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Caso Sea Watch 3, perchè il Governo italiano ha perso

La Sea Watch 3 nel porto di Catania

di Fulvio Vassallo Paleologo

La Sea Watch da Siracusa a Catania per lo sbarco dei migranti: Ordine del Viminale determinato dalla presenza di centri ministeriali per l’accoglienza di minori.

Le misure provvisorie adottate dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo che, sul ricorso dei legali del comandante e del capo missione della Sea Watch 3, hanno imposto al governo italiano interventi di assistenza, anche legale, senza però ordinare lo sbarco a terra, sono state utilizzate per giustificare il protrarsi della situazione di trattenimento illegittimo di 47 persone, tra cui molti minori, a bordo della nave ancorata da oltre 96 ore nella rada di Augusta, di fronte al porto industriale. Anche dopo il prossimo sbarco dei migranti queste violazioni rimangono documentate e si potrebbe anche aprire un ennesimo caso giudiziario.

Una imponente macchina mediatica si è messa in moto, anche attraverso alcuni canali televisivi che hanno amplificato il consenso di cui godrebbe il governo, per dimostrare che la trattativa con l’Unione Europea, ed i risultati annunciati dal primo ministro Conte, dopo il vertice di Cipro, con la disponibilità offerta da alcuni paesi che accoglierebbero i naufraghi intrappolati a bordo della Sea Watch, sarebbero frutto del rifiuto da parte del Ministero dell’interno nella indicazione doverosa di un porto sicuro di sbarco. Un cumulo di menzogne che il governo sta utilizzando per confondere l’opinione pubblica.

Il problema sbarchi è europeo e non si risolve con i ricatti del governo italiano. Dietro la difesa di Salvini è in corso l’attacco finale per criminalizzare la solidarietà in mare, dopo che tutti i governi hanno fallito sulle politiche di allontanamento forzato e di esternalizzazione, che si sarebbero dovute garantire sulla base di accordi con i paesi terzi. Per nascondere questi fallimenti devono attaccare le Ong. È la logica del capro espiatorio. E valutazione delle persone migranti come cose, pezzi numerati, rifiuti da smaltire in mare. Dietro la definizione di “clandestino”, impropriamente attribuita a tutti i migranti sbarcati negli ultimi anni dalla Libia, ed adesso anche ai naufraghi soccorsi dalle ultime ONG rimaste operative, ritorna una considerazione della persona umana come oggetto e non soggetto di diritto. Ma i consensi dati dai sondaggi sembrano premiare questa concezione “differenziale” della persona, la stessa che nel secolo scorso ha portato agli orrori del nazifascismo.

In realtà il governo è andato incontro ad una serie di sconfitte, sul piano interno ed a livello internazionale, con conseguenze che ricadranno pesantemente sui futuri rapporti con l’Unione Europea e sulla coesione interna, sia sociale che politica, di un paese che appare sempre più diviso. Come emerge dalla procedura che è stata avviata presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, CEDU, è stato sconfitto il tentativo di sottrarre i naufraghi della Diciotti a qualunque giurisdizione, dietro il rifiuto assoluto di sbarco e l’uso abusivo del termine “clandestino”. I minori non accompagnati, ma anche gli adulti presenti a bordo della nave sono persone che sono destinatarie di norme dettate da leggi nazionali e da Regolamenti europei, se non da Convenzioni internazionali direttamente vincolanti e dunque soggette alla giurisdizione italiana ed internazionale. Non si possono violare queste norme adducendo la natura politica degli atti o delle omissioni ed invocando la solidarietà dei partiti di maggioranza.

Il governo italiano ha spacciato la procedura a Strasburgo come una iniziativa per dimostrare che la competenza esclusiva nel ricevere le persone sbarcate dalla Sea Watch fosse del governo olandese, linea difensiva che è stata sconfitta, nel senso che la Corte europea, nei limiti della sua decisione interinale, non ha accolto quanto proposto da Palazzo Chigi. Si è cercato di accreditare l’idea che fosse stato il governo ad adire la Corte di Strasburgo per ottenere il riconoscimento della giurisdizione dell’Olanda sui migranti a bordo della Sea Watch, quando invece era proprio lo stesso governo italiano che era stato chiamato in causa dal comandante e dal capomissione della nave, davanti ai giudici europei, per chiedere misure urgenti contro la chiusura dei porti e le tante omissioni di atti dovuti, anche con riferimento a numerosi minori stranieri non accompagnati.

