe ed autorità ben determinate per evitare che questi veri e propri abusi di potere possano reiterarsi nel tempo. Con conseguenze che potrebbero essere anche mortali, come del resto si è verificato in passato, in analoghi casi di conflitto di competenze. Oltre alla incerta effettività di una zona SAR “libica”, anche la Tunisia non ha mai notificato all’IMO una zona SAR di propria competenza. Un conflitto di competenze che deve essere risolto innanzitutto dalle Nazioni Unite e dall’IMO (Organizzazione delle Nazioni Unite che registra le zone SAR di ricerca e salvataggio dichiarate dagli stati costieri).

Al di là della sanzionabilità penale delle decisioni riferibili al ministro dell’interno, ed alla catena di comando che ne ha eseguito gli ordini, occorre tracciare un quadro più ampio delle responsabilità che incombono agli stati sull’intera rotta del Mediterraneo centrale, ed all’Italia in particolare, in caso di soccorso di persone in mare e di rapido esaurimento degli interventi di salvataggio con la individuazione di un porto di sbarco sicuro. La guerra alle ONG ha prodotto un effetto boomerang sugli obblighi di soccorso degli stati, al punto che Malta che ha bloccato nel suo porto ben tre navi delle ONG, oggi si trova costretta ad affrontare attività SAR doverose, che in passato erano invece demandate alle navi umanitarie, sotto coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC). Ed aumenta giorno dopo giorno la conta delle vittime, mai tanto numerose rispetto agli sbarchi, come in questi ultimi due mesi. Senza la presenza delle ONG le navi e gli uomini preposti alla ricerca e salvataggio in alto mare, come i vettori commerciali, saranno esposti ad un carico enorme di responsabilità. Nessuno potrà contare sull’allontanamento delle navi umanitarie per dichiarare vittoria nella guerra contro scafisti e trafficanti, propaganda elettorale a basso costo che ha caratterizzato questi ultimi mesi. E presto le navi delle ONG comunque ritorneranno a salvare vite umane in alto mare.

Quanto sta avvenendo nel porto di Catania è diretta conseguenza della scelta politica, già condivisa dal precedente governo, di limitare il campo di intervento della guardia costiera italiana contribuendo alla notifica di una zona SAR “libica”, anche con la cessione di mezzi navali al governo di Tripoli, e poi alla “guerra” dichiarata al soccorso umanitario, che ha comportato l’allontanamento della maggior parte delle ONG che operavano soccorso in mare sotto coordinamento della stessa Guardia costiera. Un importante punto di svolta è stato costituito dal respingimento della Aquarius nel mese di giugno, culminato con la notificazione di una SAR “libica” all’IMO da parte del governo Serraj. Il voto del parlamento italiano che ha confermato il decreto legge del governo con il quale si cedevano altre unità, sia pure di piccole dimensioni, alla cd. Guardia costiera libica ha oggettivamente contribuito alla politica di sbarramento totale e di abbandono delle competenze SAR in acque internazionali, portata avanti da Salvini. Una politica avviata dal precedente governo con il ministro Minniti che aveva contribuito a criminalizzare le attività di ricerca e soccorso delle ONG. Adesso l’attacco si rivolge direttamente alle prerogative del corpo della guardia costiera alle dipendenze del ministro dei trasporti e delle infrastrutture, e non del ministero dell’interno, come qualcuno impropriamente ritiene.

Non si ridurrà certo con il blocco di qualche centinaio di naufraghi il numero già esiguo di migranti che raggiungono l’Italia sulla rotta “libica”, e non si otterranno modifiche delle regole di distribuzione dei richiedenti asilo, (cosiddetta Riforma Dublino), reiterando comportamenti violenti in evidente violazione di norme interne, a partire dall’art. 10 (diritto di chiedere asilo) e dall’art. 13 della Costituzione (in materia di libertà personale), e con Convenzioni internazionali che impongono agli stati precisi obblighi di soccorso e di sbarco immediato in un porto sicuro.

Come ha osservato il Sindacato Nazionale Forense, “la libertà personale tutelata dalla norma penale di cui all’art. 605 c.p. è un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 13 della Carta Costituzionale, a tenore del quale non è ammessa alcuna forma di restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. È evidente come la decisione dei Ministri Salvini e Toninelli nulla abbia a che vedere con un provvedimento dell’autorità giudiziaria e, ancora una volta, il governo italiano mostra sprezzante il suo spregio per quell’assetto costituzionale che regge il nostro Stato di diritto, la fonte delle garanzie e dei diritti di tutti, che impedisce abusi e soprusi da parte di chiunque si vesta d’autorità per impedire l’esercizio di diritti fondamentali.”

Ma forse è proprio su queste eclatanti violazioni dei diritti umani che il ministro dell’interno Salvini punta per accrescere il suo consenso personale in vista di uno stravolgimento degli assetti costituzionali e dei rapporti con l’Unione Europea. Non si comprende alla luce del quadro costituzionale il ruolo degli altri componenti del governo, e dell’evanescente presidente del consiglio, relegati al ruolo di comparse. Sembra sempre più importante il ruolo di sorveglianza e di garanzia della Presidenza della Repubblica, un ruolo che è stato già esercitato e che sarà essenziale anche in futuro.

