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Trattenimenti disumani e respingimenti collettivi all’ombra del coronavirus

di Fulvio Vassallo Paleologo

Dopo il decreto interministeriale adottato agli inizi di aprile dal Governo italiano per la “chiusura dei porti”, dichiarati come “non sicuri”, non certo con riguardo ai naufraghi, ma per la tenuta del sistema sanitario nazionale, anche Malta ha adottato un analogo provvedimento e lo ha attuato con respingimenti illegali e con il trattenimento di centinaia di persone a bordo di piccoli battelli turistici privi di cabine, con il concentramento dei migranti in spazi molto ristretti attrezzati all’ultimo momento sul ponte di queste imbarcazioni, riempite di materassi e coperte. Allo stesso tempo, Malta ha denunciato la mancanza di solidarietà europea e si è ritirata dalla missione militare IRINI di EUNAVFOR MED, a guida italiana, che dovrebbe contrastare il traffico di armi nelle acque antistanti la Cirenaica.

Mentre le autorità italiane hanno allestito due grandi navi traghetto, la Rubattino a Palermo e la seconda, la Moby Zazà entrata questa notte a Porto Empedocle, con costi faraonici e risultati che si potevano meglio raggiungere con un centro di accoglienza a terra, (nessun naufrago sbarcato dalla Rubattino è risultato positivo al COVID 19), Malta ha appaltato il trattenimento dei naufraghi in quarantena ad un operatore turistico che impiega solitamente barconi di 25-35 metri, destinati a gite giornaliere (con valutazioni che nei giudizi raccolti da Tripadvisor confermano insufficienza di spazi, servizi fatiscenti, cibo scadente). Si tratta di mezzi che non dispongono di cabine per i passeggeri ma di posti a sedere, nei quali è problematico, oltre un certo numero di persone persino distendersi sul ponte. Le foto facilmente rinvenibili su internet non lasciano spazio ad equivoci.

Dopo l’assegnazione dell’appalto alla Captain Morgan, a Malta è scattata la bagarre perchè altri operatori turistici lamentano di essere stati ingiustamente esclusi dalla gara di appalto, aggiudicata a prezzi stracciati (qualche migliaio di euro al giorno) alla società, dal nome assai evocativo (capo dei pirati) come Capitano Morgan. Al di là della lite innescata dalla consueta gara al ribasso tra operatori della accoglienza/detenzione coinvolti dagli Stati nel confinamento dei migranti, in questo caso, nel trattenimento in quarantena di naufraghi già duramente provati dalle violenze subite in Libia e da una traversata nella quale hanno messo a rischio la vita, sono ravvisabili gravi violazioni dei diritti umani e si profila il rischio che qualcuno dei naufraghi possa decidere di porre fine alle sue sofferenze gettandosi in mare.

L’EUROPA II, normalmente adibita a gite turistiche dalla Captain Morgan, ha lasciato il suo ormeggio a Slima (Malta) giovedì 30 aprile, con la bandiera dell’UE e la frase “Solidarietà europea” scritta sulla fiancata, per andare ad imbarcare, appena fuori dalle acque territoriali, 57 naufraghi soccorsi nella vasta zona SAR (ricerca e salvataggio) maltese, da un peschereccio fantasma, di quelli che operano attività di respingimento in Libia, sotto coordinamento del governo maltese, come ha ammesso lo stesso premier Abela. Da allora la nave risulta ormeggiata sempre allo stesso posto, a 13 miglia dal porto di La Valletta con il suo carico dolente, anche se sembra che alcune persone siano state sbarcate per le condizioni fisiche sempre più deteriorate.

