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Frontex ordina un respingimento e Danimarca si oppone

di Fulvio Vassallo Paleologo

Il comandante di un pattugliatore danese inserito nell’operazione Poseidon di Frontex, che opera nel Mar Egeo, tra le coste turche e le isole che appartengono alla Grecia, distanti appena qualche miglio, ha rifiutato un ordine di respingere verso le acque territoriali della Turchia i migranti che aveva appena salvato, secondo quanto riferito dall’emittente pubblica DR, e poi rilanciato da Politico.eu.

Jens Møller (In foto), il comandante dell’unità danese che partecipava all’operazione, ha dichiarato a DR di avere soccorso 33 migranti partiti dalla Turchia e diretti verso le acque territoriali greche a bordo di un gommone, quando ha ricevuto un ordine via radio dal quartier generale dell’Operazione Frontex Poseidon di rimettere i migranti sul loro gommone per riportarli indietro verso le acque territoriali turche. Il comandante ha ritenuto che [l’ordine] non fosse giustificabile”, ha detto Møller, aggiungendo che alla fine è riuscito “a far ribaltare l’ordine”. I naufraghi salvati in questo incidente sono stati poi sbarcati sull’isola greca di Kos. Il tenente comandante Jan Niegsch, responsabile del personale militare danese che ha preso parte all’operazione, ha confermato l’incidente al Politico. L’articolo di DR, che è stato pubblicato giovedì sera, non indica quando si è verificato l’incidente.

Il comportamento dei militari danesi che facevano parte con il loro pattugliatore dell’operazione Poseidon di Frontex, hanno ricevuto l’importante sostegno del loro governo. Il ministro della Difesa danese Trine Bramsen (Foto in basso insieme al Tenente Jan Niegscj), che ha visitato l’equipaggio di pattuglia di stanza mercoledì a Kos, ha dichiarato a DR di essere soddisfatta di come Møller e Niegsch abbiano gestito l’incidente, dicendo: “Hanno risolto il compito in base al mandato che gli è stato assegnato”.

Finalmente qualcuno si accorge che le missioni di Frontex non possono sottrarsi al rispetto del diritto internazionale del mare e della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, mentre i vertici dell’Agenzia e la quasi totalità dei rappresentanti delle istituzioni europee assecondano la prassi criminale di sparare sui migranti ai confini terrestri dell’Evros e di lasciare annegare quanti si oppongono alle manovre di diversione attuate dalla Guardia costiera greca e dalle motovedette di Frontex per impedire che i barconi dei migranti lasciati fuggire da Erdogan possano arrivare in territorio greco.

Sarebbe tempo che qualche governo europeo costringa Frontex a rendere conto delle sue pratiche di respingimento indiscriminato in frontiera davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Dove potrebbe essere convenuto anche il governo greco, se qualche Stato europeo volesse riaffermare la vigenza delle Convenzioni internazionali richiamate dai Regolamenti europei in materia di soccorso in mare ed ingresso dei richiedenti asilo. Non può essere consentito a nessuno di sparare sui profughi che chiedono protezione in frontiera.

Il divieto di respingimento

I cosiddetti respingimenti collettivi dei migranti alle frontiere esterne dell’Unione Europea sono illegali ai sensi del diritto internazionale. Secondo il principio di non refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra (art.33), infatti, nessuno può essere respinto in frontiera senza avere accesso ad una procedura equa ed effettiva per determinare il suo status e le esigenze di protezione. E’ dunque possibile individuare un “contenuto minimo” di natura procedurale del diritto d’asilo, che prima ancora di imporre in capo agli Stati precisi obblighi materiali di tipo positivo in ordine alla concessione del beneficio, non consente loro comportamenti che possano costituire una limitazione della libertà di accesso alle procedure, e dunque al territorio dello Stato, a meno di non svuotare di significato la partecipazione alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Gli accordi tra Stati, frutto dei processi di esternalizzazione delle frontiere non possono legittimare, in nome di una malintesa sovranità nazionale, misure di respingimento indiscriminato o di “chiusura dei porti” .

La Convenzione di Palermo contro il crimine transnazionale ed i due Protocolli allegati, contro la tratta e contro il traffico di esseri umani, che pure prevedono accordi con i paesi di origine e transito dei migranti, antepongono la salvaguardia della vita umana in mare alla lotta contro quella che si definisce immigrazione “illegale”. In base all’art.7 del Protocollo contro il traffico, (Cooperazione) “Gli Stati Parte cooperano nella maniera più ampia per prevenire e reprimere il traffico di migranti via mare, ai sensi del diritto internazionale del mare”. Secondo l’art. 9 dello stesso Protocollo “Qualsiasi misura presa, adottata o applicata conformemente al presente capitolo tiene debitamente conto della necessità di non ostacolare o modificare: a) i diritti e gli obblighi degli Stati costieri e l’esercizio della loro giurisdizione, ai sensi del diritto internazionale del mare.

