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Alla frontiera tra Grecia e Turchia, Frontex il braccio armato dell’Unione Europea

di Fulvio Vassallo Paleologo

La rotta del Mediterraneo orientale, un’emergenza che non finisce

Dopo che Erdogan ha allentato i controlli di frontiera verso l’Egeo e ha riaperto di fatto la rotta balcanica, il governo greco ha avviato una intensa attività di contrasto contro i richiedenti asilo, in gran parte siriani, arrivati nelle isole, in particolare a Lesvos, nonché contro coloro che cercano di raggiungere la Grecia dalla Turchia, attraverso la frontiera dell’Evros, o via mare attraverso le acque dell’Egeo. Con un ingente spiegamento di polizia e militari, supportati da agenti di FRONTEX, le autorità greche hanno dichiarato che avvieranno ai confini operazioni militari con l’uso di proiettili, e che sarà sospesa la possibilità di chiedere asilo, una chiara violazione del diritto dell’UE in materia di protezione internazionale e di rimpatri, oltre che della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

Gli episodi di respingimento violento e detenzione arbitraria alle frontiere terrestri non si contano più, le vittime aumentano giorno dopo giorno, come appare esplosiva la situazione attorno ai centri di accoglienza/detenzione, con una crescente violenza esercitata contro i profughi indifesi da parte di frange della popolazione guidate dai gruppi neonazisti. Una presenza che le autorità statali tollerano, fino al punto di permettere che qualche decina di facinorosi impediscano lo sbarco a donne e bambini stremati dalla traversata ed arrivati in porto sotto il controllo della guardia costiera greca. Adesso a Lesvos i respingimenti li fanno i fascisti di Alba dorata che minacciano anche i giornalisti. Il governo greco non può sospendere il riconoscimento dei diritti umani ai richiedenti asilo per effetto di questa ventata populista e razzista.

In questa sede tratteremo soltanto dei respingimenti e delle intercettazioni in mare nelle acque dell’Egeo. Circolano da tempo video che riprendono azioni omicide condotte da motovedette o da imbarcazioni di diversa nazionalità talvolta anche con uomini mascherati a bordo. Piuttosto che attribuire a questa o a quella nazione la responsabilità di comportamenti e di prassi operative che sono chiaramente in contrasto con tutte le Convenzioni internazionali a salvaguardia dei diritti dell’Uomo e con il Diritto internazionale del mare, chiariamo subito che in quel piccolo tratto di mare che separa le isole greche dalle coste turche è praticamente impossibile che le imbarcazioni militari non sorveglino tutte le attività di intercettazione, restando all’interno delle proprie acque territoriali, anche per i rapporti ancora tesi tra la Grecia e la Turchia. Alle unità navali di Frontex, che sono nelle condizioni di tracciare tutti i movimenti delle imbarcazioni che si muovono nell’angusto tratto di mare che separa la Grecia dalla Turchia, è invece attribuita una maggiore possibilità di movimento, anche se hanno naturalmente base nei porti greci, dove si trova anche una motovedetta della Guardia Costiera italiana, da tempo inserita nella missione Poseidon di Frontex. Per questa ragione toccherebbe proprio alle unità militari di Frontex garantire che i mezzi della Guardia costiera turca e della guardia costiera greca rispettino le regole di comportamento dettate dalle Convenzioni internazionali, che antepongano all’esigenza di sbarrare l’accesso al territorio nazionale, la protezione del diritto alla vita ed il diritto di presentare una richiesta di asilo in frontiera. Purtroppo, invece, sembra che tutte le unità militari che si sorvegliano a vicenda nelle acque dell’Egeo, spesso a poche centinaia di metri, e talora si riprendono con immagini che vengono immesse in rete anche a scopo propagandistico, rimangano poi inerti rispetto alle chiamate di soccorso che le ONG raccolgono e rilanciano alle centrali operative di ricerca e salvataggio dei diversi stati (MRCC). Le manovre compiute nei pressi dei barconi carichi di profughi sono mirate al blocco della navigazione ed alla diversione della rotta, non al salvataggio immediato delle persone, che se fossero portate a terra avrebbero fatto ingresso nel territorio dello stato e potrebbero presentare una domanda di asilo. Ancora oggi un bambino è morto sulla breve rotta tra la Turchia e Lesvos, quando il barcone su cui viaggiava è stato avvicinato da un mezzo della Guardia costiera greca.

Negli ultimi giorni, di fronte ad un aumento delle imbarcazioni partite dalle coste turche verso le isole greche, si sono registrati diversi casi di intercettazione violenta, se non di respingimento collettivo. Piuttosto che attribuire la responsabilità dei naufragi e dei push back violenti ad uno solo dei diversi stati coinvolti, si deve parlare di crimini di sistema contro l’Umanità, commessi da tutti i paesi coinvolti in uno scenario che si può definire ormai di “guerra” ai migranti, ed a chi continua ad assisterli ed a soccorrerli, a partire dagli accordi che nel 2016 furono conclusi con la Turchia proprio al fine di sbarrare il passaggio dei profughi siriani in fuga dal loro martoriato paese. Una guerra ai profughi che in questi ultimi tempi è ripresa con particolare violenza, con le truppe di Erdogan che, da una parte hanno sigillato la frontiera della Siria, dove sono ammassate altre migliaia di profughi, e dall’altra sono entrate nel Rojava per massacrare le popolazioni curde che avevano rivendicato la loro indipendenza.

Per sanzionare questi crimini contro l’Umanità dovrebbero agire la Corte penale internazionale, Il Consiglio d’Europa e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, infine, la Corte di Giustizia UE di Lussemburgo, per le gravi e reiterate violazioni del diritto internazionale e del diritto euro-unitario da parte degli stati coinvolti e dell’agenzia europea FRONTEX. Se l’Unione Europea continuerà a fare finta di non vedere, delegando il lavoro sporco all’agenzia Frontex, che è una agenzia autonoma dotata di personalità giuridica distinta da quella dell’Unione e dei suoi organi, si potranno considerare tutti complici, dalla cancelliera Merkel al suo collega Kurtz leader populista austriaco. La missione condotta dall’Unione Europea in Turchia ed in Grecia non può essere finalizzata esclusivamente al ripristino dei controlli di frontiera da parte turca. Controlli che hanno già prodotto vittime, sia in mare che alle frontiere terrestri, creando una situazione esplosiva nelle isolette greche dove spadroneggiano le ronde fasciste di Alba Dorata.

Gli accordi tra Stati europei (non l’Unione Europea) e Turchia

Il 20 marzo 2016 entrava in vigore l‘accordo tra l’Unione europea e Turchia, che ha trasformato in migranti “illegali” da espellere da qualsiasi paese dell’area Schengen anche potenziali richiedenti asilo, magari con famiglia e bambini piccoli. In realtà come accertava la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non si trattava di un “accordo concluso tra le autorità europee e il governo di Ankara”, ma di un intesa raggiunta tra i singoli stati membri ed il governo turco. Secondo la Corte, nel caso NG, ” a prescindere dalla questione se costituisca, come sostenuto dal Consiglio europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, una dichiarazione di natura politica o, al contrario, come sostenuto dal ricorrente, un atto idoneo a produrre effetti giuridici obbligatori, la dichiarazione UE-Turchia, come diffusa per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, non può essere considerata come un atto adottato dal Consiglio europeo, né peraltro da un’altra istituzione, organo o organismo dell’Unione o come prova dell’esistenza di un simile atto e che corrisponderebbe all’atto impugnato. Ad abundantiam, alla luce del riferimento, contenuto nella dichiarazione UE-Turchia, al fatto che «l’UE e la [Repubblica di] Turchia avevano concordato punti di azione supplementari», il Tribunale considera che, anche supponendo che un accordo internazionale possa essere stato concluso informalmente nel corso della riunione del 18 marzo 2016, circostanza che, nel caso di specie, è stata negata dal Consiglio europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, tale accordo sarebbe intervenuto tra i capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione e il Primo ministro turco.

Il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, quasi a conferma di questa anomalia, sottolineava però che l’accordo “è conforme a tutte le norme dell’UE e internazionali. Le domande dei rifugiati e dei richiedenti asilo saranno trattate singolarmente e si potrà presentare ricorso. Il principio di non respingimento sarà rispettato.“. Una affermazione che nel tempo è stata smentita dai fatti, anche tragici, come quelli che, a seguito di tentativi di respingimento o per mancato intervento di soccorso, hanno segnato il naufragio di centinaia di persone nelle acque dell’Egeo. Ma la pietà che aveva suscitato la tragica fine di Alan Kurdi, il 2 settembre 2015, è durata poco.