I fatti e le contestazioni del Garante nazionale per le persone private della libertà personale

Il Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma, nella giornata di venerdì 17 agosto, quando la nave Diciotti restava bloccata davanti l’isola di Lampedusa, ha chiesto “urgenti informazioni” alle autorità competenti “in relazione a un caso di rilevanza umanitaria”. La richiesta è contenuta in una lettera inviata al comandante generale della Guardia costiera, ammiraglio Giovanni Pettorino, e al Capo Dipartimento libertà civili del ministero dell’interno, prefetto Gerarda Pantalone. Il 21 agosto il Garante ha ulteriormente specificato le sue contestazioni e si è rivolto alle più alte cariche dello stato. Con un comunicato del 22 agosto, a fronte del trattenimento prolungato di 177 migranti bordo della stessa nave, ormai ormeggiata nel porto di Catania, ha annunciato la visita di una delegazione del suo ufficio per il giorno successivo. Anche se dalla Diciotti verranno fatti scendere i minori, rimane evidente la violazione dell’art. 13 della Costituzione italiana che vieta il trattenimento amministrativo per oltre 48 ore senza la comunicazione al magistrato e la successiva convalida (entro 48 ore) del giudice. Il Garante nazionale in particolare aveva domandato delucidazioni sulla richiesta di un Place of safety, sulle ragioni di un eventuale diniego di approdo, sulle condizioni generali dei 177 migranti a bordo della nave, da 70 ore al largo di Lampedusa “a quanto risulta da foto circolate sui social”. L’intervento del Garante deriva dal fatto che è chiamato a vigilare anche su possibili privazioni de facto della libertà e il caso della nave Diciotti “sembrerebbe avere una configurazione di questo tipo, vista l’apparente prolungata assenza di indicazioni di sbarco”.

Secondo il Garante, già prima che la nave raggiungesse il porto di Catania i migranti soccorsi e presenti a bordo della Nave Diciotti sarebbero stati, come continuano ad essere, sottoposti ad una illegittima privazione della libertà personale, e sono stati fino ad oggi comunque sottoposti alla custodia, vigilanza, controllo, cura e assistenza delle Autorità Italiane per tempi che eccedono ampiamente quelli necessari al perfezionamento delle operazioni di soccorso secondo i protocolli internazionali;

Lo stesso Garante nazionale ha anche, in diverse occasioni, rappresentato il rischio concreto che dalle decisioni del ministro dell’interno possano derivare violazioni del diritto internazionale, esponendo l’Italia a gravi responsabilità, ove il trattenimento si dovesse prolungare ulteriormente, o peggio, ove i naufraghi dovessero venire ricondotti in Libia. La sentenza di condanna dell’Italia sul caso Hirsi costituisce un precedente che non si può aggirare con misure regolamentari o con accordi tra stati. Ed altre condanne della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, come quelle sui casi Khlaifia e Richmond Yaw, segnano limiti precisi alla detenzione amministrativa che il nuovo governo italiano non potrà certo eludere impunemente, quale che sia la percentuale di consensi che riscuote. Dopo il Garante per i diritti dei detenuti e delle persone private delle libertà personali è intervenuto anche il Garante dei diritti dell’infanzia, che ha duramente criticato il trattenimento dei minori non accompagnati a bordo della nave Diciotti, ferma, dopo lo stand by sofferto a Lampedusa, da oltre 48 ore nel porto di Catania.

La distribuzione dei naufraghi nei paesi europei ed il ricatto del governo italiano

Per lo smistamento tra i Paesi membri dell’Unione si sta adoperando il ministro degli Affari Esteri, mentre Il conflitto tra le diverse istituzioni dello Stato si fa inoltre ancora più complesso con interventi di varia natura, sul piano penale ed amministrativo, che comunque riguardano il caso della nave tenuta in “ostaggio” del Viminale. Al di là della fondatezza delle richieste avanzate all’Unione Europea in ordine alla redistribuzione dei migranti soccorsi in mare, non sembra sostenibile neppure da un punto di vista politico, ancor meno sotto un profilo giuridico, il “ricatto” che si sta realizzando con il trattenimento dei naufraghi soccorsi dalla Diciotti ormai una settimana fa, in attesa che l’Unione Europea, o meglio gli stati che ne fanno parte, cedano ed accettino la richiesta di redistribuzione avanzata dall’Italia. Una richiesta che oggi ha ben pochi sostenitori in Europa, sia per le inadempienze dell’Italia verso altri paesi, in analoghe procedure di redistribuzione, ancora bloccate, che per le posizioni oltranziste di totale chiusura di quei governi che sono più vicini all’attuale ministro dell’interno Salvini, come i governi xenofobi e nazionalisti del cd. Patto di Visegrad, e soprattutto come l’Austria del cancelliere Kurz, in questo semestre alla presidenza dell’Unione Europea.

Le scelte del ministro dll’interno, dopo l’infortunio della minacciata (e subito ritirata) “chiusura dei porti” alle navi della missione europea EUNAVFOR MED, hanno fatto emergere un malessere diffuso da tempo nella guardia costiera italiana. Il primo luogotenente Antonello Ciavarelli, delegato del Consiglio Centrale della Rappresentanza Militare (Cocer) della Guardia costiera italiana, rilasciava un’intervista al Corriere della Sera sulla situazione in cui si trova da giorni la nave militare italiana Diciotti, che ha a bordo 177 migranti e a cui però il governo italiano non ha ancora dato autorizzazione ad attraccare. Quello della Diciotti è l’ultimo di una serie di “casi senza precedenti” che si stanno verificando da settimane nel Mediterraneo, da quando cioè il governo guidato da Giuseppe Conte ha cambiato le politiche relative al soccorso di migranti in mare (qui la storia completa del caso Diciotti).

