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Hotspot galleggianti, limiti e conflitti dell’operazione

Nave Raffaele Rubattino nel porto di Palermo il 17 aprile 2020

di Fulvio Vassallo Paleologo

Certo l’Italia non si comporta come Malta, che confina per settimane i naufraghi in acque internazionali a bordo di battelli concepiti per le gite turistiche dei bagnanti, adatti soltanto alla navigazione diurna costiera e privi di quegli spazi minimi che possono evitare di considerare il loro trattenimento a bordo come un caso di trattamenti inumani o degradanti. Oggi da La Valletta hanno dovuto fare uscire un battello più grande, lungo circa 45 metri, della società Captain Morgan, per trasferire i cento naufraghi intrappolati da una settimana circa a bordo dell’imbarcazione Bahari, lunga appena 25 metri.

Il governo italiano questa volta non sta badando ai costi, pur di dimostrare che il decreto interministeriale adottato il 7 aprile scorso, che prevedeva la “chiusura dei porti”, funziona davvero, mentre continuano ad essere applicati i decreti sicurezza di Salvini, la cui abrogazione avrebbe dovuto costituire il segno di discontinuità del governo Conte bis rispetto al precedente governo giallo-verde.

Le navi hotspot, Rubattino e Moby Zaza

L’emergenza da Covid-19 non ha portato alcun miglioramento nelle prassi adottate dalle autorità italiane per garantire un porto sicuro di sbarco ai naufraghi soccorsi in mare o arrivati autonomamente a Lampedusa. Il decreto interministeriale del 7 aprile prevedeva tra l’altro, oltre al divieto di ingresso nei porti italiani delle navi delle ONG straniere che avessero operato soccorsi in acque internazionali, anche la possibilità di utilizzare navi traghetto private per trattenere in quarantena le persone che non si volevano fare sbarcare a terra. La stessa previsione poteva applicarsi sia dopo i soccorsi operati da navi straniere, che nel caso in cui, come si sta verificando, non fossero più disponibili posti nei centri di prima accoglienza e negli Hotspot previsti dall’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998, come modificato successivamente, che delinea le procedure per lo sbarco a terra delle persone soccorse in mare.

Tutto quello che riguarda queste operazioni di trasferimento e di confinamento di persone particolarmente vulnerabili su navi traghetto sembra ormai coperto da segreto militare e ne riferisce soltanto, in maniera parziale, la stampa locale. Non si vuole che gli italiani percepiscano l’enorme spreco di danaro pubblico che sta comportando il noleggio di due grandi navi traghetto, una, la Rubattino, ferma per giorni, vuota, nel porto di Palermo, che solo questa notte sta rientrando verso Napoli, e l’altra, la Moby Zazà che nella tarda serata di venerdì, dopo giorni di preparativi, ha fatto il suo primo carico di naufraghi da tenere in quarantena, dopo essere transitati per un paio di giorni da Lampedusa.

Come riferisce la stampa locale 53 persone, dopo il trasferimento a Porto Empedocle, si trovano attualmente imbarcate sul traghetto Moby Zaza’ uscito da Porto Empedocle ieri sera ed ancorato ad un miglio e mezzo dalla costa. Una nave con 900 posti almeno, che sarà impiegata per qualche decina di naufraghi che dalla terraferma di Lampedusa passano su un hotspot galleggiante per la quarantena, in mare aperto ma a vista della costa. Situazione diversa da quella dei naufraghi trasferiti dalle navi umanitarie Alan Kurdi ed Aita Mari sul traghetto Rubattino rimasto ormeggiato per due settimane davanti al porto di Palermo in acque protette. Situazione che produrrà altra disperazione.

Secondo il sito Agrigento Notizie, “53 immigrati sbarcati a Lampedusa e temporaneamente alloggiati alla ‘Casa della fraternità’ della parrocchia di San Gerlando sono stati trasferiti, stamani, con il traghetto di linea che giungerà alle 20 circa a Porto Empedocle. Il gruppo – arrivato fra Cala Madonna e l’isola dei Conigli e composto da 10 tunisini e 43 subsahariani – verrà sbarcato in banchina e fatto subito re-imbarcare sulla nave-quarantena ‘Moby Zazà’. Ma sarà forse, quello di stasera, l’unico caso di imbarco direttamente dalla banchina. Per il resto dei migranti che giungeranno, o a Lampedusa o sul resto della costa Agrigentina, gli imbarchi avverranno, in rada (a circa 2 0 3 miglia dal porto), con le motovedette della Guardia costiera. Le modalità operative sono state definite durante un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica che si è tenuto, stamattina, da remoto, con la Prefettura”.