Alla luce della Dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016, il Parlamento greco ha adottato il 3 aprile 2016 una legge “Sull’organizzazione e il funzionamento del servizio di asilo, l’Autorità per i ricorsi, il Servizio di accoglienza e identificazione, con la istituzione del Segretariato generale per l’accoglienza, ed il recepimento nella legislazione greca delle disposizioni della direttiva 2013/32 / UE riguardanti le procedure di asilo con disposizioni in materia di beneficiari di protezione internazionale”. Questa riforma è stata approvata con la legge n.4375/2016 che ha tentato di regolare la creazione e il funzionamento di centri “hotspot”, stabilendo le procedure che si svolgono in queste strutture. Tuttavia, la legislazione nazionale greca non è mai riuscita a regolamentare in modo efficace il coinvolgimento delle agenzie dell’UE nelle attività di polizia di frontiera, come gli agenti di Frontex nelle attività di sorveglianza ed intercettazione dei migranti irregolari, che sono rimaste disciplinate soltanto da accordi operativi di polizia e da piani riservati concordati a livello militare.

In seguito all’accordo raggiunto tra l’Unione Europea e la Turchia, dal 20 marzo 2016 tutti i migranti irregolari in viaggio dalla Turchia verso le isole greche avrebbero dovuto essere riportati indietro. In realtà la maggior parte è rimasta intrappolata per mesi nei campi allestiti nelle isole greche (Hotspot). Gli Stati membri dell’UE hanno anche deciso di fornire tempestivamente alla Grecia i mezzi necessari, tra cui guardie di frontiera, esperti in materia di asilo e interpreti. Da allora anche i migranti siriani arrivati in Grecia dalla Turchia sono stati considerati “illegali”. Per non parlare degli afghani e dei pakistani.

Dal 4 aprile 2016 sono cominciate le operazioni di respingimento in Turchia e si è avuto notizia di respingimenti “di riflesso” dalla Turchia verso l’Afghanistan. La Corte Europea dei diritti dell’Uomo, interrompendo una tradizionale linea di protezione per le persone in fuga che chiedevano asilo, non ha saputo sanzionare espulsioni e respingimenti che apparivano in violazione del divieto di refoulement verso paesi nei quali si poteva essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti ( vietati dall’art. 3 della CEDU), in assenza di garanzie effettive di difesa e con il rischio di subire ingiuste limitazioni della libertà personale (art.5 CEDU) e gravi discriminazioni.

Con l’accordo stati UE-Turchia e la chiusura ufficiale della rotta balcanica, l’Unione Europea ha trasformato l’intera regione del Mediterraneo orientale in uno spazio di sbarramento opposto a chi fugge da zone di guerra. «Siamo testimoni», scriveva MSF nel 2016, «delle più crudeli e inumane conseguenze delle politiche europee, usate come strumento per dissuadere e perseguitare persone che stanno solo cercando sicurezza e protezione in Europa». ’Unione europea ha promesso di pagare 6 miliardi di euro alla Turchia perché impedisca i rifugiati di spostarsi verso l’Europa. Questa forma di esternalizzazione, non dei controlli di frontiera ma del dovere di garantire la protezione internazionale, prevista dalla Convenzione di Ginevra e dalle Direttive europee, oltre che dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ( art.18), costituisce già di per sè una grave violazione del diritto dell’Unione Europea e del diritto internazionale.

Il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016  a Bruxelles, al quale partecipava il neo-presidente del Consiglio Gentiloni, oggi Commissario Europeo, confermava la politica della esternalizzazione dei controlli di frontiera e dell’utilizzo degli stati di transito per bloccare le partenze dei migranti verso l’Europa. Si voleva impedire – secondo le Conclusioni del Consiglio rese note da Statewatch – che i migranti potessero raggiungere le coste europee e presentare una domanda di protezione internazionale. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati prevede al contrario che non sia penalizzato l’arrivo irregolare in frontiera per la presentazione di un’istanza di protezione, e non permette tetti numerici. Con gli accordi con la Turchia di Erdogan, come nel caso degli accordi con il governo di Tripoli, si è voluto impedire proprio l’arrivo di potenziali richiedenti asilo, penalizzare comunque l’ingresso irregolare, per negare la stessa possibilità di accedere ad un territorio per depositare un’istanza di protezione.

Nelll’aprile 2016 Amnesty International aveva denunciato – in un rapporto dal titolo Illegal mass returns of Syrian refugees expose fatal flaws in EU-Turkey deal – il modo in cui le autorità turche ricacciavano migliaia di richiedenti asilo verso la Siria. «Adesso la Turchia sta promuovendo la creazione di un’inconcepibile zona di sicurezza all’interno della Siria. È chiaro dove tutto questo porterà: dopo aver assistito alla creazione della Fortezza Europa, assisteremo alla costruzione della Fortezza Turchia». I profughi siriani, e non solo, si venivano così a trovare tra due fuochi. Ma nessuna istituzione europea, né tantomeno i singoli stati membri avvertiva l’urgenza di stabilire misure di evacuazione umanitaria e di garantire attività di soccorso nelle acque dell’Egeo. Le attività delle ONG presenti in quella zona venivano criminalizzate e numerosi operatori umanitari finivano sotto processo.

Da parte sua la Grecia rinforzava i suoi organi di sicurezza che sorvegliavano i confini marittimi e terrestri, con il supporto dell’Unione Europea. La polizia greca, secondo il rapporto, «ha elaborato piani di sicurezza e di evacuazione destinati a tutte le persone e le organizzazioni presenti nei punti di crisi per rispondere ad alcune preoccupazioni in materia di sicurezza e migliorare le condizioni di ordine pubblico sulle isole. Sono state elaborate altresì istruzioni di emergenza per evacuare il personale dell’agenzia dell’UE e gli esperti degli Stati membri che lavorano nei punti di crisi in caso di incidente; la polizia greca ha dispiegato un maggior numero di agenti sulle isole, comprese squadre antisommossa appositamente formate inviate in prossimità degli uffici per il trattamento delle domande di asilo, e prevede di aumentarne ancora il numero. Anche l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) ha migliorato le condizioni di sicurezza delle aree destinate al trattamento delle domande di asilo nei punti di crisi […]. Si valuta che un’adeguata forza di polizia in grado di rispondere in modo soddisfacente alle esigenze di sicurezza e di ordine pubblico dei punti di crisi, nella loro configurazione attuale, dovrebbe essere di tre o addirittura quattro volte superiore a quella attuale. […] Per quanto riguarda il sostegno alle frontiere, al 5 dicembre (2016) la guardia costiera e di frontiera europea aveva dispiegato 682 agenti in Grecia, 54 dei quali a sostegno dell’attuazione della dichiarazione UE-Turchia». Gli effetti di questi piani li possiamo verificare ancora oggi al confine dell’Evros, nelle isole greche, nelle acque dell’Egeo.

A Frontex non restava che nascondere le sue vere attività operative e rendere pubblici una serie di dati che confermavano la necessità della sua presenza e di un continuo aumento del suo budget. “Due migranti irregolari su tre registrati alle frontiere esterne dell’UE a settembre sono stati individuati sulla rotta del Mediterraneo orientale”, rilevava Frontex. Si tratta della rotta che dovrebbe essere chiusa a seguito dell’intesa tra Bruxelles e Ankara. L’intesa riguarda in particolare i siriani, ma nello sorso anno ad aumentare sono stati soprattutto gli afghani. Nel corso del 2019 l’aumento degli arrivi irregolari in Grecia è cresciuto di più di un quinto (+22%) rispetto alle cifre del 2018.

Le risposte fin qui fornite dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui casi di respingimento collettivo in mare, nel Mediterraneo centrale, e sui respingimenti collettivi verso la Turchia, nel Mediterraneo orientale, non hanno ancora avuto l’effetto di costringere gli stati ad un effettiva tutela dei diritti umani della persona migrante, sia pure considerata nella condizione di potenziale naufrago o richiedente protezione internazionale. Dopo le importanti pronunce di condanna sul caso Hirsi contro Italia nel 2012 e sul caso Khlaifia contro Italia nel 2016, i pronunciamenti più recenti delle corti internazionali, sia a Lussemburgo che a Strasburgo, appaiono corrispondenti alle politiche di sbarramento dei porti ed in genere di esternalizzazione dei controlli di frontiera, soprattutto nel caso della Turchia, verso paesi che non garantiscono alcun rispetto dell’habeas corpus e dello stato di diritto, oltre che del diritto internazionale del mare. La violazione di queste regole imperative ha comportato trattamenti inumani o degradanti, torture, e nei casi più gravi la morte delle vittime, in mare o nelle mani delle bande di trafficanti.