Particolarmente importante l’art. 16 del Protocollo che prevede Misure di tutela e di assistenza: (1) Nell’applicazione del presente Protocollo, ogni Stato Parte prende, compatibilmente con i suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale, misure adeguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo, come riconosciuti ai sensi del diritto internazionale applicabile, in particolare il diritto alla vita e il diritto a non essere sottoposto a tortura o altri trattamenti o pene inumani o degradanti. (2) Ogni Stato Parte prende le misure opportune per fornire ai migranti un’adeguata tutela contro la violenza che può essere loro inflitta, sia da singoli individui che da gruppi, in quanto oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo. (3) Ogni Stato Parte fornisce un’assistenza adeguata ai migranti la cui vita, o incolumità, è in pericolo dal fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo. (4) Nell’applicare le disposizioni del presente articolo, gli Stati Parte prendono in considerazione le particolari esigenze delle donne e dei bambini.

Un ulteriore clausola di salvaguardia si ritrova all’art.19 del Protocollo addizionale contro il traffico: (1) Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e individui ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabile, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo Status di Rifugiati e il principio di non allontanamento”.

In caso di violazione del divieto di respingimenti collettivi ( articolo 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU) o del divieto di trattamenti inumani od degradanti (art.3 CEDU), imposti agli stati che fanno parte del Consiglio d’Europa, come la Grecia e la Turchia, nei confronti di tutte le persone che ricadono nella loro giurisdizione, come sono i naufraghi soccorsi in operazioni coordinate, nella fase iniziale, da una autorità come Frontex, si potrebbero ipotizzare ricorsi in via di urgenza alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, anche se le più recenti decisioni dei giudici di Strasburgo lasciano capire che i governi hanno esteso la loro influenza sulle decisioni più importanti di questo organismo, quando possono avere conseguenze rilevanti sulle politiche di esternalizzazione e di blocco delle frontiere.

Respingimenti comprovati

Soltanto in una giornata la guardia costiera turca è intervenuta per soccorrere 120 migranti respinti dalle unità congiunte di Frontex e della Guardia costiera greca. Adesso sarà Erdogan a denunciare la Grecia per violazione dei diritti umani, dunque lo scontro tra Turchia e Grecia, seguito alla decisione turca di spingere i profughi al confine tra i due Paesi, finirà anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ankara ha detto di essere pronta a portare il caso a Strasburgo affermando che Atene sta violando i diritti umani, per il modo in cui sta trattando i migranti. La notizia è arrivata poche ore prima che Erdogan arrivasse a un accordo con Vladimir Putin sulla situazione di conflitto in Siria. Come riferisce l’agenzia Europa Today, “Erdogan denuncia la Grecia per violazione dei diritti umani”. La Grecia, un membro dell’Unione Europea, “ha sospeso il diritto internazionale e dell’Ue”, ha affermato il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, al quotidiano tedesco Bild, ribadendo la tesi secondo cui le forze greche avrebbero “sparato ai rifugiati” ai confini uccidendo tre persone. “La Grecia sta trattando i richiedenti asilo in modo disumano, affondando le loro barche attaccandoli con gas lacrimogeni”, ha proseguito il capo della diplomazia sottolineando che Ankara “non può più sopportare da solo l’onere che ha assunto”. Il portavoce del governo ellenico ha parlato di “notizie false”, definendo Recep Tayyip Erdogan “un trafficante ufficiale di migranti”.

Il Regolamento europeo

Il 14 settembre 2016 veniva approvato in via definitiva il Regolamento europeo 2016/1624 riguardante la Guardia di frontiera e costiera europea (da altri definita come FRONTEX PLUS) allo scopo di garantire un monitoraggio ed una sorveglianza più efficace alle frontiere esterne e nel Mediterraneo. L’art. 4 del Regolamento n.1624/2016 richiama gli obblighi di ricerca e salvataggio sanciti per l’Agenzia Frontex dal precedente Regolamento n. 656 del 2014 che rimane in vigore.