Con questa premessa, occorre ricordare che quanto deciso dalla Corte Europea sulla richiesta di misure urgenti non pregiudica alcun profilo del successivo processo che approfondirà le violazioni lamentate dai ricorrenti. Occorre anche ricordare che la Corte non adotta le sue decisioni sulla base del diritto interno, ma si esprime sulla base delle violazioni che vengono dedotte in giudizio con riferimento alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.

Le decisioni della Corte di Strasburgo dunque, soprattutto se adottate in sede di procedure di urgenza, con una cognizione estremamente rapida, non possono conferire in alcun modo legittimità a prassi interne che comunque possono risultare in violazione del diritto internazionale, dei Regolamenti dell’Unione Europea, o delle norme rilevanti a livello interno, sul piano amministrativo, civile e penale.

Se si considera il caso dei 47 migranti a bordo della nave Sea Watch 3 e sicuramente sottoposti alla giurisdizione italiana, anche se la nave batte bandiera olandese, occorre riassumere le fonti normative alle quali risalire per stabilire le diverse responsabilità imputabili – a vari livelli – al governo italiano, a singoli ministri o a rappresentanti istituzionali.

Si deve ricordare innanzitutto la Convenzione di Ginevra, che impone agli stati di ricevere le richieste di protezione delle persone comunque presenti in frontiera o nel territorio nazionale, o altrimenti sottoposte alla giurisdizione nazionale, stabilendo anche il principio di non respingimento (art.33). La Convenzione ONU sui diritti del fanciullo fissa in 18 anni il limite di raggiungimento della maggiore età, e stabilisce che ogni provvedimento amministrativo debba essere preso “nel superiore interesse del minore”.

Le Convenzioni internazionali di diritto del mare stabiliscono che il paese che comunque ha assunto la responsabilità di coordinamento delle attività di soccorso, come indubbiamente si è verificato da quando si è autorizzato l’ingresso della Sea Watch in acque territoriali italiane, ha l’obbligo di garantire un luogo di sbarco sicuro che va indicato nel tempo più breve possibile.

Nessuna norma internazionale consente che queste disposizioni possano essere violate con il pretesto di forzare una trattativa con gli stati europei per una distribuzione delle persone in diversi paesi, possibilità che peraltro si può ammettere soltanto per i richiedenti asilo, e non per coloro che in ipotesi non presentino una richiesta di asilo, e possano dunque essere destinatari, dopo lo sbarco, di un provvedimento di respingimento o di espulsione. Quando era possibile modificare le norme del regolamento Dublino III in sede di Parlamento europeo le attuali forze di governo in Italia non hanno partecipato o si sono espresse contro.

Per effetto degli articoli 10 e 117 della Costituzione queste norme internazionali sono direttamente vincolanti nel nostro ordinamento, e la loro attuazione deve essere garantita dalla magistratura nazionale, nelle sue diverse articolazioni. Le dichiarazioni e le prassi del governo italiano nei diversi casi dello sbarco di naufraghi soccorsi da imbarcazioni di organizzazioni non governative, a partire dal mese di giugno dello scorso anno (caso Aquarius) hanno costantemente violato queste disposizioni.

Oltre alle gravi offese alla dignità delle persone coinvolte, ed alle violazioni di legge rilevanti sul piano interno, si è compromesso un quadro di rapporti internazionali che non sarà facile ricostituire con la logica del ricatto sulla pelle dei naufraghi utilizzata dal ministero dell’interno, adesso con l’avallo dell’intero governo. Sono anche da considerare costi esorbitanti derivanti dall’uso improprio delle navi dello stato per scortare, sorvegliare, allontanare, le imbarcazioni delle ONG con il loro carico di naufraghi. Comunque si svolgano le operazioni di sbarco comunicate dal Presidente del Consiglio le gravi violazioni commesse dai singoli ministri e da alti funzionari di stato rimangono comunque ben documentate e saranno portate all’attenzione della magistratura. Rimane anche la responsabilità politica del governo, ben distinta da quella penale, civile ed amministrativa dei singoli ministri. E rimane la verifica in corso da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, per accertare se il ricatto giocato sulla pelle di persone indifese, di naufraghi soccorsi in alto mare, tra cui molti minori, sia compatibile con i principi affermati dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Un metodo di gestire i rapporti internazionali che la comunità degli stati dell’Unione Europea e le agenzie delle Nazioni Unite non potranno certo accettare.