Nella sua intervista, Ciavarelli ha commentato soprattutto gli sviluppi degli ultimi giorni, per esempio le affermazioni di domenica 19 agosto del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha detto che il governo non autorizzerà l’attracco della Diciotti in un porto italiano finché gli altri paesi dell’Unione Europea non si impegneranno ad accogliere parte dei migranti che si trovano a bordo. Salvini ha minacciato che, in caso contrario, la Diciotti potrebbe riportare i migranti in Libia, da dove sono partiti: secondo l’ufficiale” è una cosa che l’Italia non può fare, e per la quale è già stata condannata da un tribunale europeo, perché equivarrebbe a un respingimento, a non garantire la possibilità ai migranti di chiedere protezione internazionale, e perché sarebbe una violazione del concetto di “porto sicuro” (in Libia vengono compiute sistematiche violazioni dei diritti umani sui migranti). Del resto neppure la Libia, o i diversi governi che se la contendono, sembrano disponibili ad accettare la riconsegna dei migranti soccorsi in acque internazionali.

Le prime attività di indagine della magistratura sul caso della nave Diciotti

Tra gli attori istituzionali a livello nazionale per prima la Procura della Repubblica di Agrigento che, con un comunicato stampa firmato dal procuratore capo Luigi Patronaggio, annunciava di aver avviato una indagine d’ufficio sul caso, dopo avere interrogato i migranti che erano stati fatti scendere dalla Diciotti quando era bloccata davanti Lampedusa e quindi trasferiti in ospedale o nel centro di accoglienza di Siculiana (Agrigento). Secondo una prima nota stampa, “la Procura della Repubblica di Agrigento, nel rigoroso ambito della propria giurisdizione e competenza, ha avviato una indagine volta a conoscere il tentativo di ingresso di n. 190 immigrati extracomunitari avvenuto in data 16/8/018 al largo dell’isola di Lampedusa, tratti in salvo dalla motonave ‘Diciotti’ e ad oggi ancora ospitati sulla medesima motonave della Guardia Costiera. Detta indagine, affidata alla Capitaneria di Porto di Porto Empedocle e alla Squadra Mobile di Agrigento, oltre ad individuare scafisti e soggetti dediti al favoreggiamento della immigrazione clandestina, tende altresì a conoscere le condizioni dei 177 migranti superstiti a bordo della predetta unità navale militare.”

Successivamente, nella giornata del 22 agosto, il procuratore Patronaggio visitava la nave Diciotti nel porto di Catania, mentre giungevano notizie dell’apertura di altre inchieste da parte della Procura di Catania e della Direzione distrettuale antimafia (DDA) di Palermo. Un chiaro comunicato della Procura del Tribunale dei Minori di Catania sollecitava lo sbarco immediato dei numerosi minori non accompagnati illegittimamente trattenuti da una settimana a bordo della stessa nave della Guardia costiera italiana, prima davanti Lampedusa, quindi nel porto di Catania.

Nella tarda serata del 22 agosto, dopo la visita del procuratore Patronaggio a bordo della Diciotti ancorata nel porto di Catania si è appreso dall’ANSA che dalla Procura di Agrigento è stata aperta una indagine per sequestro di persona a carico di ignoti.

Il quadro normativo internazionale

Al fine di fare luce sulla possibile rilevanza dei fatti sopra esposti sotto il profilo della responsabilità amministrativa, penale o civile, a carico di soggetti che potranno essere individuati dalla magistratura, occorre rammentare che le norme che prevedono un sistema normativo concernente il soccorso, la tutela e la salvaguardia della condizione giuridica delle persone soccorse in mare.

Diverse convenzioni internazionali definiscono gli obblighi, per gli Stati parte, di assicurare l’organizzazione delle comunicazioni di distress (pericolo) in mare e del coordinamento nella propria area di responsabilità, nonché del soccorso di persone in pericolo in mare:

– La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Convenzione UNCLOS) impone ad ogni Stato costiero l’obbligo di “…promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare e, ove le circostanze lo richiedano, di cooperare a questo scopo attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi”. Al fine di attuare questa obbligazione (il cui inadempimento certamente comporterebbe conseguenze giuridiche sotto diversi aspetti di responsabilità), gli Stati Parte della Convenzione hanno stabilito accordi comuni sulle aree di ricerca e di soccorso, comunemente note come aree SAR. In base all’art. 18 dell’UNCLOS, il soccorso in mare non può certo concludersi su una nave, ma in un “luogo sicuro, secondo le ragionevoli valutazioni del comandante”.

La stessa Convenzione UNCLOS All’articolo 19, stabilisce che il passaggio di una nave, qualunque sia la bandiera che batte, nelle acque territoriali di uno Stato è inoffensivo, e dunque permesso, «fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero». Nel comma 2 si precisano le attività che potrebbero portare a considerare il passaggio non inoffensivo: una di queste (punto g) è «il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero».

– La Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR) si fonda sul principio della cooperazione internazionale. Le zone di ricerca e salvataggio sono ripartite d’intesa con gli altri Stati interessati. Tali zone non corrispondono necessariamente con le frontiere marittime esistenti. Esiste l’obbligo di approntare piani operativi che prevedono le varie tipologie d’emergenza e le competenze dei centri preposti. I poteri-doveri di intervento e coordinamento da parte degli apparati di un singolo Stato nell’area di competenza non escludono, sulla base di tutte le norme più sopra elencate, che unità navali di diversa bandiera possano iniziare il soccorso quando l’imminenza del pericolo per le vite umane lo richieda (Camarda).