Ad una settimana di distanza, giovedì scorso, il governo maltese noleggiava una seconda imbarcazione, più piccola, lunga circa 25 metri, la BAHARI, sempre della società Captain Morgan ed adibita a gite turistiche, per trattenere in stato di quarantena circa 120 migranti salvati in acque internazionali dalle forze armate di Malta (AFM) mercoledì 6 maggio. Anche in questo caso alcuni di loro ( una decina) dovevano essere evacuati a La Valletta per condizioni sanitarie assai critiche. Ancora nella notte scorsa questa nave entrava e usciva dalle acque territoriali maltesi, navigando a lento moto tra 11 e 13 miglia dal porto di La Valletta, probabilmente perchè le peggiorate condizioni meteo-marine non permettevano di restare all’ormeggio sull’ancora, come invece continuava a fare la EUROPA II. Si può facilmente intuire quale fosse la situazione di disagio dei naufraghi ammassati allo scoperto su una imbarcazione così piccola ed instabile.

Una situazione di grave deprivazione dei diritti fondamentali che non è lontanamente paragonabile alla situazione vissuta dai naufraghi che dopo essere stati soccorsi dalla Alan Kurdi e dalla Aita Mari sono stati trasbordati, al termine di un duro braccio di ferro, a bordo della nave Rubattino messa a disposizione dal ministero dei trasporti e dalla Protezione civile. A parte la maggiore ampiezza e stabilità, per non dire sicurezza, della nave italiana, questa sostava nelle acque territoriali italiane, a poche centinaia di metri dall’imboccatura del porto di Palermo, mentre le due navette maltesi sono tenute deliberatamente al largo in acque internazionali, anche se di fronte al porto di Malta. Una zona offshore luogo di reiterate violazioni di legge, che in passato è stata al centro di inchieste per il contrabbando di petrolio proveniente dalla Libia che si svolgeva con trasbordi e travasi continui, a poche miglia da La Valletta, sotto gli occhi di tutti.

Il governo maltese non ha certamente gli stessi mezzi, e la stessa estensione di territorio del governo italiano, e per questo i naufraghi soccorsi nella vasta zona SAR maltese dovrebbero essere sbarcati di norma in porti italiani, come avveniva peraltro egli anni passati fino al 2017. Si dovrebbero chiedere all’Unione Europea meccanismi immediatamente operativi di ritrasferimento e distribuzione dei naufraghi soccorsi in queste acque internazionali verso gli altri Paesi europei. Con l’emergenza COVID 19 in corso non si vede proprio quanti Paesi daranno la loro disponibilità. Certamente però tali richieste non possono essere sostenute da misure di trattenimento disumano ed illegale, per intere settimane, a bordo di battelli inidonei ad ospitare anche i turisti per una gita giornaliera, con sistemazioni di fortuna che non danno alcuna garanzia, soprattutto in caso di quarantena. E ancor meno il governo maltese può illudersi di esercitare un qualche potere di ricatto nei confronti di Bruxelles con l’annunciato ritiro dalla missione europea IRINI della operazione Eunavfor Med. Come appare del tutto impraticabile, a fronte della più recente evoluzione del conflitto libico, la richiesta maltese di un intervento militare in Libia. Una richiesta che ancora una volta, più che a ricomporre il conflitto, tende soltanto ad un maggiore contrasto di quella che si continua a definire come immigrazione “illegale”.

Se Malta non è più capace di garantire, nel rispetto dei principi minimi di umanità, oltre che del diritto internazionale, gli obblighi di ricerca e salvataggio che le si impongono per effetto delle Convenzioni di diritto del mare, e se continuerà ad affidarsi ad operatori privati per attività di push back in Libia e di trattenimento arbitrario in acque internazionali, si dovrà procedere ad un ridimensionamento della zona SAR attualmente riconosciuta all’isola-Stato. Dovranno essere bloccati gli accordi e le intese operative che intercorrono attualmente tra Malta e il governo di Tripoli. E stessa sorte dovrebbe toccare alle intese intercorrenti tra le autorità italiane e la sedicente Guardia costiera libica. Deve essre abbattuta definitivamente la finzione che ancora oggi esista una zona SAR “libica”, con la cancellazione di tale zona dai registri dell’IMO. Occorre accrescere la responsabilizzazione in funzione SAR ( ricerca e salvataggio) di Frontex, delle missioni europee come IRINI di Eunavfor Med e degli Stati più vicini, per garantire invece soccorsi immediati e un porto di sbarco sicuro in Europa, anche per le persone recuperate in alto mare nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale a nord della Libia.