Principali profili informativi

1. Le navi battenti bandiera di un altro Stato hanno comunque il diritto di “passaggio inoffensivo” nelle acque territoriali italiane, ovvero il diritto di entrare e transitare in tali acque senza costituire pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato (Convenzione UNCLOS, art. 17); a tale proposito, a livello interno, l’art. 83 del Codice della Navigazione stabilisce che “il Ministro dei trasporti e della navigazione può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”.

Il 29 giugno 2018 il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha dichiarato in un comunicato che “In ragione della nota formale che mi giunge dal Ministero dell’Interno e che adduce motivi di ordine pubblico, dispongo il divieto di attracco nei porti italiani per la nave Ong Astral, in piena ottemperanza dell’articolo 83 del Codice della Navigazione”

Il 30 giugno 2018, in un’intervista al Corriere della Sera, il ministro dell’Interno, sen. Matteo Salvini, affermava: “abbiamo chiuso per gli attracchi di queste navi (delle Ong, ndr) anche quando non portano migranti. Le navi straniere finanziate in maniera occulta da potenze straniere in Italia non toccheranno più terra”. Come se i doveri di soccorso ed il rispetto delle Convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia si legassero alla provenienza dei finanziamenti ricevuti dalle ONG, certamente più tracciabili da quelli ricevuti in passato dalla Lega.

Come ha rilevato De Sena, Professore ordinario di Diritto internazionale, per quanto possa in astratto succedere che uno stato competente per il coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio in mare rifiuti di indicare un porto sicuro di sbarco, che non è necessariamente il porto più vicino, «la chiusura dei porti italiani implicherebbe necessariamente una serie di conseguenze sul piano del rispetto di norme internazionali sui diritti umani e sulla protezione dei rifugiati. Vari elementi permettono infatti di considerare che l’Italia eserciterebbe, de jure e de facto, sulle imbarcazioni in parola, poteri idonei ad incidere sul godimento effettivo di diritti elementari da parte di coloro che si trovino a bordo. In altri termini, questi ultimi, pur tenuti fuori dai porti italiani, non mancherebbero di rientrare nella giurisdizione italiana, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretato nella giurisprudenza rilevante”.

La Convenzione di Palermo contro il crimine transnazionale ed i due Protocolli allegati, contro la tratta e contro il traffico di esseri umani, che pure prevedono accordi con i paesi di origine e transito dei migranti, antepongono la salvaguardia della vita umana in mare alla lotta contro quella che si definisce immigrazione “illegale”. In base all’art. 7 del Protocollo contro il traffico (Cooperazione) “Gli Stati Parte cooperano nella maniera più ampia per prevenire e reprimere il traffico di migranti via mare, ai sensi del diritto internazionale del mare”. Secondo l’art. 9 dello stesso Protocollo “Qualsiasi misura presa, adottata o applicata conformemente al presente capitolo tiene debitamente conto della necessità di non ostacolare o modificare: a) i diritti e gli obblighi degli Stati costieri e l’esercizio della loro giurisdizione, ai sensi del diritto internazionale del mare.

Particolarmente importante l’art. 16 del Protocollo che prevede Misure di tutela e di assistenza: Nell’applicazione del presente Protocollo, ogni Stato Parte prende, compatibilmente con i suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale, misure adeguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo, come riconosciuti ai sensi del diritto internazionale applicabile, in particolare il diritto alla vita e il diritto a non essere sottoposto a tortura o altri trattamenti o pene inumani o degradanti. Ogni Stato Parte prende le misure opportune per fornire ai migranti un’adeguata tutela contro la violenza che può essere loro inflitta, sia da singoli individui che da gruppi, in quanto oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo. Ogni Stato Parte fornisce un’assistenza adeguata ai migranti la cui vita, o incolumità, è in pericolo dal fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all’articolo 6 del presente Protocollo. Nell’applicare le disposizioni del presente articolo, gli Stati Parte prendono in considerazione le particolari esigenze delle donne e dei bambini.