Una ragione in più, questa, per rilanciare azioni di denuncia collettiva, a fronte della difficoltà delle vittime di respingimento e di detenzione arbitraria che difficilmente possono fare arrivare alle corti europee un ricorso con tutte le formalità, sempre più minuziose, richieste da uffici di cancelleria, che mirano soprattutto a ridurre la mole dei ricorsi che i giudici saranno chiamati ad esaminare. Un orientamento che purtroppo traspare anche dalla sommarietà di molte decisioni interinali che da Strasburgo negano l’adozione di misure provvisorie di sospensione dei respingimenti, che potrebbero invece costituire l’unica possibilità per affermare una qualche effettività ai principi ed alle garanzie riconosciuti dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei.

La “tempesta perfetta” sui migranti nel Mare Egeo. Fuoco concentrico sul diritto alla fuga

Gli ultimi arrivi in Grecia, evidentemente frutto delle politiche di Erdogan in Turchia, hanno messo in ginocchio il sistema di accoglienza in tutto quel paese, in particolare a Samos e a Lesvos. Sulla pelle dei profughi siriani si sta giocando una partita sporca che salda le crisi del medio oriente alla frontiera del Mediterraneo. Con conseguenze che si stanno producendo di riflesso anche sulla cosiddetta “rotta balcanica”. Alla logica concentrazionaria, ormai dominante in Turchia, corrisponde la utilizzazione dei profughi siriani come massa d’urto, sia nel nord della Siria, per cancellare l’esperienza del Rojava democratico, perpetrando crimini di guerra per ottenere una “fascia di sicurezza” che si vorrebbe riempire di campi di raccolta. La stessa logica concentrazionaria si sta affermando anche nel Mediterraneo orientale, dove gli arrivi in Grecia si stanno moltiplicando anche se le intese tra la Turchia con L’Unione Europea e con l’agenzia Frontex stanno consentendo detenzioni arbitrarie e respingimenti indiscriminati.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, al 30 settembre 2019, erano circa 80.800 i migranti arrivati ​ attraverso le tre rotte del Mediterraneo (Occidentale, Centrale ed Orientale) verso l’Europa, con un calo del 21% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (102.700). Nei primi nove mesi di quest’anno sono arrivate in Grecia circa 46.100 persone, 23.200 in Spagna e appena 7.600 in Italia. Inoltre, circa 1.200 persone sono arrivate via mare a Cipro, insieme circa 2.700 persone sono sbarcate a Malta. Non sono state soltanto le isole greche, soprattutto Lesvos, la meta dei migranti fuggiti ( o lasciati fuggire) dalla Turchia. Molti profughi hanno continuato a spostarsi via terra dalla Grecia attraverso i Balcani occidentali.

Alla fine di settembre dello scorso anno erano circa 30.700 i rifugiati e i migranti presenti sulle isole dell’Egeo greco di cui circa 25.900 erano accolti in condizioni di estrema precarietà in cinque centri di accoglienza e identificazione (RIC), quasi cinque volte più della loro capacità massima di 5.400 persone. L’ incendio del centro di accoglienza di Moria a Lesvos ha ulteriormente aggravato questa situazione, peggiorando sia le condizioni di accoglienza che le prospettive di registrazione dei richiedenti asilo e di trasferimento verso altri paesi europei.

Nella seconda metà del 2019, gli arrivi irregolari nella regione sono stati i più alti dall’attuazione della dichiarazione UE-Turchia nel marzo 2016, sebbene siano ancora ben al di sotto delle cifre registrate nel 2015 e all’inizio del 2016 con la situazione precedente alla dichiarazione. Adesso, dopo che Erdogan ha messo in atto la sua minaccia di aprire le frontiere verso la Grecia, decine di migliaia di persone si sono rimesse in movimento verso l’Europa, sia sulla rotta balcanica che con l’attraversamento dell’Egeo, come è segnalato da un rapporto riservato di Frontex. Ai confini greci si riprodurranno tante crisi umanitarie a catena.

Il vertice europeo dei ministri dell’interno e della giustizia di Lussemburgo nel mese di ottobre del 2019 si è limitato a rilanciare  una ennesima svolta repressiva, senza nessun passo verso una modifica sostanziale delle regole di ingaggio delle missioni europee presenti nel Mediterraneo centrale, e senza una vera redistribuzione vincolante dei naufraghi, e non soltanto dei potenziali richiedenti asilo, tra tutti i paesi europei. La nuova Commissione sembra ancora invischiata nel compromesso maturato faticosamente nel Consiglio dell’Unione Europea del 28 giugno 2018 prima delle ultime elezioni europee, sotto il ricatto dei partiti sovranisti.

Le posizioni emerse nei più recenti vertici europei a partire dal mese di luglio dello scorso anno, dalla Conferenza dei ministri dell’interno UE a Parigi, al Consiglio europeo informale di Helsinki svoltosi nel mese di luglio del 2019, si dimostrano su una linea di continuità con la politica degli scorsi anni, che ha trovato il suo asse centrale nella esternalizzazione dei controlli di frontiera. Obiettivo della continuità europea in materia di immigrazione, che si continua a sovrapporre al tema della protezione internazionale, è ancora il “rafforzamento” della protezione delle frontiere esterne, “fondamentale per rendere lo spazio Schengen più sicuro e gestire la migrazione in modo più efficiente. Le nuove norme consentiranno a Frontex di fornire agli Stati membri un sostegno più rapido ed efficiente in relazione a vari compiti, compresi i controlli di frontiera e il rimpatrio di chi non ha diritto di soggiorno”.

Non sorprende neppure troppo, a questo punto,  il voto del Parlamento europeo che a settembre dello scorso anno ha respinto una Risoluzione, già abbastanza moderata, presentata dalla Commissione LIBE (Libertà civile) sugli obblighi di soccorso in mare. Il testo di compromesso proposto dalla Commissione LIBE conteneva 18 raccomandazioni agli Stati membri per una maggiore cooperazione nelle attività di ricerca e salvataggio in mare. In particolare il punto 9 del testo richiedeva agli Stati membri di «mantenere i porti aperti alle imbarcazioni delle Ong», mentre il punto 16 chiedeva alla Commissione un impegno a lavorare su un meccanismo di distribuzione dei migranti «equo e sostenibile».

Il voto va inquadrato all’interno della profonda crisi che ha vissuto la nuova Commissione europea prima ancora di insediarsi, dopo che alcuni suoi componenti di spicco sono stati bocciati dall’aula, che ha così evidenziato la debolezza congenita di Ursula Van der Leyen, che non è stata ancora capace di proporre una vera politica alternativa ai partiti sovranisti e populisti in Europa.

Soni intanto falliti i piani che in base agli accordi stipulati con la Turchia nel 2016 prevedevano corridoi umanitari verso i paesi membri dell’Unione Europea. Per ogni profugo siriano rimandato in Turchia dalle isole greche un altro siriano avrebbe dovuto trasferito dalla Turchia all’Unione europea attraverso dei canali umanitari. Donne e bambini avrebbero dovuto avere la precedenza in base ai “criteri di vulnerabilità stabiliti dall’Onu”. Una priorità si sarebbe dovuto riconoscere anche a coloro che non sono già stati deportati dalla Grecia. L’Europa metteva allora a disposizione soltanto 18mila posti per accogliere profughi attraverso questi canali umanitari. Questi piani non si sono realizzati se non in minima parte, ed i posti a disposizione erano comunque un numero irrisorio, rispetto alla concentrazione di migranti e persone vulnerabili sulle coste turche e nelle isole greche. il piano di ricollocamento dei richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia, non è mai decollato, ed i modesti ritrasferimenti che si verificano per le persone socccorse nel Mediterraneo centrale si continuano ad effettuare solo perchè il numero dei migranti redistribuiti ( alcune decine per paese) è praticamente irrilevante rispetto alla presenza di immigrati e richiedenti asilo già consolidata in territorio europeo.