In questi giorni, in queste ore, gravissime violazioni dei diritti umani sono perpetrate dalle autorità maltesi, con le operazioni in mare affidate a contractor privati, e non sembra che esistano Corti internazionali o tribunali interni per sanzionare queste violazioni ed adottare misure urgenti per impedire che si protraggano, con il rischio che qualcuno tenti il suicidio gettandosi in mare.

Negli ultimi tempi la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha sistematicamente respinto ogni richiesta di misura cautelare per imporre agli Stati lo sbarco dei naufraghi soccorsi in alto mare dalle ONG, evitando in ogni modo di interferire con le prassi di respingimento e trattenimento arbitrario, riassunte nella formula “porti chiusi”, che sono ancora alla base delle politiche europee e nazionali di interdizione dell’immigrazione “illegale” nel Mediterraneo centrale ( law enforcement), affidate in prima battuta al coordinamento dell’agenzia per il controllo delle frontiere esterne FRONTEX. Un respingimento collettivo è configurabile tutte le volte che si impedisca l’accesso alla frontiera, terrestre o marittima che sia. Soprattutto quando è evidente che le persone non possono fare ritorno, da dove si trovano, nel Paese di origine o nello Stato di transito dal quale sono partite. Naturalmente gli ostacoli procedurali di accesso alla Corte di Strasburgo e gli orientamenti sempre più restrittivi sulle misure cautelari (ex art. 39) della Corte hanno ridotto la capacità che in passato avevano dimostrato i giudici di Strasburgo nel sanzionare i comportamenti abusivi degli stati, come nel caso Hirsi e poi nel caso Sharifi. Sarebbe forse tempo che su questa materia intervenga la Corte di giustizia dell’Unione Europea, magari sulla base di esposti presentati da associazioni o di posizioni conseguenti assunte dal Parlamento europeo.

Si dovrebbe poi richiamare il metro di valutazione del trattenimento a bordo delle navi adottato nel 2016 dalla Corte di Strasburgo nella sentenza di condanna dell’Italia nel caso Khalifia, per accertare nel caso dei naufraghi bloccati in quarantena sulla EUROPA II e sulla BAHARI la violazione da parte di Malta degli articoli 3 e 5 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.

Le agenzie delle Nazioni Unite dovrebbero denunciare il respingimento collettivo in corso ( art. 33 Convenzione di Ginevra) e la violazione del diritto all’accesso al territorio per la presentazione di una domanda di asilo. Le Organizzazioni internazionali che tutelano i minori dovrebbero denunciare il trattenimento arbitrario di minori non accompagnati, in quarantena assieme agli adulti, a bordo delle navette noleggiate dal governo maltese, ancora oggi ubicate in acque internazionali di fronte al porto di La Valletta. Non ci si può limitare alle gravi denunce che sono state reiterate ancora di recente dall’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla scandalosa situazione dei soccorsi ( che mancano o non sono tempestivi) e dei respingimenti collettivi nel Mediterraneo centrale.

L’emergenza Coronavirus non autorizza una violazione sistematica ed a tempo indeterminato delle Convenzioni internazionali sul soccorso in mare che definiscono univocamente con lo sbarco a terra la conclusione delle attività SAR di ricerca e salvataggio previste dalla Convenzione di Amburgo (SAR) del 1979 e dal Regolamento europeo n. 656 del 2014 ( richiamato in questa parte anche dal Regolamento n. 1624 del 2016, che istituiva la Guardia di frontiera e costiera europea).