I limiti del piano hotspot galleggianti

Tutto sembra pianificato con cura, sotto la supervisione della Direzione Libertà civili del Ministero dell’Interno, ma non sono prevedibili le conseguenze che si potrebbero verificare ove queste navi traghetto fossero riempite di un numero particolarmente elevato di naufraghi, come è prevedibile potrà succedere non appena ritorneranno le condizioni di calma a mare. La presenza della Croce Rossa si potrebbe garantire anche dopo lo sbarco a terra in un centro di accoglienza, ed il personale della Croce Rossa non può sostituire le altre agenzie umanitarie come l’UNHCR e l’OIM che di norma sono presenti allo sbarco proprio per tutelare i soggetti più vulnerabili, a partire dalla individuazione dei richiedenti asilo, delle vittime di tratta e dei minori non accompagnati. I trasferimenti dalla terraferma alle navi hotspot e da queste di nuovo alla terraferma non possono avvenire sempre di notte, con modalità semiclandestine. Che cosa si pensa di nascondere?

Anche se le navi delle ONG sono state bloccate dopo le ispezioni effettuate dalla Capitaneria di porto di Palermo con la misura del “fermo amministrativo”si può essere certi che nei prossimi mesi i cosiddetti “sbarchi autonomi” continueranno, a Lampedusa ed in altre parti delle coste siciliane. Senza che il governo italiano abbia adottato un piano sbarchi nazionale che vada oltre l’utilizzo per le due settimane di quarantena di navi traghetto pagate centinaia di migliaia di euro. Si può essere altrettanto certi che i propositi, sbandierati dall’attuale maggioranza, per un ritrasferimento dei naufraghi verso altri paesi europei, sono stati respinti dai principali governi ai quali si era rivolto un appello di solidarietà. Il patto provvisorio di redistribuzione dei naufraghi soccorsi nel Mediterraneo centrale, maturato nel vertice di Malta del settembre dello scorso anno, è ormai morto e sepolto. Ed i rapporti con il governo maltese sembrano sempre più tesi.

A fronte di questa impasse diplomatica e di questa sospensione delle procedure previste dalle Direttive e dai regolamenti europei per i rifugiati e per i soccorsi in mare, motivata con l’emergenza da COVID-19, si è così allestito il traghetto Moby Zazà che dovrebbe servire a contenere i naufraghi che, oltre a quelli che saranno ancora soccorsi da navi private straniere, arrivano a Lampedusa, o su altre parti delle coste siciliane, e che devono fare la quarantena obbligatoria di quattordici giorni. Una nave tanto grande come la Moby Zazà, però, che non può entrare in porto a Lampedusa, per cui i trasferimenti saranno sempre affidati a mezzi della Guardia Costiera o al traghetto di linea che collega l’isola a Porto Empedocle, senza alleviare il grave disagio per i naufraghi appena soccorsi, dopo traversate terribili, che rimangono spesso intere nottate per terra, sul molo Favarolo a Lampedusa.

Il conflitto dei decreti ministeriali

Non sembra che i decreti interministeriali e i provvedimenti di protezione civile che hanno disposto la cosiddetta “chiusura dei porti” e l’utilizzo delle navi traghetto per la quarantena, possano derogare quanto previsto dall’art. 10 ter del testo Unico sull’immigrazione, secondo cui, “lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni,dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito”. Si tratta di una disposizione avente forza di legge che non risulta sospesa, ne potrebbe essere abrogata, dalle misure di emergenza contenute nei decreti emanati a causa del COVID-19.

