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Libia, Di Maio tenta il tutto per tutto contro Francia e Turchia

Luigi Di Maio a Roma Ciampino di ritorno dalla Libia

Il ministro degli Esteri italiano del governo Conte bis ha incontrato in Libia il presidente del Governo di Accordo Nazionale (GNA) Fayez Al Serraj ed il leader dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) generale Khalifa Haftar. La visita del delegato italiano avviene prima del vertice di Berlino proposto dalla Germania di Angela Merkel per rimediare ai fallimenti di Roma, Parigi e Palermo, ma dopo che la Turchia ha ottenuto un accordo bilaterale estremamente vantaggioso ed alla Francia è stata data concessione per il giacimento di Waha. A fronte della frase di rito per i media, con il ministro Di Maio che ha perorato la causa della soluzione non militare in Libia, sul fronte bellico si annuncia un altro importante vertice che si terrà a gennaio a Mosca. Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ed il presidente russo Vladimir Putin discuteranno appunto dell’appoggio militare alla Libia già in corso da entrambe le parti.

L’Italia, che anche dopo la dipartita di Muammar Gheddafi aveva mantenuto una leadership in Libia continuamente insidiata dalla Francia, nel corso dei giochi nazionali di populismo in continua campagna elettorale si è vista sfilare dalle mani il suo primo partner energetico del Mediterraneo. Nella mal gestita “partita” neocolonialista, in cui tutti gli attori hanno giocato il doppio ruolo di pacificatori ed al contempo di artefici della scissione libica, gli interventi militari sono stati agevolati dalla cosiddetta “guerra civile” scivolata di mano a tutti. La Turchia si è subito schierata in supporto militare del presidente riconosciuto dalle Nazioni Unite, Fayez Al Serraj, cercando di rompere l’asse del Mediterraneo orientale costituito principalmente dall’Egitto di Al Sisi e dall’appoggio di Vladimir Putin alla riunificazione forzata di Khalifa Haftar. Al generale che guida il governo parallelo di Tobruk ha subito dato appoggio anche la Francia di Emmanuel Macron, aumentando la propria scommessa sul candidato vincitore quando l’Italia ha puntato tutto sul presidente di Tripoli per poi disinteressarsi degli eventi se non per la guerra ai migranti.

La Francia ha spuntato un ottimo accordo con Tripoli dopo aver sostenuto Tobruk in modo non ufficiale. Quando il coinvolgimento militare si era reso troppo impegnativo per l’Eliseo, la Francia ha spuntato un prezzo per arretrare con la concessione di Waha, il grosso giacimento petrolifero della Sirte che obbliga adesso Parigi a limitarsi alla protezione militare del proprio interesse energetico. Haftar non può firmare concessioni e Macron dovrà difendere Waha anche dalle forze del generale capo della Cirenaica. La concessione di sfruttamento è l’unica moneta che Serraj può spendere contro Haftar, e lo sta facendo con la Turchia e la Francia ma a discapito dell’Italia. Erdogan ha ottenuto un accordo, con il Memorandum Libia-Turchia, che gli consente di intervenire militarmente in mare e di sfruttare gli eventuali positivi esiti di trivellazioni che la Libia gli concede. Questo espediente “commerciale” in accordo con la capitale riconosciuta dalle Nazioni Unite gli permette quindi di estendere l’intervento militare “a protezione” del partner legittimamente riconosciuto contro il conquistatore Haftar.

Erdogan (in foto) non intende perdere nulla della sua manovra espansiva nel Mediterraneo. Soprattutto non intende farsi sfuggire questa opportunità in Libia, dove si è inserito grazie alle falle delle altre Nazioni che, fino ad oggi, nulla hanno fatto davvero per ottenere la riunificazione pacifica. Il gioco del divide et impera si è ritorto contro i sostenitori della guerra ed il presidente turco ne ha approfittato. La Russia non intende arretrare e l’Egitto avrebbe troppo da perdere nel caso in cui l’ingente investimento a sostegno di Haftar, e dell’alleanza filorussa nel Mediterranea orientale, andasse in fumo. Già adesso Al Sisi si trova ad avere Erdogan con navi militari davanti ed un Memorandum – non contestato dalle Nazioni Unite che ritengono valido già quello Libia-Italia e rigettato solo dai singoli Stati membri dell’Ue – che autorizza il pattugliamento turco ed eventuali interventi militari a difesa della legittima capitale Tripoli. E la Turchia è agguerrita al punto di minacciare la chiusura delle basi americane su suolo turco. La minaccia è stata lanciata da Erdogan nel corso del Forum mondiale sui rifugiati a Ginevra. Come riporta l’Ansa, riferendosi alle basi USA di Incirlik e Kurecik, il presidente della seconda potenza mondiale della Nato ha dichiarato ai giornalisti che “se serve, possiamo chiudere una o entrambe”. Questa la risposta all’annuncio del segretario di Stato USA che nei giorni precedenti aveva parlato di interventi per l’embargo sulle armi in Libia.

Al rientro in Italia, appena atterrato all’aeroporto di Roma Ciampino dopo la visita in Libia, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha fatto il suo trionfale annuncio sull’esito del vertice: “Abbiamo deciso insieme durante il vertice di governo che l’Italia istituirà un inviato speciale per la Libia che risponderà direttamente alla Farnesina per poter avere un rapporto di alto livello politico continuo, intenso, con tutte le parti libiche. Una giornata intensa per il ministro italiano e non priva di pericoli. Atterrato a Misurata, Di Maio si è spostato a Tripoli, a Bengasi ed anche a Tobruk. Il risultato è stato quello annunciato: un inviato speciale, come il Ghassan Salamè delle Nazioni Unite, ma esclusivo dell’Italia e che la Farnesina dovrà ancora nominare. Moderatamente positiva l’ammissione del ministro pentastellato: “L’Italia ha indubbiamente perso terreno il Libia, ma è il momento che recuperi il suo ruolo naturale”. In un breve punto stampa sulla pista dell’aeroporto, Di Maio ha anticipato l’intenzioni di sentire i colleghi europei di alcuni Paesi per lanciare un intervento diplomatico dell’Unione in Libia. Perchè la strategia sia efficace però deve attuarsi un cessate il fuoco, Haftar deve arretrare, la milizia di Misurata deve constatare il ritiro delle truppe di Bengasi, la turchia deve mollare l’osso che tiene stretto tra i denti e la Russia e l’Egitto devono accettare che la riunificazione ad opera del generale della Cirenaica è fallita dopo una guerra durata mesi.

Redazione:
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