La Convenzione SAR obbliga gli Stati parte a “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” ed a “[…] fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro” (Annesso, Cap. 2, par 2.1.9 e 2.1.10 della Convenzione di Amburgo). La stessa Convenzione impone un rapporto tra l’estensione delle zone SAR e le capacità dei servizi SAR del Paese responsabile.

La Convenzione SAR 1979 trova rispondenza negli articoli del Codice della navigazione, ma soprattutto nella specifica normativa interna d’implementazione costituita dal D.P.R. 28 settembre 1994 n. 662. L’autorità responsabile per l’applicazione della Convenzione è il Ministro dei trasporti mentre l’organizzazione centrale e periferica è affidata al Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto ed a relative strutture periferiche.

La responsabilità a carico dei ministri si fonda sul presupposto che in materia esiste una precisa normativa interna, europea ed internazionale, sopra richiamate, che prevedono che la nave di soccorso sia un “place of safety” temporaneo, e che dopo l’espletamento di una operazione SAR (ricerca e salvataggio) lo sbarco in un porto sicuro deve avvenire nella maniera più rapida, anche se dovrà trattarsi del porto sicuro più vicino e non soltanto del porto più vicino. Si tratta di atti riferibili ai ministri competenti come atti di gestione delle risorse tecniche, umane e dunque finanziarie, facenti capi ai loro dicasteri e non come atti di indirizzo politico.

E’ indubbio come la nave soccorritrice sia un luogo puramente provvisorio di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide con il momento terminale delle operazioni di soccorso. La definizione di “luogo sicuro” di approdo da cui dipende la previsione di adempimento delle norme pattizie, è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non sia più minacciata. Non basta, dunque, affermare che la nave Diciotti non si trovi in stato di pericolo attuale per escludere l’applicabilità della normativa internazionale. Lo sbarco in un porto sicuro, e solo questo, conclude le operazioni di soccorso, permanendo in capo allo Stato che ha operato e coordinato le operazioni di soccorso, l’obbligo di garantire quella sicurezza, che a bordo di una nave sovraffollata e con limitate possibilità di cure mediche, non è possibile garantire.

– La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) richiede agli Stati parte “…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie…”. La stessa Convenzione indica specifiche tecniche e requisiti di navigabilità per le imbarcazioni e le navi che permettono di valutare in una situazione di pericolo (distress) immediato tutte le imbarcazioni di migranti che si trovino in acque internazionali, ad oltre 24 miglia dalla costa dunque, in evidenti condizioni di sovraccarico e di assenza di mezzi di salvataggio collettivo. Si osserva dunque (Caffio, Il SAR Mediterraneo) che “la richiesta di soccorso può pervenire agli organi SAR nazionali prima che si verifichi un evento pregiudizievole per la vita delle persone trasportate. Il problema riguarda in particolare la questione dell’esistenza di un effettivo o imminente distress (situazione cioè di pericolo), potendosi anche presentare il caso che la richiesta avvenga in assenza di pericolo imminente, ma tuttavia sia avanzata da un’imbarcazione priva dei requisiti di sicurezza”.

Gli Emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR mirano a preservare l’integrità dei servizi di ricerca e soccorso (SAR), garantendo che le persone in pericolo in mare vengano assistite e, allo stesso tempo, riducendo al minimo gli inconvenienti per la nave che presta assistenza. Essi richiedono agli Stati e alle Parti contraenti di: coordinarsi e cooperare per far sì che i comandanti delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in difficoltà in mare siano sollevati dai propri obblighi con una minima ulteriore deviazione rispetto alla rotta prevista dalla nave; e di organizzare lo sbarco al più presto, per quanto praticabile. Essi inoltre obbligano i comandanti che hanno imbarcato persone in difficoltà in mare a trattare queste ultime con umanità, compatibilmente con le possibilità della nave.

Al fine di fornire una guida alle autorità di governo ed ai comandanti che si trovano a metter in pratica questi emendamenti, sono state elaborate delle Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Risoluzione MSC.167 -78- adottata nel maggio 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza insieme agli emendamenti SAR e SOLAS). Esse contengono le seguenti disposizioni: il governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito. Un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove: la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale. Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative. Lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare, in territori nei quali la loro vita e la loro libertà sarebbero minacciate, dovrebbe essere evitato.

In precedenza la Convenzione SOLAS del 1974 aveva previsto che gli Stati parte organizzassero meccanismi di comunicazione e coordinamento in situazione di distress in mare nelle loro «rispettive aree di responsabilità» e per il salvataggio di persone in pericolo «intorno alle loro coste» (Cap. V, regola 7). Nonostante la nozione di distress sia chiaramente definita a livello convenzionale, si ricorda (Caffio)come alcuni Stati come Malta abbiano espresso tuttavia “divergenti interpretazioni sugli obblighi SAR in casi in cui un’imbarcazione sia priva di requisiti di navigabilità ma non avanzi richiesta di soccorso”.