Il ruolo di Frontex nell’attuazione degli accordi tra Unione Europea e Turchia

Già alla fine del 2015 la Grecia chiedeva l’intervento dell’agenzia FRONTEX per la gestione dell’emergenza migratoria nelle isole greche. Gli ufficiali europei –  di polizia secondo quanto affermava allora il governo di Atene – si sarebbero limitati al supporto per l’identificazione dei rifugiati, mentre il controllo delle frontiere sarebbe rimasto di competenza greca. In realtà, dalle testimonianze di decine di profughi e dai rapporti internazionali emergeva subito come gli agenti europei svolgessero un ruolo attivo nelle operazioni di respingimento a terra, alla frontiera dell’Evros, ed in mare, nelle acque dell’Egeo, tra le coste turche e le isole greche poco distanti. La Guardia costiera greca operava nelle attività di intercettazione in mare in stretto coordinamento con le unità della missione Poseidon di Frontex.

Nel Mediterraneo, oltre alle missioni in Italia e Spagna, l’Agenzia  FRONTEX è attiva in Grecia dal 2006 con l’operazione Poseidon: navi prestate dai governi europei, sotto il coordinamento greco, sorvegliano il tratto di mare tra Atene e Ankara. Il report di Frontex del 2018 sostiene che tra gli obiettivi dell’operazione Poseidon ci fosse anche quello di “prevenire l’attraversamento illegale delle frontiere”. Nel 2018  l’Agenzia europea ha intercettato imbarcazioni nelle acque turche solo in 126 casi, “prevenendo” la partenza di appena 5.600 persone. Nello stesso periodo però ha partecipato a 503 operazioni di soccorso durante le quali sono stati salvati e portati sulle isole ben 19.031 naufraghi: “Il 92% di tutti i migranti – si legge nel rapporto – è stato salvato da risorse cofinanziate da Frontex”.  Il bilancio dell’agenzia Frontex  è passato da 143 milioni di euro nel 2015 a 322 milioni di euro nel 2020. L’impegno finanziario più consistente è stato riversato sui controlli in mare, alla frontiera tra la Turchia e la Grecia. Mentre Frontex ha ritirato tutti i suoi assetti navali dalle acque del Mediterraneo centrale, lasciando operativi soltanto alcuni mezzi di sorveglianza aerea.

Dopo una prima fase durata fino al 2018 nella quale le regole di ingaggio stabilite per le acque dell’Egeo non permettevano di bloccare le imbarcazioni in mare, i mezzi di Frontex hanno attivamente partecipato ad operazione di respingimento collettivo verso la Turchia, che sono aumentate da quando lo scorso anno il governo turco ha allentato i controlli di frontiera. II personale di polizia dell’agenzia in supporto alla Guardia costiera greca, non solo ha tollerato i respingimenti violenti di migranti in mare, ma ha anche  partecipato attivamente a operazioni illegali di respingimento verso la Turchia. Non si vuole ancora comprendere che Frontex non è la soluzione del problema, ma un fattore che mette a rischio il rispetto dei diritti umani nelle acque dell’Egeo, come ai confini terrestri tra Grecia e Turchia.

Come denuncia Alarm Phone, dall’inizio del 2019, gli attacchi alle imbarcazioni dei rifugiati e i respingimenti dalle acque territoriali greche sono aumentati nuovamente. Dove si trovavano i mezzi di Frontex in queste occasioni? Possibile che non abbiano mai partecipato a queste attività di intercettazione in mare e che non abbiano mai visto nulla nei loro potenti radar ?

Si è trattato di molteplici attività di blocco in mare, da parte delle autorità turche, fino ai limiti delle loro acque territoriali, con la riconduzione dei migranti a terra, poi da parte delle autorità greche, con il tentativo di respingere i gommoni carichi di migranti verso le acque turche, in modo che fossero le motovedette turche costrette ad intervenire. Queste attività si sono svolte sotto gli occhi degli agenti di polizia europei imbarcati sulle unità di Frontex, tra le quali anche un mezzo della Guardia costiera italiana, presente con una unità a rotazione, ormai da anni, nel Mediterraneo orientale.

Il direttore esecutivo di Frontex ha comunicato ieri 2 marzo di avviare un ulteriore “rapido intervento di frontiera” per assistere la Grecia nella gestione del gran numero di migranti alle sue frontiere esterne. Il governo greco aveva chiesto ufficialmente a Frontex il giorno prima di avviare un rapido intervento di frontiera alle sue frontiere marittime nel Mar Egeo. L’impostazione dell’intervento di Frontex mantiene tuttavia una impostazione meramente repressiva di quel tipo di ingresso che si definisce come immigrazione illegale. Senza considerare il diritto alla vita dei naufraghi ed il diritto di accedere per tutti ad eque procedure di asilo e di riesame.

“Data la rapida evoluzione della situazione alle frontiere esterne greche con la Turchia, la mia decisione è di accettare di avviare il rapido intervento di frontiera richiesto dalla Grecia. Fa parte del mandato di Frontex di assistere uno Stato membro di fronte a una situazione eccezionale, richiedendo un sostegno urgente con funzionari e attrezzature di tutti gli Stati membri dell’UE e dei paesi associati Schengen”, ha dichiarato Fabrice Leggeri, direttore esecutivo di Frontex. “A partire dal prossimo anno potremo contare sui primi 700 ufficiali del corpo permanente della Guardia costiera e di frontiera europea per fornire flessibilità operativa in caso di intervento rapido alle frontiere. Oggi dipendiamo interamente dagli Stati membri dell’UE e dai paesi associati Schengen affinché i contributi arrivino in questo momento cruciale”, ha aggiunto. Per Legeri è dunque una questione di budget e di organici, al fine di realizzare respingimenti e rimpatri, non di stabilire moduli operativi e accordi tra paesi confinanti che consentano la salvaguardia della vita in mare ed il diritto di asilo nel rispetto delle Convenzioni internazionali. Appare comunque evidente la collaborazione sempre più stretta tra Frontex e la polizia di frontiera greca.

Le basi normative delle attività dell’agenzia FRONTEX

Dovrebbero essere a tutti note le diverse interpretazione degli obblighi di salvataggio, che portarono anche ad una pronuncia della Corte di Giustizia nel 2012 e quindi alla formulazione del Regolamento europeo 656 del 2014 che ribadisce anche per le operazioni Frontex l’assoluta preminenza dei doveri di soccorso nel rispetto delle Convenzioni internazionali.  Come appare evidente la possibilità di profilare una precisa responsabilità penale a carico di quei mezzi militari o di Frontex che non si attivassero immediatamente dopo una chiamata di soccorso, a prescindere dalla verifica delle condizioni di navigabilità del mezzo per il quale scatta l’intervento di soccorso. Punto che era stato oggetto di contestazione dopo l’improvvida adozione di un Regolamento europeo nel 2010, che limitava i doveri di soccorso di Frontex ai casi di imminente pericolo di naufragio, un limite poi spazzato via dalla pronuncia della Corte di Giustizia del 2012 e sostituito dal Regolamento, tuttora vigente, n.656 del 2014.

Il testo del Regolamento FRONTEX (UE) n. 656/2014, che sostituisce la precedente decisione 2010/252/UE (in merito v. A. Del Guercio, Controllo delle frontiere marittime nel rispetto dei diritti umani: prime osservazioni sulla decisione che integra il codice delle frontiere Schengen, in Diritti umani e dir. int., 2011, p. 193 ss.) annullata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 5 settembre 2012 (v. specificamente la causa C-355/10), contiene diverse disposizioni che regolano i molteplici aspetti riguardanti la sicurezza in mare (art. 3), la protezione dei diritti fondamentali e principio di non respingimento (art. 4), la localizzazione (art. 5), l’intercettazione nelle acque territoriali, in alto mare, nella zona contigua (rispettivamente: artt. 6-7-8), le situazioni di ricerca e soccorso (art. 9), lo sbarco (art. 10), i meccanismi di solidarietà (art. 12).

Secondo il Regolamento UE n.656 del 2014, ( al Considerando 8) “durante operazioni di sorveglianza di frontiera in mare, gli Stati membri dovrebbero rispettare i rispettivi obblighi loro incombenti ai sensi del diritto internazionale, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, della Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e del suo protocollo per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, della Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e di altri strumenti internazionali pertinenti”.

