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    Categories: Editoriali

Un anno vissuto pericolosamente

di Domenico Gallo

Si chiude un anno vissuto pericolosamente che ci ha fatto sprofondare nell’abisso di linguaggi pubblici e sentimenti collettivi che noi ritenevamo per sempre superati dalla storia; che ha messo sotto tensione i meccanismi dello Stato di diritto avviando una stagione di legittimazione degli abusi del potere politico e di contestazione delle garanzie costituzionali; che ha restaurato per vie diverse la vergogna delle leggi razziali ed ha prefigurato la fuoriuscita dalla democrazia con la concessione dei “pieni poteri” ad un demiurgo politico che si è autoproposto.

Un anno che è iniziato con la messa in opera delle norme odiose del primo decreto sicurezza, convertito in legge nel dicembre del 2018 (L. 1/12/2018 n. 132), che hanno avuto l’effetto immediato di escludere dalle strutture di accoglienza migliaia di persone ed impedire ai richiedenti asilo di godere di quei diritti minimi che derivano dall’iscrizione nei registri anagrafici, accrescendo l’area della clandestinità e quindi dell’insicurezza dei cittadini. Ed è finito con l’applicazione dell’art. 23 della medesima legge grazie al quale sono state irrogate, pochi giorni fa, pesantissime sanzioni – fino a quattromila euro —ai lavoratori di Prato, colpevoli solamente di aver esercitato i propri diritti costituzionali allo sciopero, alla riunione ed alla libera manifestazione del pensiero.

Il voto del Senato che il 20 marzo ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro dell’Interno avanzata dal Tribunale dei Ministri di Catania per il reato di sequestro di persona con riferimento al divieto di sbarco per i 177 profughi lasciati a bordo della nave Diciotti nell’agosto del 2018 ha legittimato la pretesa del potere politico di svincolarsi dall’obbligo di rispettare i diritti inviolabili dell’uomo nei confronti di alcune categorie di persone, aprendo così la strada ad un ritorno di fatto del diritto della discriminazione. Questo voto ha consentito che nel luglio del 2019 si ripetesse con la nave Gregoretti della Guardia Costiera la stessa condotta che aveva caratterizzato la vicenda della nave Diciotti, posta in essere confidando nell’impunità garantita dalla maggioranza parlamentare. Del resto lo stesso disprezzo per i diritti inviolabili è stato celebrato con la pantomima della legittima difesa presunta per legge, scandita da scene di tripudio che hanno accolto l’approvazione alla Camera del relativo disegno di legge.

In coerenza con questa impostazione si è accentuata la guerra contro le reti di solidarietà. Ha scritto il Direttore dell’Avvenire: “Nel mirino ci sono tutti coloro che si occupano di poveri, bambini soli, disabili, carcerati, stranieri. Le mense e gli ostelli della Caritas e degli altri accoglienti diventano la «mangiatoia», le Case famiglia sono liquidate come «business», sul rilancio delle misure alternative al carcere e di recupero dei detenuti viene messa una pietra sopra, chi fa cooperazione sociale è denigrato come affarista e persino malavitoso, le organizzazioni umanitarie sono trattate da nemici del genere umano e dell’ordine pubblico.”

Ma il fondo si è raggiunto i1 14 giugno quando è stato emanato il c.d. decreto sicurezza bis (convertito con la L. 8/8/2019 n. 77) con il quale si mirava a porre definitivamente termine alle operazioni di salvataggio in mare effettuate dalle navi delle ONG, risolvendo il braccio di ferro effettuato con numerose condotte di ostracismo, non sempre andate a buon fine.

Fino alla crisi di ferragosto, nei 14 mesi di governo giallo-verde è stata compiuto la più straordinaria offensiva di diseducazione di massa, che sia stata mai messa in opera nel nostro paese dai tempi delle leggi razziali. In particolare Matteo Salvini, utilizzando il Viminale come cassa di risonanza per le proprie esibizioni truci, attraverso la comunicazione pubblica, attraverso condotte amministrative dettate via Tweet, imponendo con la fiducia al Parlamento provvedimenti normativi discriminatori e volti a legittimare politiche disumane, ha intossicato la società italiana, i corpi dello Stato, persino le scuole, diffondendo il veleno della discriminazione, del disprezzo dei diritti fondamentali di coloro che sono figli di un Dio minore, seminando la paura e l’odio per i diversi, logorando i legami sociali e fascistizzando il senso comune. Ha corrotto l’idea di giustizia avvicinandola sempre più all’idea di vendetta, ha incoraggiato la violenza privata, sdoganando persino l’omicidio, ed elaborando politiche di ordine pubblico fondate sulla repressione massima come strumento di governo della società e di esclusione di soggetti marginali all’insegna di un’antropologia razzista della diseguaglianza. Ha insegnato il disprezzo per le istituzioni di garanzia, organizzando una centuria di manganellatori mediatici che hanno aggredito e minacciato i magistrati ed i pubblici funzionari che hanno ripristinato il diritto a fronte degli abusi del potere politico.