Comunque, lo Stato responsabile per una determinata area SAR ha l’obbligo di andare in soccorso e di coordinare l’operazione di salvataggio e le adeguate misure di protezione. Secondo il diritto internazionale peraltro, un’imbarcazione si trova sotto la giurisdizione dello Stato quando le autorità statali esercitano un controllo effettivo o hanno autorità sull’imbarcazione (almeno dal momento dell’intercettazione o del salvataggio e, senza dubbio, dal momento in cui il salvataggio è possibile], o sull’area marina interessata. Come ricorda Caffio, “va sottolineato che la cooperazione SAR tra Italia e Malta non è stata mai istituzionalizzata da alcun accordo, nonostante ciò sia raccomandato dalla Convenzione di Amburgo e nonostante i rapporti tra i due Paesi siano stati sempre eccellenti a livello politico. Il disaccordo con Malta riguarda anche l’estensione delle rispettive zone SAR (l’enorme zona maltese, coincidente con la sovrastante FIR (area soccorso aereo n.d.a.), si sovrappone con quella italiana in più aree, compresa quella delle acque territoriale delle Isole Pelagie) e la nozione di place of safety in cui trasportare i migranti salvati nella propria SAR (Malta sostiene essere non Valletta ma Lampedusa, se più vicina al luogo del soccorso)”.

In ogni caso prevale la tutela assoluta della vita umana e la prima autorità SAR (RCC) cha ha notizia di un’emergenza attuale o potenziale, diventa responsabile del caso e deve intraprendere tutte le azioni necessarie per coordinare l’intervento, fino a quando la competente autorità SAR non ha assunto la responsabilità del caso. (IAMSAR Vol.II).

La competenza nelle attività SAR o la individuazione del place of safety non possono derogare i principi fondamentali affermati in favore dei rifugiati ai quali sono parificati i richiedenti asilo. In base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati (art.33), “nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche. Il beneficio di detta disposizione non potrà tuttavia essere invocato da un rifugiato per il quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale, essendo stato oggetto di una condanna già passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunità di detto Stato”. In ogni caso, le espulsioni collettive sono vietate dal quarto protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo firmato a Strasburgo il 16 settembre 1963 (cfr. art. 19.1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea).

Costituisce quindi un obbligo umanitario di tutti gli Stati costieri consentire alle navi in difficoltà di cercare riparo nelle loro acque e concedere l’asilo, o, almeno, emanare un provvedimento di protezione temporaneo alle persone a bordo richiedenti asilo, dove la locuzione “in difficoltà” non giustifica evidentemente le operazioni di messa in sicurezza dei migranti solo quando vi siano eventi catastrofici in atto ma, al contrario, anche situazioni si sovraffollamento dei barconi o di difficoltà nella navigazione impongono l’attivazione di tutte le misure necessarie per quello che attiene il salvataggio delle persone. L’obbligo dello Stato di cooperare per la conclusione dell’operazione di soccorso in mare, consentendo lo sbarco dei naufraghi, impone comportamenti consequenziali che prescindono dal potere dello Stato stesso di negoziare successive redistribuzioni di migranti a livello europeo, o di ricercare i presunti scafisti, o di adottare provvedimenti di respingimento (ma in tutta sicurezza) previsti dalla legge. Nel caso dei minori non accompagnati e di coloro che manifestano anche verbalmente la volontà di chiedere asilo, o di altri soggetti vulnerabili come le donne vittime di violenza e le vittime di tortura, questo obbligo di cooperare per lo sbarco dei naufraghi ha carattere assoluto ed inderogabile.

Secondo il diritto internazionale il dovere di ricercare e soccorrere le persone in pencolo in mare deriva dagli obblighi positivi degli Stati di proteggere la vita delle persone soggette alla loro giurisdizione derivanti dalle Convenzioni internazionali e dai connessi protocolli operativi: ciò comporta che anche nelle acque territoriali lo Stato ha giurisdizione e, conseguentemente, è obbligato secondo il diritto internazionale dei diritti umani ad adottare le misure necessarie per proteggere i diritti fondamentali delle persone presenti in questo spazio. Sono poi le leggi ed i regolamenti nazionali che, in conformità agli obblighi internazionali, prevalenti e inderogabili da parte del legislatore interno, anche per effetto degli articoli 10,11 e 117 della Costituzione, definiscono concretamente le competenze e le modalità operative delle attività SAR (ricerca e salvataggio) affidate alle autorità politiche, amministrative e nazionali, ma anche a soggetti privati, nazionali ed internazionali.

Con riferimento alle operazioni dell’agenzia europea FRONTEX, presente da anni nelle acque del Mediterraneo centrale, si rileva un ennesimo tentativo di deresponsabilizzazione dell’Unione europea, in quanto “con l’operazione Triton, secondo il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri «era stato chiaramente scritto che tutti gli sbarchi» dei migranti soccorsi «sarebbero dovuti avvenire in Italia. Con Themis torniamo al fatto che sono i Centri di coordinamento di soccorso marittimo (Mrcc) che devono decidere dove farlo. Quindi non sarà più nel 100% dei casi in Italia». Anche da queste scelte dell’agenzia Frontex è derivata l’incertezza nelle competenze riguardo la individuazione del porto di sbarco, che hanno prodotto i casi che hanno interessato prima le navi umanitarie come Aquarius, Lifeline, Open Arms e Sea Watch, e quindi anche la nave Diciotti della Guardia costiera italiana.

La normativa nazionale, le competenze delle autorità marittime ed i poteri dei ministri

Con la Legge n. 147 del 03.04.1989 l’Italia ha ratificato la Convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso marittimo e con D.P.R. n. 662 del 1994 ha dato attuazione alla Convenzione di Amburgo del 1979.