Una volta che le persone migranti arrivano sulle nostre coste, o vengono soccorsi sotto il coordinamento delle nostre autorità, si devono garantire a tutti gli effetti gli stessi diritti alla salute che ci sono per gli italiani senza alcuna distinzione. L’art.32 della nostra Costituzione prevede che il diritto alla salute sia uguale per tutti. Non si vede perché discriminare chi viene soccorso da navi private straniere o giunge sulla terraferma, quando i centri di accoglienza disponibili, sempre più ridotti, non abbiano posti. In Sicilia e in altre parti d’Italia non mancano strutture di accoglienza, che sono state chiuse dopo i decreti sicurezza imposti da Salvini, e non manca neppure il personale qualificato che potrebbe operarvi, con il concorso delle agenzie umanitarie dell’ONU, come l’UNHCR e l’OIM, per garantire le informazioni imposte dalla normativa vigente e l’accesso alla procedura di asilo, non appena completato il periodo di quarantena obbligatoria. Ritorno alla legalità, rispetto dei diritti umani e del diritto di accesso alla protezione, tutela dei soggetti maggiormente vulnerabili, comporterebbero anche una riduzione della spesa ed eviterebbero forse il rischio di gesti di disperazione, che potrebbero essere commessi dai naufraghi che, una volta soccorsi o raggiunto un lembo di terra, si ritrovano confinati su una nave traghetto ancorata in mezzo al mare.

Il traghetto Rubattino è rientrato questa notte a Napoli dopo essere stato utilizzato, a partire dal 17 aprile scorso, come Hotspot per la quarantena dei naufraghi soccorsi dalla Alan Kurdi e dalla Aita Mari che invece rimangono bloccate sotto fermo amministrativo nel porto di Palermo. Ma quanto è costata questa operazione, durata alla fine un mese, frutto del decreto interministeriale di chiusura dei porti, del 7 aprile scorso ?

Decreto del Capo Dipartimento n. 1287 del 12 aprile 2020. Nomina del soggetto attuatore per le attività emergenziali connesse all’assistenza e alla sorveglianza sanitaria dei migranti soccorsi in mare ovvero giunti sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi nell’ambito dell’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili

12 aprile 2020

Testo integrale

IL CAPO  DEL DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE COORDINATORE INTERVENTI OCDPC N. 630/2020

VISTA la legge 16 marzo 2017, n. 30;

VISTO l’articolo 25 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1;

VISTO l’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2001 riguardante le funzioni e i compiti spettanti al Ministero dell’interno nella tutela dei diritti civili, ivi compresi quelli concernenti l’immigrazione;

VISTO l’articolo 13, comma 1, lettera e) del citato decreto legislativo n. 1 del 2018, che indica, tra le Strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, la Croce Rossa italiana;

VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 ottobre 2019 con il quale al dott. Angelo Borrelli è stato conferito, ai sensi degli articoli 18 e 28 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonché dell’articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l’incarico di Capo del Dipartimento della protezione civile, a far data dal 16 luglio 2018 e fino al verificarsi della fattispecie di cui all’articolo 18, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, fatto salvo quanto previsto dall’art. 3 del decreto del Presidente della repubblica 3 luglio 1997, n. 520 ed è stata attribuita la titolarità del centro di responsabilità amministrativa n. 13 – “Protezione Civile” – del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

VISTA la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, con la quale è stato dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili;

VISTA l’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, recante: “Primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”;

VISTO in particolare l’articolo 1, comma 1, della citata ordinanza n. 630/2020, che dispone che il Capo del Dipartimento della protezione civile assicura il coordinamento degli interventi necessari per fronteggiare l’emergenza in rassegna anche avvalendosi di soggetti attuatori, individuati anche tra gli enti pubblici economici e non economici e soggetti privati, che agiscono sulla base di specifiche direttive, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;

VISTO, inoltre, l’articolo 1 comma 3 della citata ordinanza n. 630/2020 il quale prevede che le risorse finanziarie per l’attuazione degli interventi sono trasferite, anche a mezzo di anticipazione, ai soggetti di cui al comma 1 e sono rendicontate mediante presentazione di documentazione in originale comprovante la spesa sostenuta, nonché attestazione della sussistenza del nesso di causalità con gli eventi in rassegna;

VISTO il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell’interno ed il Ministro della salute del 7 aprile 2020, con cui si dispone che, dalla data della sua adozione e fino alla scadenza dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety (“luogo sicuro”), in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo, sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area Search And Rescue (SAR) italiana;