Lo stesso Regolamento Frontex n.656 del 2014, (Considerando 12) “dovrebbe essere applicato nel pieno rispetto del principio di non respingimento quale definito nella Carta e quale interpretato dalla giurisprudenza della Corte e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Conformemente a tale principio, nessuno dovrebbe essere sbarcato, costretto a entrare, condotto o altrimenti consegnato alle autorità di un paese in cui esista, tra l’altro, un rischio grave di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, o in cui la vita o la libertà dell’interessato sarebbero minacciate a causa della razza, della religione, della cittadinanza, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche dell’interessato stesso, o nel quale sussista un rischio di espulsione, rimpatrio o estradizione verso un altro paese in violazione del principio di non respingimento”. Al Considerando 13 lo stesso Regolamento europeo aggiunge : “L’eventuale esistenza di un accordo tra uno Stato membro e un paese terzo non esime gli Stati membri dai loro obblighi derivanti dal diritto dell’Unione e internazionale, in particolare per quanto riguarda l’osservanza del principio di non respingimento, quando gli stessi Stati sono a conoscenza, o dovrebbero esserlo, del fatto che lacune sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in quel paese terzo equivalgono a sostanziali motivi per ritenere che il richiedente asilo rischi concretamente di subire trattamenti inumani o degradanti, o quando tali Stati sanno o dovrebbero sapere che quel paese terzo mette in atto comportamenti in violazione del principio di non respingimento”.

L’articolo 9  del Regolamento, in particolare, prevede le regole di comportamento da rispettare nel caso di situazioni di ricerca e soccorso gestite da assetti Frontex.

1. Gli Stati membri osservano l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conformemente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova.

2. L’applicazione del presente regolamento non incide sulla ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, a norma dei trattati, né sugli obblighi degli Stati membri sanciti da convenzioni internazionali, quali la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, la convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi, la Convenzione sulle norme relative alla formazione della gente di mare, al rilascio dei brevetti e alla guardia e altri pertinenti strumenti marittimi internazionali.

Secondo l’art. 10 del Regolamento Frontex n.656/2014 gli Stati dell’Unione europea possono collaborare con paesi terzi che siano titolari di zone SAR riconosciute a livello internazionale, in questo caso dunque anche con la Turchia, ma nel caso di mancata risposta, o di evidente impossibilità di salvaguardare la vita umana in mare, la dignità e l’accesso alla procedura di asilo a terra, per quanto osservato in precedenza, la responsabilità del coordinamento e della individuazione del porto di sbarco spetta alo stato che “ospita” l’operazione Frontex dunque alla Grecia, a prescindere dalla bandiera della nave europea chiamata eventualmente a realizzare l’intervento SAR ( ricerca e soccorso).

La considerazione del Regolamento europeo, e di altre norme dell’Unione dotate della stessa valenza normativa diretta, è importante perché si tratta di una fonte normativa chiaramente sovra-ordinata rispetto all’ordinamento nazionale greco che richiama le Convenzioni internazionali di diritto del mare e la Convenzione di Ginevra, come limite estremo di tutela dei diritti fondamentali della persona che le autorità statali ed europee non possono violare. Si stabilisce così un chiaro ordine gerarchico tra le fonti del diritto applicabile nei singoli casi, che le autorità nazionali, militari, civili e giudiziarie devono rispettare in tutto il Mediterraneo, anche al di fuori della sfera di attività delle operazioni Frontex.

Il 14 settembre 2016 veniva approvato in via definitiva il Regolamento europeo 2016/1624 riguardante la Guardia di frontiera e costiera europea ( da altri definita come FRONTEX PLUS) allo scopo di garantire un monitoraggio ed una sorveglianza più efficace alle frontiere esterne e nel Mediterraneo.

Tutto l’impianto della normativa europea su FRONTEX appare orientato alla predisposizione di interventi rapidi alle frontiere esterne (RABIT), stabiliti sulla base di programmi di interventi elaborati all’interno dell’agenzia e deliberati dal suo Direttore, e di contrasto dell’immigrazione irregolare, attraverso accordi con le autorità dei paesi di origine o di transito, anche in vista di una possibile collaborazione nelle attività di soccorso in mare e di riammissione o di respingimento verso i porti di partenza. Lo stesso regolamento costituisce un fondamento legislativo essenziale, che finora era mancato, per le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera che sino a questo momento erano rimaste frutto di accordi di polizia o Memorandum d’intesa (MoU) privi di una base legale, tanto sul piano internazionale che nel diritto interno. Si tratta in sostanza di una espansione delle attività dell’Agenzia Frontex e di una sua maggiore autonomia alle frontiere esterne con una accresciuta capacità di stabilire rapporti diretti con le autorità di polizia dei paesi terzi, anche in vista di possibili operazioni di rimpatrio o di respingimento.

La parte più consistente del Regolamento n.1624 del 2016 che istituisce la Guardia di frontiera e costiera europea riguarda il rimpatrio (return) dei migranti giunti irregolarmente in Europa o la loro riammissione nei paesi terzi di transito, in virtù dei nuovi accordi che consentono tali operazioni in forza di un consistente contributo economico europeo, sotto forma di cooperazione allo sviluppo. Nella parte in cui si definiscono i compiti della nuova Guardia costiera europea si fa anche un espresso riferimento ai doveri di salvataggio ma non si riscontra una chiara indicazione sulla possibilità (o sul dovere) di sbarco dei naufraghi  in un porto sicuro (place of safety). Anzi nelle decisioni più recenti del Consiglio europeo alla fine del 2019, si accentua la cooperazione autonoma con i paesi terzi e la funzione repressiva, di sostegno ai rimpatri ed ai respingimenti, della Polizia di frontiera e della Guardia costiera europea, senza più menzionare gli obblighi di salvataggio delle vite in mare.

Secondo quanto affermato nei “considerando”  del Regolamento n. 1624 del 2016, si “istituisce una guardia di frontiera e costiera europea per garantire una gestione europea integrata delle frontiere esterne, allo scopo di gestire efficacemente l’attraversamento delle frontiere esterne. Ciò implica affrontare le sfide migratorie e le potenziali minacce future a tali frontiere, contribuendo così a lottare contro la criminalità grave di dimensione transfrontaliera,al fine di garantire un livello elevato di sicurezza interna nell’Unione, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e salvaguardando al contempo la libera circolazione delle persone al suo interno”.

Il Regolamento n.1624 del 2016 prevedeva con un atto vincolante, perché adottato con procedura legislativa, una collaborazione più intensa tra le autorità di polizia dei diversi paesi UE in vista di un maggiore controllo delle frontiere esterne, necessario per garantire il regime di libera circolazione dettato dal Regolamento Schengen per le frontiere esterne. Lo stesso Regolamento costituiva un fondamento legislativo essenziale per le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera che sino a questo momento erano rimaste frutto di accordi di polizia  privi di una base legale.

Oggi, dopo le decisioni del Consiglio dello scorso novembre 2019, si assiste in sostanza ad una ulteriore espansione delle attività dell’Agenzia Frontex, che viene dotata di una base legale più ampia, e di una sua maggiore autonomia nello stabilire rapporti diretti con le autorità di polizia dei paesi terzi, anche in vista di possibili operazioni di rimpatrio o di respingimento.  Ed è questo appunto quello che si è verificato tra le autorità greche e turche ed i vertici di Frontex in questi ultimi mesi. Per questa ragione, quando si verificano intercettazioni in mare in violazione di norme internazionali o di Regolamenti europei occorre verificare bene la reale partecipazione delle unità dei diversi paesi presenti spesso a distanza di poche centinaia di metri nello stesso tratto di mare.

Sono previsti accordi con i paesi terzi per semplificare le operazioni di respingimento e di riammissione, ma non sembra esservi alcun richiamo alla necessità di concordare con questi stessi paesi, una qualsiasi attività coordinata nelle attività di ricerca e salvataggio. Al di là delle solenni dichiarazioni di principio  e del richiamo al diritto internazionale ed ai diritti umani , gli accordi con paesi terzi che non rispettano quei principi, ed in genere i diritti umani, svuotano di effettività le norme di salvaguardia che il Consiglio ed il Parlamento Europeo avevano inserito nel 2014 dopo un faticoso dibattito interno.