Secondo questo Regolamento, La gestione europea integrata delle frontiere consiste dei seguenti elementi: a) controllo di frontiera, comprese, se del caso, misure volte ad agevolare l’attraversamento legittimo delle frontiere e misure connesse alla prevenzione e all’individuazione della criminalità transfrontaliera, come il traffico di migranti, la tratta di esseri umani e il terrorismo, e misure relative all’orientamento in favore delle persone che necessitano di protezione internazionale o intendono presentare domanda in tal senso;b) operazioni di ricerca e soccorso per le persone in pericolo in mare, avviate e svolte a norma del regolamento (UE) n. 656/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio e del diritto internazionale, che hanno luogo e sono avviate in situazioni che possono verificarsi nel corso di operazioni di sorveglianza delle frontiere in mare; c) analisi dei rischi per la sicurezza interna e analisi delle minacce che possono pregiudicare il funzionamento o la sicurezza delle frontiere esterne; d) cooperazione tra gli Stati membri sostenuta e coordinata dall’Agenzia; e) cooperazione inter-agenzia tra le autorità nazionali di ciascuno Stato membro responsabili del controllo di frontiera o di altri compiti svolti alle frontiere e tra le istituzioni, gli  organi,gli organismi e i servizi dell’Unione competenti, compreso lo scambio regolare di informazioni tramite gli strumenti di scambio di informazioni esistenti, ad esempio il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (“EUROSUR”) istituito dal regolamento (UE)n. 1052/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio; f) cooperazione con i paesi terzi nei settori contemplati dal presente regolamento, con particolare attenzione ai paesi del vicinato e ai paesi terzi che sono stati individuati tramite un’analisi dei rischi come paesi di origine e/o di transito dell’immigrazione illegale; g) misure tecniche e operative nello spazio Schengen che sono connesse al controllo di frontiera e destinate ad affrontare meglio l’immigrazione illegale e a combattere la criminalità transfrontaliera; h) rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggetti a decisioni di rimpatrio adottate da uno Stato membro;i) uso di tecnologie avanzate, compresi sistemi d’informazione su larga scala; j) un meccanismo di controllo della qualità, in particolare il meccanismo di valutazione Schengen ed eventuali meccanismi nazionali, per garantire l’applicazione della normativa dell’Unione nel settore della gestione delle frontiere; k) meccanismi di solidarietà, in particolare gli strumenti di finanziamento dell’Unione.

L’articolo 9 del Regolamento n.656 del 2014 prevede le regole di comportamento da rispettare nel caso di situazioni di ricerca e soccorso gestite da assetti Frontex.

1. Gli Stati membri osservano l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conformemente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova. 2. L’applicazione del presente regolamento non incide sulla ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, a norma dei trattati, né sugli obblighi degli Stati membri sanciti da convenzioni internazionali, quali la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, la convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi, la Convenzione sulle norme relative alla formazione della gente di mare, al rilascio dei brevetti e alla guardia e altri pertinenti strumenti marittimi internazionali.

Secondo l’art. 10 del Regolamento Frontex n.656/2014 gli Stati dell’Unione europea possono collaborare con paesi terzi che siano titolari di zone SAR riconosciute a livello internazionale, dunque anche con la Turchia, ma nel caso di mancata risposta, o di evidente impossibilità di salvaguardare la vita umana in mare, la dignità e l’accesso alla procedura di asilo a terra, per quanto osservato in precedenza, la responsabilità del coordinamento e della individuazione del porto di sbarco spetta alo stato che “ospita la singola operazione Frontex, dunque nel caso dell’operazione Poseidon, alla Grecia, a prescindere dalla bandiera della nave europea chiamata eventualmente a realizzare l’intervento SAR (ricerca e soccorso). Dopo le decisioni del Consiglio dello scorso novembre 2019, che hanno comportato una revisione del precedente Regolamento n.1624 del 2016, si assiste oggi ad una ulteriore espansione delle attività dell’Agenzia Frontex, che viene dotata di una base legale più ampia, e di una sua maggiore autonomia nello stabilire rapporti diretti con le autorità di polizia dei paesi terzi, anche in vista di possibili operazioni di rimpatrio o di respingimento.  Come si è verificato tra le autorità greche e turche ed i vertici di Frontex in questi ultimi mesi. Le operazioni di intercettazione avvengono ormai in stretta sinergia tra le unità Frontex e la polizia marittima greca, siano unità della Marina militare o della Guardia costiera greca, ma in questo recete caso qualcosa non ha funzionato come al solito, solo perché un comandante danese ha fatto richiamo all’applicazione del diritto  al soccorso stabilito dalle Convenzioni internazionali, dai Regolamenti europei e dalla Convenzione di Ginevra.