Un ulteriore clausola di salvaguardia si ritrova all’art.19 del Protocollo addizionale contro il traffico: Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e individui ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabile, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo Status di Rifugiati e il principio di non allontanamento”.

2. La competenza nelle attività SAR o la individuazione del place of safety non possono derogare i principi fondamentali affermati in favore dei rifugiati ai quali sono parificati i richiedenti asilo.

In base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati (art.33), “nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche. Il beneficio di detta disposizione non potrà tuttavia essere invocato da un rifugiato per il quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale, essendo stato oggetto di una condanna già passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunità di detto Stato”.

Secondo l’UNHCR, in mare non è possibile una valutazione formale dello status di rifugiato o di richiedente asilo (in virtù del Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di migranti; Reg. EU 2014/656 per le operazioni Frontex; d.lgs 286/’98 – T.U. immigrazione e discendente DM 14 luglio 2003; ecc.). Tutte le imbarcazioni coinvolte in operazioni SAR hanno come priorità il soccorso e il trasporto in un “luogo sicuro” dei migranti raccolti in mare e le azioni di soccorso prescindono dallo status giuridico delle persone. Il rifiuto, aprioristico e indistinto, di far approdare la nave in porto comporta l’impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone a bordo, e viola il divieto di espulsioni collettive previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 4 alla CEDU.

Se è vero che in base all’art. 25 della Convenzione UNCLOS lo stato può comunque impedire l’ingresso nei propri porti ad una nave sospettata di trasportare migranti irregolari, è altrettanto da considerare che se uno Stato respinge una imbarcazione carica di naufraghi soccorsi in acque internazionali, senza controllare se a bordo vi siano dei richiedenti asilo o soggetti non respingibili, o altrimenti inespellibili, come donne abusate e/o in stato di gravidanza e minori, e senza esaminare se essi possiedano i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, commette una violazione del principio di non respingimento sancito dall’art. 33 par. 1 della Convenzione del 1951 se i territori (Stati terzi o alto mare) verso cui la nave è respinta non offrono garanzie sufficienti per l’incolumità dei migranti. L’articolo 10 del Testo Unico sull’immigrazione 256/98 prevede ancora espressamente la possibilità di applicare il respingimento differito (comma 2) alle persone straniere che sono state “temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso”. Dunque anche l’ordinamento interno prevede che in caso di eventi di ricerca e soccorso in mare non si possa procedere ad operazioni di respingimento che peraltro assumerebbero il carattere di respingimenti collettivi, vietati dall’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

In una relazione tenuta nel maggio del 2017 dal Contrammiraglio Nicola Carlone davanti alla Commissione parlamentare sull’attuazione degli accordi di Schengen, si ricorda, in base alle Regulations adottate all’IMO (Organizzazione marittima internazionale facete capo alle Nazioni Unite), “l’obbligo, per lo Stato cui appartiene lo MRCC che per primo abbia ricevuto la notizia dell’evento o che comunque abbia assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso, di individuare sul proprio territorio un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse, qualora non vi sia la possibilità di raggiungere un accordo con uno Stato il cui territorio fosse eventualmente più prossimo alla zona dell’evento”. Si aggiunge poi che “Anche la Tunisia, pur avendo ratificato la Convenzione SAR del 1979, non ha finora dichiarato una propria Area di responsabilità SAR marittima. Ciò a causa di un contenzioso con Malta (analogo a quello tra quest’ultima e l’Italia), la cui area SAR marittima (in quanto fatta coincidere con la FIR20, area di controllo dello spazio aereo) si sovrappone in parte alle acque territoriali tunisine. L’IMRCC, comunque, ha sempre informato anche le Autorità tunisine e più precisamente il Centro operativo della Marina militare tunisina, di tutti gli eventi SAR in cui dette Autorità avrebbero potuto intervenire ed anche assumere il coordinamento delle operazioni, ma le stesse non lo hanno mai fatto. Anche nei casi in cui IMRCC ha chiesto formalmente alle Autorità tunisine di autorizzare quantomeno lo sbarco in un proprio porto per un sopravvenuto stato di necessità non hanno dato il loro consenso”. La normativa SAR internazionale (in particolare la Ris. MSC 167(78) del 2004) prevede che tutte le questioni che non riguardino il SAR in senso stretto, quali quelle relative allo status giuridico delle persone soccorse, alla presenza o meno dei prescritti requisiti per il loro ingresso legittimo nel territorio dello Stato costiero interessato o per acquisire il diritto alla protezione internazionale, ecc, devono di norma essere affrontate e risolte solo a seguito dello sbarco nel luogo sicuro di sbarco (POS) e non devono comunque causare indebiti ritardi allo sbarco delle persone soccorse od alla liberazione della nave soccorritrice dall’onere assunto.