In merito alle attività di ricerca e salvataggio si conferma soltanto quanto già imposto dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare in base alle quali una volta che venga dichiarato dalle autorità nazionali un evento SAR tutti i mezzi civili e militari che si trovano nella zona possono essere chiamate ad intervenire dalle stesse autorità nazionali per soccorrere i naufraghi. Manca qualunque spiraglio per missioni di soccorso che abbiano soltanto carattere umanitario. Non si chiariscono le nozioni da tempo controverse di luogo sicuro di sbarco e di migrante economico. La prospettiva dominante è il controllo delle frontiere esterne come elemento che dovrebbe dare sicurezza all’interno dell’Unione Europea e salvaguardare la libertà di circolazione del sistema Schengen. Dunque il richiamo ai diritti fondamentali rischia di restare esclusivamente sulla carta.

L’art. 4 del Regolamento 1624/2016 richiama comunque, seppure in modo attenuato, gli obblighi di ricerca e salvataggio sanciti per l’Agenzia europea Frontex dal Regolamento 656 del 2014. La gestione europea integrata delle frontiere consiste dei seguenti elementi: a) controllo di frontiera, comprese, se del caso, misure volte ad agevolare l’attraversamento legittimo delle frontiere e misure connesse alla prevenzione e all’individuazione della criminalità transfrontaliera, come il traffico di migranti, la tratta di esseri umani e il terrorismo, e misure relative all’orientamento in favore delle persone che necessitano di protezione internazionale o intendono presentare domanda in tal senso; b) operazioni di ricerca e soccorso per le persone in pericolo in mare, avviate e svolte a norma del regolamento (UE) n. 656/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio e del diritto internazionale, che hanno luogo e sono avviate in situazioni che possono verificarsi nel corso di operazioni di sorveglianza delle frontiere in mare; c) analisi dei rischi per la sicurezza interna e analisi delle minacce che possono pregiudicare il funzionamento o la sicurezza delle frontiere esterne; d) cooperazione tra gli Stati membri sostenuta e coordinata dall’Agenzia; e) cooperazione inter-agenzia tra le autorità nazionali di ciascuno Stato membro responsabili del controllo di frontiera o di altri compiti svolti alle frontiere e tra le istituzioni, gli  organi,gli organismi e i servizi dell’Unione competenti, compreso lo scambio regolare di informazioni tramite gli strumenti di scambio di informazioni esistenti, ad esempio il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (“EUROSUR”) istituito dal regolamento (UE)n. 1052/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio; f) cooperazione con i paesi terzi nei settori contemplati dal presente regolamento, con particolare attenzione ai paesi del vicinato e ai paesi terzi che sono stati individuati tramite un’analisi dei rischi come paesi di origine e/o di transito dell’immigrazione illegale; g) misure tecniche e operative nello spazio Schengen che sono connesse al controllo di frontiera e destinate ad affrontare meglio l’immigrazione illegale e a combattere la criminalità transfrontaliera; h) rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggetti a decisioni di rimpatrio adottate da uno Stato membro; i) uso di tecnologie avanzate, compresi sistemi d’informazione su larga scala; j) un meccanismo di controllo della qualità, in particolare il meccanismo di valutazione Schengen ed eventuali meccanismi nazionali, per garantire l’applicazione della normativa dell’Unione nel settore della gestione delle frontiere; k) meccanismi di solidarietà, in particolare gli strumenti di finanziamento dell’Unione.

La formulazione degli obblighi di salvataggio appare sempre più generica, e rimette in sostanza agli stati membri, competenti per le aree di ricerca e soccorso, il compito di decidere quando intervenire, con la dichiarazione di un evento SAR (per fare scattare attività di ricerca e soccorso) che non rientrano tra i compiti principali della nuova Guardia Costiera europea. Il Regolamento FRONTEX n.1624 del 2016 riconduce così in modo molto esplicito ai singoli stati, e quindi ai rapporti bilaterali con i paesi terzi, l’adempimento primario degli obblighi di ricerca e salvataggio.

In base all’art. 34 del  Regolamento n. 1624/2016, titolato alla “Protezione dei diritti fondamentali e strategia in materia di diritti fondamentali”, la nuova Guardia di frontiera e costiera europea “garantisce la tutela dei diritti fondamentali nell’esecuzione dei suoi compiti a norma del presente regolamento in conformità del pertinente diritto dell’Unione, in particolare la Carta, il diritto internazionale pertinente, compresi la Convenzione del 1951 relativa allo status di rifugiati e il suo protocollo del 1967, così come degli obblighi inerenti all’accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non respingimento. A tal fine, l’Agenzia elabora, sviluppa ulteriormente e attua una strategia in materia di diritti fondamentali, che preveda un meccanismo efficace per monitorare il rispetto dei diritti fondamentali in tutte le proprie attività

Nell’esecuzione dei suoi compiti, la guardia di frontiera e costiera europea provvede affinché nessuno sia sbarcato, obbligato a entrare o condotto in un paese, o altrimenti consegnato o riconsegnato alle autorità dello stesso, in violazione del principio di non respingimento, o in un paese nel quale sussista un rischio di espulsione o di rimpatrio verso un altro paese in violazione di detto principio.

Nell’esecuzione dei suoi compiti, la guardia di frontiera e costiera europea tiene conto delle particolari esigenze dei minori, dei minori non accompagnati, delle persone con disabilità, delle vittime della tratta di esseri umani, delle persone bisognose di assistenza medica, delle persone bisognose di protezione internazionale, delle persone in pericolo in mare e di chiunque si trovi in una situazione di particolare vulnerabilità. La guardia e di frontiera e costiera europea presta particolare attenzione ai diritti dei minori in modo da garantire che in tutte le sue attività sia rispettato il loro interesse superiore.

Gli atti dell’Unione Europea confermano la persistenza degli obblighi di soccorso affermati dal Regolamento Frontex n.656 del 2014, rinviamo al Rapporto del 2018 “Annual report on the implementation of Regulation (EU) 656/2014 of the European Parliament and of the Council of 15 May 2014 establishing rules for the surveillance of the external sea borders in the context of operational cooperation coordinated by Frontex” .

Secondo il punto 2.2.3 di questo Rapporto, “Disembarkation in Third Countries The assets deployed within the operation were authorized, by Hellenic authorities, to disembark in Greek territory the persons intercepted or rescued in Greek territorial sea as well as in all operational area, even beyond its territorial sea. Although the possibility of disembarkations in a Third Country had been considered, in practice such disembarkations did not take place during the joint operation Poseidon 2018. This was due to the fact that there were no migrants intercepted or rescued by Frontex assets within Turkish waters in the Aegean Sea. In case of Ionian Sea, all rescued migrants were also transferred to the nearest place of safety in Greece”. Secondo Frontex dunque, fino al 2018, le unità dell’agenzia coinvolte nell’operazione Poseidon non avrebbero partecipato ad operazioni di respingimento collettivo verso le coste turche.

Non si vede però come gli obblighi di salvaguardia della vita umana e del diritto di chiedere asilo vengano assolti oggi nelle operazioni che i mezzi dell’agenzia Frontex conducono nelle acque dell’Egeo, anche quando si limitano a coordinare la Guardia costiera greca o a prestare aiuto alle unità turche. Un aiuto che spesso si traduce in un respingimento collettivo. Non si vede peraltro la ragione per la quale gli operatori di polizia imbarcati a bordo dei mezzi militari che operano in Egeo debbano operare in talune circostanze con le maschere nere sul viso (come fanno da tempo peraltro, e non certo solo per ragioni sanitarie). Questa la rara testimonianza di una vittima di un respingimento collettivo verificatosi il 29 aprile dello scorso anno nelle acque dell’Egeo.

“We were stopped around 3 am by a small speed-boat which had been heading from Greece towards us. Samos was just 15 minutes away from our position. The boat that was getting closer to us, looked like a black dinghy. I didn’t see any flag. It was dark and we were scared. The speed boat first had its floodlights on but getting closer they turned it off. There were two masked persons on board. I think they were wearing black clothes. They shouted to us stop. My wife is eight months pregnant. She was crying. There was another woman 9 months pregnant. The masked persons had a long stick with a knife on top. With that they destroyed our petrol bin and the engine. Our boat couldn’t move anymore. The waves were carrying us back to Turkey. After maybe 30 minutes the Turkish Coastguard arrived and arrested us. I think the two masked persons had called them. We were transferred to a police station and held for two days.”

