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Salvini contro Salvini, oggi la testimonianza dell’imputato sul caso Open Arms

Tra la dichiarazione spontanea concessa dal presidente della Corte e le risposte offerte a pubblico ministero e avvocati delle parti civili, il ministro imputato Matteo Salvini ha offerto tre certezze: si trova a processo a causa di Giuseppe Conte, gestiva tutto Matteo Piantedosi tranne le decisioni finali, Matteo Salvini non è un buon testimone per la difesa. Questa la sintesi massima dell’udienza celebrata questa mattina nell’aula bunker dedicata alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino all’interno dell’area carceraria dell’Ucciardone a Palermo.

La dichiarazione spontanea di Salvini

Ad inizio udienza la difesa ha chiesto di poter rendere una dichiarazione spontanea prima di dare spazio alle domande dell’accusa e delle parti civili. La dichiarazione concessa e resa da Matteo Salvini poco o nulla ha toccato nel merito gli aspetti tecnico-giuridici per cui è stato rinviato a giudizio e si è protratta per un’ora su una sequenza di fatti apparentemente simili e di ragioni politiche che vedevano prima condivisa l’azione di governo dal già ministro degli Interni condotta e poi la fine di tale condivisione in coincidenza della sfiducia che lo stesso partito dell’ex titolare del Viminale e vicepremier ha mosso verso il governo di cui era parte costituente. Si tratta della fatidica estate del 2019, quando ad agosto, proprio nei giorni del divieto di avvicinamento alle acque territoriali italiane imposto per decreto interministeriale alla nave Ong Open Arms, il vicepremier decideva di staccare la spina al Governo Conte I.

Nel corso della dichiarazione spontanea, resa a braccio e non per lettura di un documento puntuale, Salvini ha preso ad esempio i casi Aquarius, Diciotti, Gregoretti e Mare Jonio (due navi Ong e due navi della Guardia Costiera italiana) ed ha ricordato tweet e post vari dai quali si evinceva come la linea dura contro le navi umanitarie – e non solo, visti i casi Gregoretti e Diciotti – fosse condivisa dall’allora premier Giuseppe Conte, dal vicepremier Luigi Di Maio, dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli e dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta. A questo, Salvini ha anche aggiunto nella sua estesa dichiarazione riferimenti ai tempi di assegnazione dei porti di sbarco alle navi Ong nel periodo di ministero successivo, quando il Viminale era diretto da Luciana Lamorgese.

La difesa rinuncia al teste

La dichiarazione spontanea resa dall’imputato verteva quindi su motivazioni di carattere politico della condotta di ipotizzato reato. A questo si è quindi limitata la linea di difesa. Infatti, l’avvocato di Matteo Salvini, la nota Giulia Bongiorno, ha subito dichiarato al presidente di corte che rinunciava all’esame. Nessuna domanda dal difensore per far emergere aspetti tecnici che potessero risollevare la posizione dell’imputato. Salvo alcune opposizioni poste sulla formulazione – e non sul contenuto – di alcune domande da parte degli avvocato di parte civile , l’avvocato Giulia Bongiorno si è limitata ad ascoltare la ricostruzione spontanea del suo assistito.

Gli autogol di Salvini

Tra le domande poste a Salvini da pubblica accusa e avvocati di parte civile, alcune pare lo abbiano messo in difficoltà. Questo è parso in più occasioni. Salvini afferma di non sapere come la notizia di eventi di soccorso in mare ad opera di navi Ong arrivasse al suo capo di gabinetto. Girando intorno ad una risposta che non veniva fuori, l’imputato non ha mai precisato perché – tecnicamente – le navi Ong con naufraghi a bordo venivano trattate come “non inoffensive”, fattispecie attribuita a navi militari straniere di paesi non alleati, a navi cariche di armi o a navi dirottate da terroristi ma mai prima di allora a navi umanitarie con naufraghi a bordo. Inoltre non ricordava se in quei giorni di ferragosto era al corrente della disperazione a bordo della Open Arms, già in rada a Lampedusa, con i naufraghi esausti ed esasperati che si gettavano in mare. Per Salvini andava tutto bene a bordo, o almeno questo gli veniva relazionato dai suoi collaboratori. Tra questi, il più alto in grado era il suo capo ufficio di gabinetto: l’attuale ministro degli Interni Matteo Piantedosi.