Le Procedure operative standard previste dopo lo sbarco in porto a seguito di azioni di salvataggio (SAR) non sono state mai recepite integralmente in un provvedimento di legge, ma vengono richiamate dall’art. 10 ter del T.U. n.286 del 1998 come modificato nel 2017.  Secondo questa norma “Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito. 2. Le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico sono eseguite, in adempimento degli obblighi di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, anche nei confronti degli stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale. 3. Il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2 configura rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all’articolo 14. Il trattenimento è disposto caso per caso, con provvedimento del questore, e conserva la sua efficacia per una durata massima di trenta giorni dalla sua adozione, salvo che non cessino prima le esigenze per le quali è stato disposto. Si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 14, commi 2, 3 e 4. Se il trattenimento è disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, è competente alla convalida il Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. 4. L’interessato è informato delle conseguenze del rifiuto di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2.”

Se si intendeva adottare una diversa procedura operativa per impedire lo sbarco dei migranti fino ad una decisione dell’Unione europea favorevole alle richieste del governo, in difformità al passato, si sarebbe dovuta adottare almeno una circolare ed adottare un provvedimento formale coerente con gli indirizzi impartiti dall’Unione Europea e con gli obblighi di soccorso in mare sanciti da Convenzioni internazionali che l’Italia ha ratificato, e che dunque non sono derogabili per effetto di un ordine verbale.

3. Nei confronti dei minori trattenuti per giorni a bordo della Sea Watch, sottoposta ad una stretta sorveglianza di polizia con due motovedette della Guardia di Finanza che ne limitano i movimenti, sono state violate norme derivanti dai Regolamenti europei e dalla normativa interna.

La Procura dei minori di Catania aveva chiesto lo sbarco immediato dei minori non accompagnati a bordo della nave Sea Watch, già venerdì 26 gennaio quando si trovava a mezzo miglio dalla costa di Siracusa, aprendo un fascicolo contro ignoti per accertare in quanti fossero a bordo. Per il procuratore dei minori di Catania Caterina Ajello, lasciare i ragazzini stranieri non accompagnati a bordo della nave è una “grave violazione dei loro diritti”, come ha scritto in una lettera ai ministri dell’Interno e delle infrastrutture e trasporti, rispettivamente il vicepremier Matteo Salvini e Danilo Toninelli, ma anche al presidente del tribunale per i minorenni di Catania, al procuratore generale di Catania e al prefetto di Siracusa. I minori – fa notare il magistrato – sono tutelati da norme che “impongono il divieto di respingimento e di espulsione, riconoscendo invece il diritto ad esser accolti in strutture idonee, ad avere nominato un tutore, ad essere accolti e ad avere un permesso di soggiorno”. Diritti che, sottolinea la procuratrice Ajello, “vengono elusi a causa della permanenza a bordo della nave” .

Viene in sostanza violata in diversi punti la legge n.47 del 2017 (legge Zampa). Sulla questione dei minori è intervenuto anche il Garante per l’infanzia di Palermo, Pasquale D’Andrea: “Lasciare i ragazzini in mare è un’aberrazione, una punizione disumana. In ogni caso se i minori si trovano in acque territoriali italiane vanno fatti scendere. Non ci sono alternative. Lo prevede la legge e ogni disposizione contraria è una violazione delle norme. La legge 176 del 1991, che è la ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo, parla chiaro: i ragazzi vanno protetti e il ministro non può dire ‘hanno 17 anni e sei mesi’ perché in base a quanto previsto dalla Convenzione i bambini sono tali da 0 a 18 anni”, ha detto all’AdnKronos. Viene anche violata la normativa in tema di minori dettata dal Regolamento Dublino del 2013 e dalle Direttive europee in materia di protezione internazionale.