Il Regolamento di attuazione provvede a delineare un assetto organizzativo e funzionale del settore, stabilendo le rispettive funzioni delle strutture interessate e, in particolare, affidando al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto il compito di assicurare l’organizzazione efficiente dei servizi di ricerca e salvataggio nell’ambito dell’intera regione di interesse italiano sul mare, che si estende ben oltre i confini delle acque territoriali.

Il Comando Generale, infatti, assume le funzioni di I.M.R.C.C. (Italian Maritime Rescue Coordination Centre), Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo, cui fa capo il complesso delle attività finalizzate alla ricerca ed al salvataggio della vita umana in mare, mediante l’impiego della componente aeronavale del Corpo delle Capitanerie di porto, con l’eventuale ausilio di altre unità di soccorso militari e civili. L’I.M.R.C.C. – funzionalmente individuato nella struttura della Centrale Operativa del Comando Generale – mantiene i contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri Stati per assicurare la collaborazione a livello internazionale prevista dalla Convenzione di Amburgo.

Il citato decreto 662/94 conferisce alle attuali 15 Direzioni Marittime ed all’Autorità Marittima dello Stretto (Messina) le funzioni di Centri Secondari di soccorso marittimo (M.R.S.C. – Maritime Rescue Sub Center) che assicurano il coordinamento delle operazioni marittime di ricerca e salvataggio, ciascuna nella propria giurisdizione, secondo le direttive specifiche o le deleghe del Centro Nazionale di coordinamento (I.M.R.C.C.). In base all’art. 2 del decreto, “l’autorita’ nazionale responsabile dell’esecuzione della convenzione è il Ministro dei trasporti e della navigazione”. In base all’art. 5 del decreto, “Il centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo (I.M.R.C.C.), i centri secondari di soccorso marittimo (M.R.S.C.) e le unità costiere di guardia (U.C.G.), secondo le rispettive competenze, coordinano o impiegano le unità di soccorso. L’I.M.R.C.C. e gli M.R.S.C. richiedono agli alti comandi competenti della Marina Militare e dell’Aeronautica militare, in caso di necessità, il concorso dei mezzi navali ed aerei appartenenti a tali amministrazioni dello Stato. Parimenti le U.C.G. richiedono alle altre amministrazioni dello Stato o a privati il concorso di mezzi navali ed aerei, ritenuti idonei per partecipare alle operazioni di soccorso marittimo secondo le procedure e le modalità previste dal decreto del Ministro della marina mercantile 1 giugno 1978, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 174 del 27 giugno 1979.

Il Decreto legislativo 662/94 non assegna alcuna competenza al Ministero dell’interno nella scelta dei tempi e delle modalità delle operazioni di ricerca e salvataggio in acque internazionali. il Codice della navigazione stabilisce (all’art. 83) che il Ministero dei Trasporti possa vietare, «per motivi di ordine pubblico, il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale». Ma dovranno essere ragioni di “ordine pubblico” contenute in un provvedimento amministrativo formale, che come tale sia impugnabile nelle sedi competenti, con una motivazione argomentata in modo puntuale. In ogni caso, qualora ricorrono esigenze di salvaguardia della vita e della salute delle persone soccorse, o ancora siano presenti richiedenti asilo o minori non accompagnati, ma anche altri soggetti vulnerabili come vittime di tortura o donne in stato di gravidanza, queste esigenze di ordine pubblico, siano anche finalizzate all’esigenza di impedire il perfezionamento di reati ( l’agevolazione dell’ingresso irregolare) non possono essere perseguite in spregio dei fondamentali valori della persona e della vita umana.

In base al Decreto ministeriale 14 luglio 2003 (disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina in G.U. n. 220 del 2003), successivo alla legge Bossi Fini del 2002 vengono indicate le competenze delle diverse autorità nazionali, in particolare all’art. 6 secondo cui: “1. Ferme restando le competenze dei prefetti dei capoluoghi di regione ai sensi dell’art. 11, comma 3, del testo unico in materia di coordinata vigilanza, nelle acque territoriali e interne italiane le unità navali delle Forze di polizia svolgono attività di sorveglianza e di controllo ai fini della prevenzione e del contrasto del traffico illecito di migranti. Le unità navali della Marina militare e delle Capitanerie di porto concorrono a tale attività attraverso la tempestiva comunicazione dell’avvistamento dei natanti in arrivo o mediante tracciamento e riporto dei natanti stessi, in attesa dell’intervento delle Forze di polizia. Quando in relazione agli elementi meteomarini ed alla situazione del mezzo navale sussistano gravi condizioni ai fini della salvaguardia della vita umana in mare, le unità di Stato presenti, informata la Direzione centrale e sotto il coordinamento dell’organizzazione di soccorso in mare di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 662, provvedono alla pronta adozione degli interventi di soccorso curando nel contempo i riscontri di polizia giudiziaria. 2. Al fine di rendere più efficace l’intervento delle Forze di polizia nelle acque territoriali è stabilita una fascia di coordinamento che si estende fino al limite dell’area di mare internazionalmente definita come «zona contigua» nelle cui acque il coordinamento delle attività navali connesse al contrasto dell’immigrazione clandestina, in presenza di mezzi appartenenti a diverse amministrazioni, e’ affidato al Corpo della guardia di finanza”.