Giuseppe Conte

Dalla dichiarazione di Salvini emerge come l’imputato ritenga essere il tradito Giuseppe Conte la causa del rinvio a giudizio sul caso Open Arms. Lo stesso Matteo Salvini ha ricordato che “tra l’8 ed il 9 agosto la Lega presentò una mozione di sfiducia al governo Conte”, di cui Salvini era vicepremier nel cosiddetto governo gialloverde (giallo M5S e verde Lega) e che “in quei giorni iniziò un carteggio tra Conte e me”. Fino alla mozione di sfiducia le comunicazioni erano informali, telefonate tra Salvini e Conte, ma dalla “settimana del Papeete” Conte avrebbe iniziato ad essere più formale trattando i rapporti con Salvini in maniera documentabile. Sul caso Open Arms ci sarebbe stato quindi un cambio di linea politica del presidente del Consiglio, un cambio nei rapporti con Salvini ed infine un mancato appoggio con la mancata firma al secondo decreto interministeriale con il quale l’attuale ministro dei Trasporti tentò di annullare il provvedimento del TAR che annullava gli effetti del decreto interministeriale scritto e firmato – anche da Toninelli e Trenta – per interdire alla Open Arms le acque territoriali italiane.

Matteo Piantedosi

Malgrado il faldone con cui si è presentato per avere contezza della dichiarazione spontanea da rendere in Tribunale, Matteo Salvini ha dato l’impressione di non aver fatto bene i compiti a casa. Molte infatti le domande alle quali non ha saputo offrire una risposta puntuale e molte alle quali ha risposto che l’allora suo capo di gabinetto era la persona più idonea per soddisfare i quesiti. Quel capo di gabinetto era l’attuale ministro degli Interni Matteo Piantedosi. Lo stesso che fu capo di gabinetto con Salvini, con Lamorgese ed infine oggi titolare del Viminale. A lui, secondo Salvini bisogna chiedere lumi su come faceva il Ministero degli Interni a sapere che una nave Ong stava effettuando un soccorso, cosa motivava il secondo decreto interministeriale da opporre al provvedimento del TAR che sospendeva gli effetti del decreto interministeriale del 2 agosto 2019, chi ha disposto lo sbarco dei minori non accompagnati, sulla base di cosa il Viminale stabiliva che a bordo di Open Arms le cose fossero “sotto controllo” e tutto quello che la memoria dell’imputato non trovava.

I punti cardine del procedimento

Matteo Salvini è a processo per sequestro di persona. Lui, secondo le ipotesi di reato, è il responsabile del mancato sbarco, protratto per quasi tre settimane, degli oltre trecento naufraghi a bordo del piccolo rimorchiatore Open Arms sotto il sole cocente di agosto e con soli due bagni chimici. Rispondendo ad una domanda sull’essere o meno a conoscenza delle manifestate intenzioni rese a bordo della nave Ong di alcuni naufraghi di presentare domanda di asilo o di protezione sussidiaria, Salvini ha risposto senza dubbi che “le domande di asilo si presentano a terra”. Ad altra domanda posta all’ex ministro degli interni, se il ministero aveva verificato manifestazioni di volontà di chiedere asilo a bordo, Salvini ha risposto un timido “non lo so”. Evasivo, non ha fornito una chiara risposta su chi informava la nave umanitaria circa i tempi di attesa o le intenzioni di negare lo sbarco. Ha inoltre confermato che tutt’oggi è vigente il regolamento di Dublino sulle richieste di asilo e quando il presidente della corte ha chiesto se tenere i naufraghi a bordo fino all’ottenimento di una redistribuzione ex ante “era una forma di pressione per gli Stati esteri?”, Salvini ha risposto senza pensarci: “Anche”.

Politica e codice penale

Oggi si è appreso dalle parole dello stesso Matteo Salvini che non vi erano specifici allarmi di possibili terroristi a bordo della Open Arms in quel mese di agosto del 2019, né specifiche ragioni a sua memoria valide per tentare di opporre un secondo decreto interministeriale al provvedimento del TAR che sospendeva gli effetti del primo. Lo stesso Salvini ha affermato, circa la redistribuzione ex ante dei naufraghi, motivo ostativo allo sbarco, che “il 20 agosto a Bruxelles o nelle altre capitali europee non c’era esattamente il clima operativo che c’é in altri giorni”. Non vi erano neppure precisi sospetti su condotta perseguibile ad opera della Ong per la quale negare anche solo l’avvicinamento in acque territoriali italiane definendo tale eventualità quale passaggio non inoffensivo.

C’erano ragioni politiche, espresse come una linea di massima senza entrare nel dettaglio di uno specifico caso. Quello che non c’era, e non è stato espresso questa mattina in aula a Palermo, era il motivo per cui l’operato del Ministero degli Interni sul caso Open Arms non configuri il reato di sequestro di persona. Tra politica e codice penale ci sono però testimonianze ancora da ascoltare, che hanno valore ai fini del diritto in Tribunale ma anche politico. Come nel caso dell’attuale ministro degli Interni Matteo Piantedosi che testimonierà il 16 febbraio nella stessa aula bunker. Lo stesso ministro del governo di cui l’attuale ministro dei Trasporti è vicepremier, come al tempo in cui era vicepremier e ministro degli Interni quando Matteo Piantedosi era il suo capo ufficio di gabinetto.

Redazione:
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