Il 2 marzo 2020 il direttore esecutivo di Frontex  ha comunicato di avviare un ulteriore ”rapido intervento di frontiera” per assistere la Grecia nella gestione del gran numero di migranti alle sue frontiere esterne. Il governo greco aveva chiesto ufficialmente a Frontex il giorno prima di avviare un rapido intervento di frontiera alle sue frontiere marittime nel Mar Egeo. L’impostazione dell’intervento di Frontex mantiene una impostazione meramente repressiva di quel tipo di ingresso che si definisce come immigrazione illegale. Senza considerare il diritto alla vita dei naufraghi ed il diritto di accedere per tutti ad eque procedure di asilo e di riesame. Si può parlare di veri e propri crimini di sistema, riconducibili alla categoria dei crimini contro l’umanità.

Come denuncia Alarmphone, gli attacchi alle imbarcazioni dei rifugiati e i respingimenti dalle acque territoriali greche verso le  coste turche sono sempre più frequenti. Per questa ragione occorre una indagine internazionale per verificare bene la reale partecipazione delle unità dei diversi paesi presenti  nelle acque dell’Egeo, spesso a distanza di poche centinaia di metri nello stesso tratto di mare.

Il principio di “Ordine illegittimo”

Il caso di “disobbedienza agli ordini illegittimi”, da parte dell’equipaggio danese di Frontex, che si è verificato tra le coste turche e le isole della Grecia, conferma come la direzione delle operazioni in mare, in quelle acque così controverse, spetti all’agenzia europea Frontex, che per questo ha ricevuto uno specifico invito da parte del governo greco. Le dichiarazioni del comandante danese sono inequivocabili, gli ordini di respingimento collettivo gli arrivavano dai vertici dell’operazione Poseidon di Frontex. A differenza di quanto si è verificato negli anni scorsi nel Mediterraneo centrale, dove gli assetti navali ed aerei di Frontex, e poi dell’operazione Sophia di Eunavfor Med, prima del loro ritiro “politico”, operavano sotto la direzione delle autorità italiane ed il coordinamento della Centrale operativa della guardia costiera italiana (IMRCC) di Roma. Almeno fino a quando l’ex ministro dell’interno Salvini, appena insediato al Viminale non ha preteso i “pieni poteri” in questa materia, prima a livello informale ( con comunicazioni sui social), poi con direttive amministrative “ad navem”, quindi con un decreto legge, il decreto sicurezza bis n.53 del 2019, che ne avrebbe dovuto formalizzare i poteri di blocco degli sbarchi.

Nel mare Egeo invece, come ai confini terrestri dell’Evros, all’agenzia Frontex spettano compiti di coordinamento che comportano una piena assunzione di responsabilità per la sorte delle persone che riccadono così sotto la sua giuiisdizione. Si tratta del resto di una precisa assunzione di responsabilità che è confermata dai documenti ufficiali. In tutti i settori d’intervento – operazioni, analisi dei rischi, formazione, ricerca e sviluppo e rimpatri – Frontex funge da coordinatore, creando reti specializzate tra le autorità di frontiera. Ciò al fine di sviluppare e condividere le migliori pratiche tra le autorità di frontiera dei paesi dell’UE e dei paesi associati a Schengen”.

Per questa ragione è necessaria una indagine approfondita sullo svolgimento delle più recenti operazioni dell’agenzia Frontex in collaborazione con la polizia di frontiera e la Guardia costiera greca per verificare il pieno rispetto delle regole di ingaggio e delle garanzie per la tutela delle persone, stabilite dai Regolamenti europei n.656 del 2014 e n.1624 del 2016, che non sono derogabili per effetto di accordi bilaterali tra i governi o di scelte operative riconducibili alle autorità militari.

Frontex, che è una agenzia indipendente dell’Unione Europea, è soggetta a responsabilità ed a controlli, come prevedono i Regolamenti che la disciplinano, e rientra nella giurisdizione dell’Unione Europea e dei tribunali internazionali. Vedremo chi, nel Parlamento europeo, chiederà conto ai vertici di Frontex delle loro operazioni ai confini tra Grecia e Turchia e chi invece asseconderà la posizione della Presidente della Commissione Von der Layen, che si congratula con la Grecia che considera uno “scudo” dell’intera Unione Europea contro la “minaccia” costituita dai profughi che Erdogan sta scagliando verso i confini dello spazio Schengen per ottenere coperture sul suo intervento in Siria. Una posizione che sancisce la subordinazione, e quindi la sconfitta, dell’attuale Commissione di fronte al gruppo dei paesi europei guidati da governi sovranisti e nazionalisti. Davvero verso la fine dell’Unione Europea.

Associazione Diritti e Frontiere:
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