In base al Regolamento Dublino III, (art.6), “Garanzie per i minori”

1.   L’interesse superiore del minore deve costituire un criterio fondamentale nell’attuazione, da parte degli Stati membri, di tutte le procedure previste dal presente regolamento.

2.   Gli Stati membri provvedono affinché un rappresentante rappresenti e/o assista un minore non accompagnato in tutte le procedure previste dal presente regolamento. Il rappresentante possiede le qualifiche e le competenze necessarie ad assicurare che durante le procedure svolte ai sensi del presente regolamento sia tenuto in considerazione l’interesse superiore del minore. Tale rappresentante ha accesso al contenuto dei documenti pertinenti della pratica del richiedente, compreso l’apposito opuscolo per i minori non accompagnati.

Il presente paragrafo lascia impregiudicate le pertinenti disposizioni dell’articolo 25 della direttiva 2013/32/UE.

3.   Nel valutare l’interesse superiore del minore, gli Stati membri cooperano strettamente tra loro e tengono debito conto, in particolare, dei seguenti fattori:

a)            le possibilità di ricongiungimento familiare;

b)           il benessere e lo sviluppo sociale del minore;

c)            le considerazioni di sicurezza, in particolare se sussiste un rischio che il minore sia vittima della tratta di esseri umani;

d)           l’opinione del minore, secondo la sua età e maturità.

4.   Ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, lo Stato membro in cui il minore non accompagnato ha presentato una domanda di protezione internazionale adotta il prima possibile opportune disposizioni per identificare i familiari, i fratelli o i parenti del minore non accompagnato nel territorio degli Stati membri, sempre tutelando l’interesse superiore del minore.

A tal fine, detto Stato membro può chiedere l’assistenza di organizzazioni internazionali o altre organizzazioni pertinenti e può agevolare l’accesso del minore agli uffici che svolgono attività identificative presso dette organizzazioni.

Il personale delle autorità competenti di cui all’articolo 35 che tratta domande relative a minori non accompagnati ha ricevuto e continua a ricevere una specifica formazione in merito alle particolari esigenze dei minori.

5.   Al fine di facilitare l’azione appropriata per l’identificazione dei familiari, fratelli o parenti del minore non accompagnato che soggiornano nel territorio di un altro Stato membro ai sensi del paragrafo 4 del presente articolo, la Commissione adotta atti di esecuzione compreso un formulario uniforme per lo scambio di informazioni pertinenti tra Stati membri. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura di esame di cui all’articolo 44, paragrafo 2.