L’art. 83 del Codice della Navigazione stabilisce che “il Ministro dei trasporti e della navigazione può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”. Appare evidente che questa norma non si può applicare nel caso dei mezzi della Guardia costiera, non radica nessuna competenza del ministero dell’interno, ed è comunque derogabile quando ricorra lo stato di necessità per una situazione di rischio di subire un danno grave o di perdere la vita. Nessuno può ordinare del resto respingimenti collettivi in Libia, neppure il ministro dell’interno. Come hanno riconosciuto i Tribunali di Ragusa e di Palermo.

Come ha recentemente chiarito la Procura presso il Tribunale di Palermo, con la richiesta di archiviazione del 28 maggio 2018 (richiesta accolta dal Tribunale di Palermo il 15 giugno 2018) del procedimento nei confronti della Ong Sea Watch, “occorre sottolineare che, secondo quanto previsto dalla Convenzione SAR siglata ad Amburgo nel 1979, le operazioni SAR di soccorso non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro (POS, piace of safety): secondo la risoluzione 1821 (2011) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa la nozione di luogo sicuro comprende necessariamente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Argomenti decisivi e assorbenti, al fine della confutazione di quanto sopra esposto, risultano essere allora da un lato, l’effettività del soccorso e, dall’altro, l’assoluta mancanza di cooperazione dello Stato di Malta nella gestione dei predetti eventi SAR. Al contrario, il dovere giuridico di salvaguardare la vita dei migranti e l’assicurare il rispetto dei prìncipi umanitari una volta avvenuto lo sbarco impongono un’interpretazione sostanziale dell’art. 98 UNCLOS: ne consegue che il porto più vicino, allora, non dovrà individuarsi esclusivamente avuto riguardo alla posizione geografica, ma dovrà invece essere, necessariamente, quello che assicurerà il rispetto dei predetti diritti.”

Oltre la dimensione dello stato penale, la condanna del governo italiano a livello nazionale ed internazionale deve venire dai tribunali ordinari, civili ed amministrativi, e dalle corti internazionali. Ruolo della società civile.
E dunque la magistratura penale che indica già adesso la scelta obbligata, attesa l’indisponibilità di Malta, quella di fare approdare i naufraghi in Italia, e non di sottoporre centinaia di persone già gravemente traumatizzate dalla detenzione nei campi libici e dal primo tratto di viaggio in mare su barconi di fortuna, ad altri giorni di ulteriore navigazione, e poi di trattenimento a bordo della nave attraccata da due giorni nel porto di Catania, in stato di sofferenza fisica e prostrazione psicologica, privati di fatto della libertà personale. Valutazioni che sembrano non scalfire la linea adottata dal ministro dell’interno, evidentemente più interessato ad una ennesima prova di forza, non solo con l’Unione Europea ma anche con le altre istituzioni nazionali, e con gli stessi alleati, in vista di un ulteriore aumento dei consensi e di uno schiacciamento dell’intero governo italiano sulle sue posizioni di negazione dei diritti fondamentali dei migranti e di chiusura verso le attività di ricerca e soccorso in acque internazionali.

Non si può tuttavia restare arroccati in attesa che la magistratura penale faccia il suo corso, particolarmente accidentato qualora dovessero emergere responsabilità ministeriali. Occorre che tutti i cittadini solidali si organizzino per iniziative sul territorio di solidarietà ai migranti, in difesa dei loro diritti, che poi sono i diritti di tutti, senza discriminazioni nella effettiva fruizione dei diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto alla vita. Non si possono utilizzare i corpi e le vite delle persone per ricattare l’Unione europea in vista della modifica del Regolamento Dublino, trasformando i migrati in ostaggio. Dietro la campagna propagandistica di Salvini, attuata dai social di cui dispone con un gruppo di alto impatto (la bestia) che interviene orientando l’opinione pubblica, si cela il sostanziale fallimento della politica estera italiana sia nei rapporti con i governi libici, che a livello europeo. Si sono spacciate come un successo le conclusioni del Consiglio Europeo del 28 giugno scorso che rendeva solo facoltativa quella redistribuzione dei richiedenti asilo tra gli stati dell’Unione, che in precedenza era obbligatoria, al punto che alcuni paesi del gruppo di Visegrad, quelli che Salvini reputa suoi alleati naturali, erano finiti sotto inchiesta davanti la Corte di Giustizia di Lussemburgo. Oggi sono quegli stessi paesi che negano qualunque possibilità di ritrasferimento dei migranti ancora a bordo della nave Diciotti ormeggiata nel porto di Catania.

Il fermo prolungato di una nave come la Diciotti comporta anche una ulteriore diminuzione della capacità operativa del sistema di ricerca e salvataggio sulla rotta del Mediterraneo Centrale. Occorre battere la comunicazione tossica legata ai soccorsi in mare, che ha portato all’allontanamento delle ONG ed alla rarefazione dei mezzi di soccorso disponibili su quella che si conferma come la rotta migratoria più pericolosa del mondo, una rotta sulla quale non è più prevedibile quale possa essere l’intervento di soccorso e quando si potrà realizzare compiutamente. I comportamenti omissivi legati a richieste di intervento inevase o ritardate potrebbero sommarsi. Sarà necessario seguire giorno dopo giorno i numerosi processi che si annunciano per effetto delle decisioni del governo di chiudere di fatto i porti ai mezzi di soccorso e di ritirare le unità SAR italiane fino al limite delle acque territoriali.

L’impegno della società civile e delle associazioni dovrà essere sempre più intenso e coordinato, per difendere lo stato di diritto ed il diritto alla vita dei migranti, sia in mare che a terra.