CONSIDERATO che, in conseguenza del citato decreto interministeriale del 7 aprile 2020, permane la necessità di assicurare il rispetto delle misure sanitarie adottate per contrastare  la diffusione epidemiologica  da COVID-19 con riferimento ai casi  di  soccorso  in mare;

RILEVATA la necessità di attuare tempestivamente le misure necessarie a fronteggiare la situazione emergenziale in atto al fine di salvaguardare  l’incolumità della popolazione, avvalendosi di soggetti attuatori; 

RITENUTO di individuare, sentito il Ministro dell’interno, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione quale soggetto attuatore per lo svolgimento di talune delle attività di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a) della citata ordinanza n. 630 del 3 febbraio 2020;
VISTA la nota del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti dell’8 aprile 2020;

VISTE le note del Ministero dell’interno del 9 e del 12 aprile 2020; 

SENTITO il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
per le motivazioni di cui in premessa che integralmente si richiamano


DISPONE

Articolo 1
1. Per assicurare il rispetto delle misure di isolamento fiduciario e di quarantena adottate per contrastare la diffusione epidemiologica  da COVID-19, anche nei riguardi delle persone soccorse in mare, ovvero giunte sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi, è nominato Soggetto attuatore, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, che si avvale della Croce Rossa Italiana quale struttura operativa del Servizio nazionale ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1. Il Soggetto attuatore, previo assenso del Capo del Dipartimento della protezione civile, provvede all’assistenza alloggiativa e alla sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro) ai sensi  del decreto interministeriale citato in premessa e di quelle giunte sul territorio nazionale in modo autonomo. Con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro)  il Soggetto attuatore, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria. Per le attività  finalizzate all’individuazione delle suddette navi e dell’attività istruttoria di natura tecnico-amministrativa ai fini delle procedure di affidamento dei contratti pubblici il Soggetto attuatore provvede per il tramite delle strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti anche in house. Relativamente ai migranti che giungono sul territorio nazionale in modo autonomo il Soggetto attuatore individua, sentite le Regioni competenti e le autorità sanitarie locali, per il tramite delle prefetture competenti, altre aree o strutture da adibire ad alloggi per il periodo di sorveglianza sanitaria previsto dalle vigenti disposizioni, avvalendosi delle prefetture medesime che procedono alla stipula di contratti per il trattamento di vitto, alloggio e dei servizi eventualmente necessari, per le persone soccorse ovvero, in caso di mancanza di accordo, ad attivare le procedure di cui all’articolo 6, comma 7 del decreto legge n. 18 del 2020. Nel caso in cui non sia possibile individuare le predette strutture sul territorio, il soggetto attatore provvede alla sistemazione dei migranti ai fini dell’isolamento fiduciario e di quarantena anche sulle predette navi.

2. In considerazione delle esigenze relative al fabbisogno di personale, attrezzature e dispositivi di protezione individuale, il Soggetto attuatore si avvale, oltre che della Croce Rossa Italiana e della propria organizzazione, del supporto, ove necessario, dei volontari di protezione civile attivati dal Capo del Dipartimento della protezione civile, nonché degli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera. Il Soggetto attuatore può, altresì, stipulare accordi con soggetti pubblici e contratti con soggetti privati funzionali alle attività di cui al presente decreto.

3. Il Soggetto attuatore per l’attuazione dei compiti affidati, anche con riferimento alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, può avvalersi delle deroghe di cui all’articolo 3 dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630/2020 e successive ordinanze, al fine di assicurare la più tempestiva conclusione dei procedimenti, nonchè della disciplina sul trattamento dei dati personali di cui all’articolo 5 della medesima ordinanza  ed all’articolo 14 del decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14. A tal fine e per la verifica della corretta applicazione della disciplina derogatoria, il soggetto attuatore può avvalersi della vigilanza collaborativa dell’ANAC ai sensi dell’art 213 comma 3 lettera h del decreto legislativo 50 del 2016.

Articolo 2
1. Per la realizzazione degli interventi di cui all’articolo 1 il Capo del Dipartimento della protezione civile assicura copertura finanziaria alle iniziative preventivamente concordate, nei limiti delle risorse stanziate e assentite.

Roma,  

Angelo Borrelli

Associazione Diritti e Frontiere:
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