In base alla legge 47 del 2017 (Legge Zampa), “«Art. 19-bis (Identificazione dei minori stranieri non accompagnati). – 1. Nel momento in cui il minore straniero non accompagnato è entrato in contatto o è stato segnalato alle autorità di polizia, ai servizi sociali o ad altri rappresentanti dell’ente locale o all’autorità giudiziaria, il personale qualificato della struttura di prima accoglienza svolge, sotto la direzione dei servizi dell’ente locale competente e coadiuvato, ove possibile, da organizzazioni, enti o associazioni con comprovata e specifica esperienza nella tutela dei minori, un colloquio con il minore, volto ad approfondire la sua storia personale e familiare e a far emergere ogni altro elemento utile alla sua protezione, secondo la procedura stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Al colloquio è garantita la presenza di un mediatore culturale. 2. Nei casi di dubbi fondati relativi all’età dichiarata dal minore si applicano le disposizioni dei commi 3 e seguenti. In ogni caso, nelle more dell’esito delle procedure di identificazione, l’accoglienza del minore è garantita dalle apposite strutture di prima accoglienza per minori previste dalla legge; si applicano, ove ne ricorrano i presupposti, le disposizioni dell’articolo 4 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24. 3. L’identità di un minore straniero non accompagnato è accertata dalle autorità di pubblica sicurezza, coadiuvate da mediatori culturali, alla presenza del tutore o del tutore provvisorio se già nominato, solo dopo che è stata garantita allo stesso minore un’immediata assistenza umanitaria. Qualora sussista un dubbio circa l’età dichiarata, questa è accertata in via principale attraverso un documento anagrafico, anche avvalendosi della collaborazione delle autorità diplomatico-consolari. L’intervento della rappresentanza diplomatico-consolare non deve essere richiesto nei casi in cui il presunto minore abbia espresso la volontà di chiedere protezione internazionale ovvero quando una possibile esigenza di protezione internazionale emerga a seguito del colloquio previsto dal comma 1. Tale intervento non è altresì esperibile qualora da esso possano derivare pericoli di persecuzione e nei casi in cui il minore dichiari di non volersi avvalere dell’intervento dell’autorità diplomatico-consolare. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Ministero dell’interno promuovono le opportune iniziative, d’intesa con gli Stati interessati, al fine di accelerare il compimento degli accertamenti di cui al presente comma. 4. Qualora permangano dubbi fondati in merito all’età dichiarata da un minore straniero non accompagnato, la Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni può disporre esami socio-sanitari volti all’accertamento della stessa. L’accertamento socio-sanitario dell’età deve essere svolto in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare da professionisti adeguatamente formati e, ove necessario, in presenza di un mediatore culturale, utilizzando modalità meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta, del sesso e dell’integrità fisica e psichica della persona. Non devono essere eseguiti esami socio-sanitari che possano compromettere lo stato psico-fisico della persona. Le prassi adottate dalle autorità italiane nei confronti dei minori non acompagnati presenti a bordo della nave Sea Watch 3 hanno violato questi passaggi procedurali imposti dalla legge nei confronti di tutti i minori non accompagnati che si trovino sottoposti alla giurisdizione italiana, come si trovavano sottoposti alla giurisdizione italiana i minori rimasti per sei giorni a bordo della nave all’ormeggio nella rada di Augusta, in base a quanto è stato accertato anche dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Il tentativo del governo italiano di sottrarsi alla giurisdizione della Corte è fallito.

Associazione Italiana dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia

Aderente alla “Association Internationale des Magistrats de la Jeunesse et de la Famille”

Comunicato stampa sui minori presenti a bordo della nave Sea Watch

La nave Sea Watch 3 con bordo 47 persone straniere – soccorse dinanzi alle coste libiche – dopo giorni di viaggio, a causa del maltempo e concreto rischio per l’incolumità dei passeggeri, si trova da qualche giorno al largo di Siracusa

Sulla nave, ora in acque territoriali italiane, tra i soggetti maggiormente vulnerabili, vi sono 8 minori soli e 5 minori accompagnati da adulti di riferimento.Il rispetto della legge e delle regole vigenti in Italia, in osservanza degli obblighi internazionali, dell’attuazione delle direttive europee in materia di accoglienza, della disciplina specifica per la tutela e protezione delle persone straniere di età minore che si trovano in territorio italiano, in applicazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, prevede il divieto di respingimento, il divieto di espulsione, il diritto ad essere identificati ed essere informati sui loro diritti il diritto alla presunzione della minore età fino all’esito dell’accertamento il diritto all’accoglienza secondo la normativa attuativa delle direttive 2033-2032/2013 UE prevista dal decreto legislativo n. 142/2015, da eseguirsi, come specificato anche nella recente circolare del Ministero dell’Interno del 3-1-2019 nel SIPROIMI (sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati) diritto alla nomina del tutore, diritto all’ascolto diritto al ricongiungimento familiare, diritto all’affidamento familiare, diritto all’inclusione sociale , anche se prossime alla maggiore età, ai sensi dell’art.13 della legge 47 del 2017

L’AIMMF ricorda che per la condizione di vulnerabilità delle persone minorenni straniere l’applicazione della legge deve essere garantita senza ritardo nel momento di arrivo alla frontiera per non prolungarne la sofferenza e il trauma patito.

L’AIMMF chiede la dovuta immediata identificazione dei minori al fine di consentire alla Procura della Repubblica Minorile competente di richiedere al Tribunale per i minorenni i provvedimenti in tutela dei minori che si trovano in questa gravissima condizione.

L’AIMMF precisa che l’intervento urgente di accoglienza e di protezione è questione diversa dall’individuazione del luogo stabile di permanenza dei migranti minorenni e che, a questo proposito, già nel recente passato, sono stati efficaci i progetti di “ricollocamento” presso gli Stati membri dell’UE, che rispondono, peraltro, alla progettualità e al sogno di molti dei minori soli.

