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Migranti scomparsi, forse un respingimento occultato. Ci sono 5 cadaveri

di Mauro Seminara

Quel buco nero che il Mediterraneo centrale rappresenta per la vita e per i diritti umani a volte lascia intravedere degli indizi, delle tracce di sparizioni e violazioni che altrimenti si consumerebbero nel più totale silenzio. Soprattutto in questo periodo che quegli scomodi testimoni delle Organizzazioni non governative – odiati dai Governi di tutto il Mediterraneo – sono assenti, sia in mare che in cielo, pare possibile far sparire barche e migranti come se li avesse inghiottiti il nulla. La barca con 55 migranti che nessuno aveva più trovato e per la quale si era pensato all’ennesimo naufragio potrebbe invece essere ricomparsa. Una apparizione incompleta però, perché sui presunti 55 naufraghi da salvare nel corso di quella notte di burrasca tra il 13 ed il 14 aprile, cinque comunque sono morti. Il caso è complesso e parte da un arrivo, in Libia, di una barca che l’altra notte avrebbe soccorso un natante in pericolo, forse in SAR di Malta, per poi riportarlo in Libia. Il numero delle persone è compatibile con quello degli scomparsi della notte in cui il grosso mercantile “Ivan” aveva risposto ad un navtex diramato da Malta con le coordinate in cui si sarebbe dovuto trovare proprio il natante con a bordo 55 persone. Quella notte, del natante non se ne seppe nulla e il giorno successivo la Guardia Costiera italiana, rimasta in porto a Lampedusa – che distava solo 30 miglia dal punto indicato dal navtex – la notte delle ricerche, aveva effettuato una ricognizione aerea e navale nell’area SAR di competenza italiana in cui la barca poteva essere stata spinta dalla corrente. Nulla. Barca scomparsa, almeno fino ad oggi.

A spargere al vento la traccia del possibile ritorno dal buco nero di quei 55 disperati è stato oggi l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) con un tweet in cui annunciava l’arrivo, nel bombardato porto di Tripoli, in Libia, di una barca – pare un peschereccio – con a bordo 47 naufraghi (poi risultati 51) e 5 cadaveri. “UNHCR con il partner International Rescue Committee in attesa di offrire acqua, assistenza medica e coperte per circa 47 persone a bordo di una nave soccorsa-intercettata in mare e ora nel porto di Tripoli, in attesa di sbarco.” Questo il cinguettio con cui l’Alto Commissariato ha riaperto alle tre di questo pomeriggio un caso chiuso con esito negativo la scorsa notte. Quando l’UNHCR ha twittato postando la foto (di fianco) ha anche puntualizzato che il governo della Libia di Tripoli (il GNA presieduto da Fayez Al Serraj) non aveva ancora autorizzato lo sbarco dei naufraghi poi reso possibile circa un’ora più tardi, dopo che i naufraghi avevano atteso un’intera notte sulla barca che li aveva soccorsi e respinti in Libia. A questo punto il quesito, fino a completo dipanamento delle omissioni e della riservatezza con cui sarebbero state trattate le circostanze dai governi coinvolti, è se davvero questi 51 superstiti e questi 5 cadaveri siano gli stessi naufraghi che nessuno riusciva a trovare. Il numero è poi risultato anche più che corrispondente visto che in un secondo momento l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che si trova anch’essa a Tripoli, ha corretto il dato esatto dopo lo sbarco dal motopesca libico: 51 superstiti e 5 cadaveri, 56 in totale.

La Guardia Costiera italiana aveva cercato la barca scomparsa partecipando alle ricerche con mezzi aerei, come Frontex e come l’AFM (Armed Forces of Malta). Tutti in cielo ma nessuno in mare. Ufficialmente però nessuno sapeva, nel caso in cui ogni minimo dubbio o riserva verrà fugata e le persone sbarcate a Tripoli dovessero essere le stesse, che mentre tutti cercavano la barca con i naufraghi in area SAR di Malta questa veniva soccorsa da un peschereccio libico e respinta illegalmente in Libia. L’OIM ha infatti accennato di un soccorso avvenuto con l’intervento di un mercantile. Cosa è accaduto quella notte e se c’entra il mercantile “Ivan”, che aveva risposto al navtex maltese, è adesso possibile chiarirlo a Genova, dove il grosso cargo Ro.ro. si appresta ad ormeggiare (alle 11 di domani mattina, 16 aprile 2020) e dove la Capitaneria di Porto potrà – e dovrebbe – chiedere tutti i chiarimenti del caso. Nel caso in cui fosse accaduto che il mercantile Ivan ha trovato e protetto il piccolo natante fino al trasbordo sul peschereccio libico, sotto il coordinamento maltese e libico in area SAR di Malta per un respingimento segreto verso un teatro di guerra in cui non sono garantiti salvezza e diritti umani, il governo di La Valletta si troverebbe ad avere molte cose da spiegare ai governi cui ha omesso l’operazione, all’agenzia europea – che si spera fosse all’oscuro di tutto – ed alla Corte europea per i diritti dell’uomo.

Alle 16:39 l’UNHCR ha postato questo tweet sul proprio account ufficiale per la missione in Libia: “Traumatizzati e indeboliti da giorni alla deriva in mare, i sopravvissuti, tra cui donne e bambini, sono stati trasportati dalle autorità locali al luogo di detenzione. L’UNHCR ribadisce che la Libia è un paese in guerra e non un porto sicuro in cui rifugiati e richiedenti asilo possono essere respinti.” La barca con i 55 migranti scomparsi era una delle quattro che Frontex aveva confermato essere stata avvistata già venerdì 10 aprile. Da quell’avvistamento sono trascorsi con certezza sei giorni. Quindi in teoria, se non si tratta della stessa barca scomparsa a sudest di Lampedusa, significa che nessuno aveva visto questa barca adesso respinta in Libia con un peschereccio e nessuno l’aveva soccorsa per giorni. Abbandonata in mare e con cinque vittime finora certe. Oppure peggio: abbandonata in mare dopo un avvistamento il 10 aprile, nessun soccorso, cinque vittime ed un respingimento in Libia occultato alle autorità nazionali ed europee che partecipavano alle ricerche. Questo è il buco nero del Mediterraneo centrale.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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