Altre testimonianze di migranti intercettati ai confini tra Grecia e Turchia confermano la collaborazione sempre più stretta tra le polizie dei diversi stati coinvolti e gli agenti di Frontex, che collaborano anche con la NATO.. Secondo un rapporto di Frontex del 2018, le unità NATO opererebbero solo in acque internazionali. “The Standing NATO Maritime Group 2 was operating within the North Atlantic Treaty Organization (NATO) Aegean Activity, deploying maritime assets12 in the area. The activities of the Standing NATO Maritime Group 2 were carried out at the territorial waters of both Greece and Turkey, as well as on the high seas (international waters), being focused on the reconnaissance, monitoring of illegal crossings by various vessel, boats etc., contributing actively to the border surveillance”.

Come riferisce la ONG “Mare liberum”, attualmente sotto attacco a Lesvos, “l’Unione Europea ha pagato ingenti somme di denaro alla Turchia e, con il sostegno dell’OIM, ha consegnato diverse navi ad alta tecnologia alla guardia costiera turca al fine di aumentare le operazioni di ricerca e salvataggio e pattugliamento delle frontiere. Secondo le statistiche ufficiali della Guardia costiera turca, oltre 26.000 migranti sono stati intercettati e riportati in Turchia nel 2018. Sempre nello stesso periodo, circa 32.500 migranti hanno attraversato il Mar Egeo entrando in Europa. Mentre l’Unione Europea spaccia l’accordo come un successo nell’aver salvato molte vite umane, il confine (greco-turco) rimane mortale: solo nel 2018 174 persone hanno perso la vita, nel 2019 71 persone e dall’inizio dell’anno già 63 persone (febbraio 2020)”.

Nel 2020, da quando il governo turco ha allentato i controlli di frontiera la situazione sembra sempre più grave, e negli ultimi giorni sono migliaia le persone che hanno cercato di attraversare l’Egeo e di raggiungere le isole greche. Non solo siriani, ma in maggior misura profughi provenienti dall’Afghanistan.

Gli obblighi di ricerca e soccorso in mare

Non approfondiremo qui punti specifici della Convenzione UNCLOS di Montego Bay sul diritto del mare e della Convenzione SOLAS che stabiliscono precisi obblighi di soccorso in mare e correlate responsabilità degli stati nel garantire sollecitamente un porto di sbarco sicuro. Si deve però ricordare che tali obblighi non possono essere sospesi per effetto di accordi tra Stati dell’Unione europea, la Turchia e l’agenzia FRONTEX.

In base all’art. 98 della Convenzione Unclos del 1982, titolato «Obbligo di prestare soccorso», ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri:1.presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; 2.proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa. In base alla stessa Convenzione, ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali. Tale obbligo di collaborazione ai fini del soccorso in mare è ulteriormente specificato in altri Trattati internazionali di diritto marittimo, i più importanti dei quali sono la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (Solas)e la Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare (Sar).

La Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR) obbliga specificatamente gli Stati parte a “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” (Capitolo 2.1.10) ed a “[…] fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro”. (Capitolo 1.3.2). Essa, inoltre, inviata alla cooperazione tra gli Stati, allo scopo primario di garantire l’osservanza del principio dell’integrità dei servizi S.A.R.. A tale scopo, infatti, ciascuno Stato costiero dovrebbe individuare e dichiarare formalmente una propria specifica area di responsabilità (c.d. Area o Regione S.A.R.-S.R.R.) in cui assume l’onere di garantire l’efficiente prestazione dei citati servizi S.A.R., in modo tale da coprire l’intero globo terracqueo.

Ai sensi del cap. 2, par. 2.1.4 e 2.1.5 della Convenzione SAR del 1979 : “Ogni zona di ricerca e di salvataggio viene stabilita mediante accordo tra le Parti interessate (…) Se le parti interessate non raggiungono un accordo sulle dimensioni esatte di una zona di ricerca e di salvataggio, dette Parti fanno tutto il possibile per raggiungere un accordo sull’adozione di disposizioni adeguate che permettano di assicurare un equivalente coordinamento generale dei servizi di ricerca e di salvataggio di detta zona”.

Ai sensi del cap. 2, par. 2.1.8 “Le Parti dovrebbero organizzare i loro servizi di ricerca e di salvataggio in modo da poter far fronte rapidamente agli appelli di soccorso”.

Il primo MRCC che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R.ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità. Tale responsabiltà permane almeno fino a quando la responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR –Ed. 2016; Risoluzione MSC 167-78 del 20/5/2004).

In base al Regolamento Frontex n. 656 del 2014 tutti questi obblighi di soccorso previsti dalle Convenzioni internazionali vanno adempiuti nel corso di qualsiasi attività di intercettazione in mare, sia essa nell’ambito di attività di law enforcement, quando si accerti che l’imbarcazione intercettata sia in una situazione di distress, anche se ancora riesce comunque a procedere. Non è consentito a nessuna autorità di polizia marittima speronare una imbarcazione sovraccarica di migranti, con la certezza che da quel tentativo di diversione della rotta ne possano derivare vittime. I casi già verificati sono numerosi, in tutto il Mediterraneo, a partire dallo speronamento della nave Sibilla nel 1997 nelle acque del canale d’Otranto.

Il principio di non respingimento vige anche nelle acque del mare Egeo

L’applicazione in mare del divieto di respingimento (cosiddetto principio di “non refoulement” sancito da varie norme internazionali ed europee in particolare) di persone che potrebbero avere titolo allo status di rifugiati (Convenzione di Ginevra del 1951 e collegata normativa europea), comporta anche che una nave intercettata mentre trasporta migranti verso uno Stato costiero europeo ma non risulti soggetta alla giurisdizione di alcuno Stato, perché non formalmente iscritta e, quindi, priva di bandiera e di un equipaggio regolarmente imbarcato, non possa essere meramente respinta in mare ma debba necessariamente essere scortata in porto per i successivi accertamenti di polizia di frontiera. Per di più, se detta nave o imbarcazione risulti in una situazione di pericolo, anche solo potenziale, per cui si debba temere per la salvaguardia della vita umana in mare, l’obbligo di assistenza previsto dalle citate norme internazionali e nazionali impone in ogni caso di provvedere prima di tutto al soccorso ed al trasporto delle persone in un luogo sicuro di sbarco (POS).Tutto ciò è ripetutamente sancito in varie disposizioni normative, internazionali e nazionali (ad. es.: Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di migranti; Reg. EU 2014/656 per le operazioni Frontex; d.lgs 286/’98 -T.U. immigrazione e discendente DM 14 luglio 2003).

In base all’art. 33 della Convenzione di Ginevra, «Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche». Tale obbligo è stato ribadito nel rapporto «Rescue at Sea: A Guide to Principles and Practice as Applied to Migrants and Refugees», elaborato nel 2006 dall’Imo e dall’Unhcr e sottoposto ad aggiornamento nel 2015. In tale documento viene evidenziato l’obbligo che incombe al comandante della nave che compie l’intervento di soccorso di tutelare adeguatamente i richiedenti asilo, verificando la loro presenza a bordo, comunicandola all’Unchr ed effettuando lo sbarco unicamente laddove sia possibile garantire loro adeguata protezione.2. In base al punto 3.1.9 della Convenzione SAR (Search and Rescue) di Amburgo del 1979 ,”Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale) . In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile”.

Secondo il principio di non refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra (art.33)  “no rejection at frontiers without access to fair and effective procedures for determining status and protection needs”. E’ dunque possibile individuare un “contenuto minimo” di natura procedurale del diritto d’asilo, che “prima ancora di imporre in capo agli Stati precisi obblighi materiali di tipo positivo in ordine alla concessione del beneficio, non consente loro comportamenti che possano costituire una limitazione della libertà di accesso alle procedure, a meno di non svuotare di significato la partecipazione alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati”. Come ha ribadito l’UNHCR nel suo Paper sulle intercettazioni in mare ciò dovrebbe comportare in linea generale che la persona intercettata in prossimità della zona contigua alle acque territoriali abbia accesso alle procedure nello Stato che ha effettuato l’intercettazione, poiché questo di solito consente sia l’accesso alle strutture di accoglienza, sia eque ed efficienti procedure d’asilo, nel rispetto degli standards garantiti dal diritto internazionale.

Va ricordato anche l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione), secondo cui «Le espulsioni collettive sono vietate» e «Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti». In base all’articolo 4 del Quarto Protocollo allegato alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, le espulsioni collettive, e secondo la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo, anche i respingimenti collettivi in acque internazionali (caso Hirsi), sono vietati.