Comunicato MGA – Sindacato nazionale forense

SULLA NAVE DICIOTTI STA MORENDO LO STATO DI DIRITTO: LA PROCURA INDAGHI.

Tra respingimenti illegali, privazioni della libertà personale ingiustificate ed illegittime, omissioni di soccorso e violazioni delle norme nazionali e pattizie, assistiamo (inermi?) alla fine dello Stato di diritto.

All’ombra di una guerra fredda – quanto inutile – tra il governo italiano e l’Europa, ci sono 177 persone, uomini, donne, bambini, tutti in fuga dai lager libici, vittime di torture e trattamenti inumani a cui si è deciso di negare i più elementari diritti in nome di un sovranismo da propaganda, inesistente e di facciata, con buona pace del sistema giudiziario e del nostro ordinamento.

Perchè se da un lato il governo pare aver compreso il peso dell’illegalità nel negare un porto sicuro ai naufraghi (http://www.mgaassociazioneforense.it/visualizza.asp?id1=184), la partita di Lega e M5S si è spostata sul negarne lo sbarco a terra.

Una scelta, questa, che non esime il governo italiano dalle violazioni umanitarie ed anzi, apre ad aberranti condotte e fattispecie penalmente rilevanti.

Il trattamento riservato finora ai migranti è in contrasto con la piena effettività del diritto di accedere alla procedura d’asilo, principio, questo sancito dalla Convenzione di Ginevra, dal diritto comunitario e dalla normativa italiana.

I naufraghi a bordo della nave Diciotti si trovano in una condizione di privazione della libertà di fatto: senza la possibilità di libero sbarco e senza che tale impossibilità di movimento sia supportata da alcun provvedimento che definisca giuridicamente il loro stato, in violazione dell’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

Impedire lo sbarco dalla nave Diciotti ai 177 migranti richiedenti asilo è, a piena regola, un sequestro di persona.

Il reato di sequestro di persona tutela il bene giuridico, costituzionalmente garantito, della libertà personale che viene leso da qualsiasi apprezzabile limitazione della libertà intesa quale possibilità di movimento privo di costrizioni.

La libertà personale tutelata dalla norma penale di cui all’art. 605 c.p. è un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 13 della Carta Costituzionale, a tenore del quale non è ammessa alcuna forma di restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

E’ evidente come la decisione dei Ministri Salvini e Toninelli nulla abbia a che vedere con un provvedimento dell’autorità giudiziaria ed, ancora una volta, il governo italiano mostra sprezzante il suo spregio per quell’assetto costituzionale che regge il nostro Stato di diritto, la fonte delle garanzie e dei diritti di tutti, che impedisce abusi e soprusi da parte di chiunque si vesta d’autorità per impedire l’esercizio di diritti fondamentali.

Ancora una volta in soli due mesi il governo italiano mette a repentaglio l’equilibrio tra i poteri dello Stato, autoattribuendosi poteri che non ha, spingendosi fino a privare le persone della libertà, come nei peggiori incubi di un passato non troppo lontano.

Le irresponsabilità politiche dell’Europa non possono legittimare un governo che commette tali crimini nel silenzio assordante degli organi costituzionali.

Le palesi violazioni delle norme penali del nostro ordinamento avrebbero dovuto dare impulso alla Procura di Catania per l’iscrizione nel registro delle notizie di reato a carico dei due ministri Toninelli e Salvini per il reato di sequestro di persona.

Ma la Procura guidata dal dott. Zuccaro, il primo ad aver dato vita ad una inutile, infondata e dannosa guerra contro la solidarietà ed il soccorso in mare, ha inteso solo procedere ad aprire un fascicolo per l’ipotesi criminosa di immigrazione clandestina.

Sentiamo il dovere, quali avvocati ed operatori del diritto di ricordare al Procuratore Zuccaro che l’insidacabilità nell’esercizio dell’azione penale non è un munus da utilizzare a piacimento ed essendo, invero, uno strumento a garanzia dell’indipendenza dell’azione del potere giudiziario.

Ricordiamo al Procuratore Zuccaro, infatti, che l’iscrizione è un atto vincolato (il Pubblico Ministero non può scegliere se iscrivere o meno), il cui presupposto è un determinato esito di un previo momento conoscitivo, di un giudizio.

L’organo titolare delle indagini preliminari “deve” procedere all’iscrizione soggettiva appena il risultato dell’attività di giudizio gli consente di “qualificare” un certo soggetto all’interno della “categoria” “indagato” (cfr. Sent. Cass. Penale, ss.uu., n. 40538/2009).

Ignorare che nel porto di Catania di ci siano 177 persone stipate su una nave nella più totale situazione di emergenza umanitaria, potenzialmente idonee al riconoscimento dello status di rifugiato – sotto la protezione della convenzione di Ginevra a cui l’Italia è vincolata ed a cui viene impedito l’esercizio delle libertà personali e l’accesso alle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, le cure mediche, ed ogni altro diritto fondamentale, in uno Stato di diritto rappresenta una china alla quale non consegneremo né il Paese né le istituzioni democratiche.

MGA
Francesca Pesce per il CDN

Articolo di Fulvio Vassallo Paleologo per ADIFAssociazione Diritti e Frontiere reperibile su www.a-dif.org
(Contenuto concesso dall’autore a Mediterraneo Cronaca)

Associazione Diritti e Frontiere:
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