Attraverso l’uso blasfemo di simboli religiosi, ha cercato di riesumare la cultura del clerico-fascismo, utilizzata a piene mani da Mussolini, come istrumentum regni e di cancellare nella cultura popolare il valore supremo della laicità dello Stato. Perseguendo una forsennata politica di discriminazione e di esclusione sociale nei confronti degli immigrati, ha avvelenato i pozzi della convivenza, creando fratture sociali foriere di disagi e di violenze future.

Quando tutto sembrava perduto si è verificato un fatto nuovo che ha mutato profondamente l’orizzonte politico del nostro paese. Il passo falso dettato dalla smodata ambizione di chi aspirava ai pieni poteri, ha comportato il rovesciamento del quadro politico e la nascita di un nuovo esecutivo che, malgrado tutti gli evidenti limiti di rissosità ed indecisione che stanno venendo fuori ogni giorno di più, ha introdotto una discontinuità significativa in ciò che, a nostro avviso è la cosa più importante: il linguaggio della politica. Presentando il suo Governo per il voto di fiducia, il 9 settembre, il Presidente del Consiglio ha dichiarato: “La lingua del Governo sarà una lingua mite, perché siamo consapevoli che la forza della nostra azione non si misurerà con l’arroganza delle nostre parole. (..) Faccio mie le parole pronunciate da Giuseppe Saragat nella seduta inaugurale dell’Assemblea Costituente: “Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano. Ricordatevi che la democrazia non è soltanto un rapporto fra maggioranza e minoranza, non è soltanto un armonico equilibrio di poteri sotto il presidio di quello sovrano della nazione, ma è soprattutto un problema di rapporti fra uomo e uomo. Dove questi rapporti sono umani, la democrazia esiste; dove sono inumani, essa non è che la maschera di una nuova tirannide”.

Lavoriamo dunque – ha proseguito Conte – per promuovere una democrazia autenticamente umana. In questa prospettiva il nostro Governo si richiamerà costantemente a un quadro consolidato di principi e valori (..). Sono principi che ritengo non negoziabili, perché universali. (..) Sono i principi iscritti nella nostra Costituzione e che (..) ho più volte richiamato sintetizzandoli con la formula riassuntiva “nuovo umanesimo”: il primato della persona, alla quale la Repubblica riconosce i diritti inviolabili e allo stesso tempo richiede l’adempimento di inderogabili doveri di solidarietà; il lavoro come supremo valore sociale, in quanto rende ogni uomo cittadino pleno iure in grado di concorrere insieme agli altri al progresso materiale e spirituale della società; l’uguaglianza, nelle sue varie declinazioni, formale, sostanziale; il principio di laicità e la tutela della libertà religiosa; il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti e la promozione della pace e della giustizia tra le nazioni. All’interno di questi valori, in questa cornice di riferimento costituzionalmente caratterizzata, si ascrive la nostra azione riformatrice.”

Questo cambio del paradigma ha determinato un clima nuovo nel nostro paese. Il fenomeno delle sardine, che ha avuto il suo debutto a Bologna il 10 novembre, sarebbe stato inimmaginabile fino al giorno prima. C’è un popolo che si è autoconvocato, che ha riempito le piazze per delegittimare quella narrazione politica che ha avvelenato la vita pubblica e per ridare nuova linfa e valore ai principi fondamentali della Costituzione, riconoscendo nuovamente nel lascito della Resistenza il fondamento della nostra vita come comunità politica di uomini e donne uniti nella fede in un destino umano.

Un anno iniziato e proseguito fino ad agosto sotto i peggiori auspici, finisce sotto il segno della speranza: è il miracolo dell’antifascismo.

(Editoriale di Domenico Gallo pubblicato in condivisione con Il Corriere dell’Irpinia)
Domenico Gallo: Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 è in servizio presso la Corte di Cassazione, attualmente ricopre le funzioni di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019)
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