A Malta attorno a queste vicende si apriranno probabilmente diversi procedimenti penali ed amministrativi, anche per il clima di divisione politica che caratterizza in questa fase l’Isola-Stato. In Italia, invece, sulla sorte dei naufraghi soccorsi in acque internazionali ( ed anche con riguardo a quelli sempre più numerosi che adesso arrivano “in autonomia” a Lampedusa), regna un clima di silenzio omertoso, spezzato soltanto da occasionali sortite elettoralistiche di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini, e dal sistema di informazione che ruota attorno alla destra sovranista. Con poche eccezioni, tacciono anche i mezzi di informazione e la maggior parte delle ONG, che ancora cercano di tenere aperta una trattativa con il governo per fare ripartire nei prossimi mesi qualche rara missione di soccorso.

Vedremo presto come sarà impiegato il traghetto Moby Zazà giunto questa notte a Porto Empedocle, che potrebbe servire, ad esempio, a garantire trasferimenti rapidi per decongestionare Lampedusa, ma che rischia di trasformarsi in un Hotspot per la quarantena dei naufraghi soccorsi in mare da navi straniere e trattenuti a bordo per un tempo prolungato.

Le navi traghetto impiegate dal governo italiano come Hotspot per quarantena sono certo più confortevoli delle piccole navette turistiche utilizzate dai maltesi, ma, al di là del loro enorme costo, assolvono la stessa funzione di protezione sanitaria che potrebbe essere garantita in un normale centro di accoglienza specificamente attrezzato a terra, e potrebbero diventare luogo di disperazione e di altri abusi o privazioni dei diritti umani ai danni di naufraghi già assai provati dalla traversata e dalle torture subite in Libia. Da questo punto di vista preoccupa il mancato coinvolgimento delle Nazioni Unite ( UNHCR ed OIM) che sono normalmente presenti allo sbarco, persino in Libia, ma che a Lampedusa ed a Porto Empedocle sono state tenute alla larga, con la motivazione forse che l’emergenza Coronavirus non permetteva neppure il lavoro di assistenza al porto e di protezione dei soggetti più vulnerabili svolto in passato. Nessuno ha comunicato con chiarezza le modalità dell’attracco lampo del cargo Marina a Porto Empedocle nella tarda serata dello scorso 8 maggio, in deroga a tutti i consueti protocolli, ed i 78 naufraghi sono stati trasferiti nella notte a Siracusa, in un centro di accoglienza di cui nessuno conosce l’ubicazione, come se si trattasse di pericolosi terroristi.

Anche in Italia, come a Malta, seppure con modalità più sottili, se non si abrogano i decreti sicurezza ed il collegato decreto interministeriale sulla chiusura dei porti adottato il 7 aprile scorso, si rischia che l’emergenza del COVID 19 serva a coprire una grave deviazione dai principi dello stato di diritto ed una reiterata violazione delle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Le prassi più recenti affidate alla gestione del Dipartimento Libertà civili del Ministero dell’Interno, alla Protezione civile ed alla Croce Rossa italiana hanno raggiunto livelli di segretezza mai raggiunti prima. Che cosa si vuole nascondere?

Una nave, per quanto possa essere confortevole, non è mai un place of safety (POS) definitivo nel quale si può dire conclusa l’attività SAR ( Search and Rescue)I manuali operativi delle Nazioni Unite e dell’IMO, come il manuale IAMSAR, impongono la sollecita conclusione delle operazioni di ricerca e salvataggio in mare con la piena cooperazione tra Stati nel soccorso in mare e con la tempestiva indicazione di un porto sicuro di sbarco a terra, quindi con il pieno accesso dei naufraghi alle procedure di protezione internazionale previste, oltre che dal diritto interno, dalla Convenzione di Ginevra e dalle Direttive europee. Il rispetto del diritto internazionale ( con un efficace sistema di prima accoglienza a terra) sarebbe un mezzo anche più efficace delle navi Hotspot da quarantena, per affrontare la drammatica emergenza che stiamo vivendo per la diffusione del Coronavirus. Non possiamo mettere in quarantena lo stato di dritto.

Associazione Diritti e Frontiere:
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