Come ha affermato la Corte europea dei diritti dell’Uomo nella sentenza Hirsi, «secondo il diritto internazionale in materia di tutela dei rifugiati, il criterio decisivo di cui tenere conto per stabilire la responsabilità di uno Stato non sarebbe se la persona interessata dal respingimento si trovi nel territorio dello Stato, o a bordo di una nave battente bandiera dello stesso, bensì se essa sia sottoposta al controllo effettivo e all’autorità di esso». Per la Corte, «dotato di questo contenuto e di questa estensione, il divieto di respingimento costituisce un principio di diritto internazionale consuetudinario che vincola tutti gli Stati, compresi quelli che non sono parti alla Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati o a qualsiasi altro trattato di protezione dei rifugiati. È inoltre una norma di jus cogens: non subisce alcuna deroga ed è imperativa, in quanto non può essere oggetto di alcuna riserva» (articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, articolo 42 § 1 della Convenzione sullo status dei rifugiati e articolo VII§1 del Protocollo del 1967).

Una normativa chiarissima ed immediatamente cogente, che vale nelle acque dell’Egeo, come dovrebbe valere in tutto il resto del Mediterraneo, seppure risulti nella pratica oggetto di frequenti controversie applicative e di gravi violazioni da parte degli Stati.

Come osserva adesso l’UNHCR, “né la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati né il diritto dell’Unione Europea in materia di asilo contemplano alcuna base legale che permetta di poter sospendere la presa in carico delle domande di asilo. A tale riguardo, il Governo greco ha evocato l’art. 78(3) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Tuttavia, le disposizioni in esso contenute permettono al Consiglio Europeo di adottare misure provvisorie, su proposta della Commissione Europea e in consultazione col Parlamento Europeo, nell’eventualità in cui uno o più Stati membri si trovino a dover far fronte a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso sul proprio territorio di stranieri cittadini di Paesi terzi, senza però prevedere la possibilità di sospendere il diritto di chiedere asilo e il principio di non-refoulement, entrambi riconosciuti dalle norme internazionali e ribaditi dal diritto dell’UE. Le persone che fanno ingresso irregolarmente sul territorio di uno Stato non devono essere sanzionate se si recano, senza indugiare, presso le autorità per presentare domanda di asilo”.

La Grecia non può eseguire respingimenti collettivi in mare e non può neppure rifiutarsi, dunque, di ricevere le richieste di asilo delle persone che riescono comunque ad entrare nel suo territorio, per motivi di soccorso. A queste persone vanno offerte condizioni di accoglienza dignitose ed in linea con gli standard dettati dalle Direttive europee. Sulla sospensione dell’accettazione delle richieste di asilo da parte delle autorità greche interverranno presto gli organi più alti dell’Unione Europea. Come dovrebbero fare pure per impedire i respingimenti in mare.

Cosa fare per proteggere le persone in fuga nelle acque dell’Egeo, dalla Turchia verso la Grecia

La comunità internazionale, presente anche con mezzi della Nato, e l’Unione Europea, con la sua agenzia FRONTEX, adesso ridefinita come “Polizia di frontiera e guardia costiera europea” non stanno impedendo che si ripetano abusi e violenze di ogni genere a danno dei profughi che dalla Turchia vengono lasciati partire verso le coste greche. Dopo le stragi, frequenti, anche dopo l’ultima vittima che si è registrata oggi, un bambino, non si vedono organismi imparziali che accertino le responsabilità e la stessa dinamica dei fatti, che spesso rimane condizionata dalle esigenze di propaganda delle parti.

Appare evidente come, a fronte del comportamento della Turchia di Erdogan, gli accordi con il governo di Ankara siano falliti, e sarebbe urgente una revoca formale di un intesa disumana che ha già avuto un costo altissimo in termini di vite perdute e sofferenze inflitte ai sopravvissuti.

Si dovranno portare avanti indagini internazionali indipendenti per accertare le responsabilità delle più gravi violazioni dei diritti umani registrate in questo ultimo periodo, nelle isole greche e nelle acque tra queste e la Turchia, una indagine che dovrà rivolgersi sia a carico della Grecia che della Turchia, paesi che peraltro partecipano entrambi ( oltre che alla NATO) al Consiglio d’Europa, ricadendo dunque sotto la giurisdizione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

Dovrà cercarsi anche l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per verificare la congruenza delle prassi operative delle attività di FRONTEX nell’Egeo, con i principi e le regole vincolanti previsti nei relativi Regolamenti europei, dotati -come è noto- di forza di “diritto cogente” in tutti i paesi dell’Unione Europea.

Si tratta poi di ricondurre l’agenzia Frontex, adesso ridenominata Guardia di frontiera e costiera europea, al pieno rispetto del suo mandato anche nelle operazioni che vengono definite meramente come operazioni di contrasto dell’immigrazione illegale (law enforcement) ma nelle quali è in gioco la vita umana. Come prescrivono anche la Convenzione di Palermo contro il crimine transnazionale ed i Protocolli allegati contro la tratta e contro il traffico di persone, la salvaguardia delle persone deve prevalere sempre sulla “difesa delle frontiere”.

Se si accertano responsabilità di singoli agenti o violazioni sistematiche degli obblighi di ricerca e soccorso affermati dalle Convenzioni internazionali, queste vanno sanzionate ed i responsabili rimossi. Anche quando non si verificano respingimenti collettivi, non si possono tollerare prassi operative delle guardie di frontiera e della Guardia costiera che si traducano in trattamenti inumani o degradanti, come l’uso dei bastoni per colpire i naufraghi e dissuaderli dal proseguire per la loro rotta. Si tratta di abusi che sono ben documentati e che devono essere portati all’attenzione delle Corti internazionali.

Come nel Mediterraneo centrale, anche nelle acque dell’Egeo vanno consentite le attività di soccorso operate dalle Organizzazioni non governative, e gli stati devono adottare piani coordinati al soccorso in mare delle persone e non al loro respingimento “a catena” verso i paesi di provenienza.

Come osserva MSF, “Le misure di emergenza annunciate dal governo greco avranno conseguenze devastanti in quanto tolgono il diritto di chiedere protezione e mirano a respingere le persone in Turchia. Tutto questo porterà soltanto più caos, morti in mare, escalation di violenza e un disastro umanitario ancora peggiore. Gli Stati membri dell’UE devono affrontare la vera emergenza: evacuare le persone dalle isole verso i paesi dell’UE, fornire un sistema di asilo funzionante, smettere di intrappolare le persone in condizioni orribili”.

Se si continua a diffondere questo senso di impunità che ha finora circondato le operazioni di intercettazione in mare operate da autorità statali nel Mediterraneo, incluse le unità di FRONTEX, non solo si perderanno altre centinaia di vite, ma sarà ancora sollecitata la deriva razzista e xenofoba che ormai è pronta ad “accogliere” i migranti anche quando riescono a sopravvivere alle barriere marine ed a completare la traversata. Come è successo nei giorni scorsi proprio a Lesvos. Una situazione vergognosa che annichilisce la vita di chi sbarca e cancella qualunque prospettiva di umanità e di legalità per tutta l’Unione Europea. Se questa può chiamarsi ancora Europa.

E’ importante infine, come osserva Amnesy International che l’Unione Europea si assuma finalmente le sue responsabilità senza insistere in politiche di esternalizzazione con paesi che non rispettano i diritti umani e che impongono poi i ricatti più convenienti per lucrare sulle persone che trattengono.

Amnesty International ha sollecitato le autorità di Atene a prendere tutte le misure possibili per proteggere le persone che arrivano in Grecia e le organizzazioni e le singole persone che si trovano sul posto per assisterle.

“La Grecia deve evitare di ricorrere alla forza eccessiva e assicurare che possano essere svolte le operazioni di ricerca e soccorso in mare. Le persone che chiedono asilo in Grecia dovrebbero essere aiutate, non trattate come criminali o come una minaccia per la sicurezza“. “Chiediamo agli stati membri dell’Unione europea di fare di più per condividere in modo equo le responsabilità per i richiedenti asilo che stanno arrivando in Turchia dalla Siria, sia fornendo il necessario sostegno economico sia predisponendo percorsi sicuri verso l’Europa. Infine, chiediamo alla Commissione europea di coordinare urgentemente il sostegno che potrebbe essere necessario a Grecia e Bulgaria al fine di assicurare che i richiedenti asilo abbiano accesso a un’accoglienza e a una procedura d’asilo adeguate“.

Associazione Diritti e Frontiere:
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