L’AIMMF, quindi, pur ritenendo non più procrastinabile il rispetto della legge per i minori stranieri presenti in Italia sulla nave Sea Watch per le misure urgenti di accoglienza, di salvaguardia e tutela richiama anche l’applicazione dell’art. 80 del TFUE e le politiche dell’UE ispirate al principio di solidarietà e di mutua collaborazione.

L’AIMMF si impegna, per la tutela e accoglienza dei minori stranieri soli e in condizione di vulnerabilità, a proporre all’Association Internationale des Magistrats de la jeunesse et de la Famille un’azione congiunta di sensibilizzazione e di confronto nella speranza, quanto meno, di una attenuazione dei processi in atto di rifiuto e opposizione a soluzioni costruttive e di rispetto dei diritti dell’Umanità.I

Il Segretario generale Susanna Galli Maria

Il Presidente Maria Francesca Pricoco

La Corte europea riconosce la responsabilità dell’Italia e impone misure urgenti. Ora sbarco immediato e accoglienza

(Mercoledì 30 gennaio 2019)

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha compiuto ieri un primo passo per la tutela delle 47 persone soccorse dalla Sea Watch 3 e ancora a bordo della nave. La Corte ha riconosciuto infatti l’Italia come Stato responsabile, obbligando il governo italiano ad assicurare la tutela legale per i 15 minori e ad adottare misure che garantiscano assistenza e cure mediche. Queste importanti misure interinali sono comunque da considerarsi transitorie, perché poste “fino a nuovo avviso”, e il governo italiano è chiamato a fornire costantemente informazioni sulle condizioni a bordo. La vicenda è quindi aperta, oltre che sul piano politico, anche su quello legale. Si tratta di un risultato di estrema importanza, ma le persone salvate restano ancora prigioniere nonostante la grave precarietà delle loro condizioni, a causa dell’ostilità del governo italiano che, illegittimamente, costruisce rapporti di forza sui loro corpi impedendone l’ingresso in Italia.

L’obiettivo rimane lo sbarco e l’accoglienza di tutte le persone a bordo della Sea Watch. È una battaglia giuridica e politica per i diritti, la libertà e la dignità di chi è ancora ostaggio in mare, una battaglia che continueremo a portare avanti con determinazione, a partire dalla stessa decisione della Corte, che non chiude ad ulteriori sviluppi e domande, ma rimane attenta a quanto sta accadendo.

Vigileremo, nei prossimi giorni, sul rispetto delle misure ordinate, il cui inadempimento non potrebbe che comportare una nuova pronuncia della Corte, alla quale torneremo a rivolgerci qualora non si raggiungesse una vera soluzione per le 47 persone a bordo della Sea Watch.

Il team legale di Mediterranea

LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO ORDINA ALL’ITALIA DI NOMINARE UN TUTORE PER I MINORI NON ACCOMPAGNATI: QUESTA MISURA IMPLICA NECESSARIAMENTE IL LORO IMMEDIATO SBARCO


La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha adottato ieri una decisione congiunta riguardo a due ricorsi d’urgenza, il primo presentato dal capitano della Sea-Watch 3 e dai migranti adulti, il secondo presentato dai 15 minori non accompagnati a bordo della nave, con il supporto anche di INTERSOS. Con riferimento ai minori, la Corte ordina al Governo italiano di fornire un’assistenza giuridica adeguata e in particolare di assicurare la nomina di un tutore. Secondo la legge italiana, il giudice deve sentire il minore prima di procedere alla nomina del tutore (Codice civile, art. 348) e il tutore nominato deve incontrare il minore, per informarlo dei suoi diritti ed ascoltare i suoi bisogni, il che è evidentemente impedito fino a quando i minori resteranno trattenuti sulla nave e non sarà consentito a nessuno salire a bordo.

Contestualmente alla nomina del tutore, il Tribunale per i minorenni è inoltre chiamato a ratificare le misure di accoglienza predisposte, disponendo l’affidamento del minore non accompagnato ai servizi sociali e il collocamento in un centro di accoglienza per minori. Dunque, la Corte non impone direttamente lo sbarco dei minori, ma ordina l’adozione delle misure previste dalla normativa italiana che devono essere eseguite necessariamente garantendo l’immediato sbarco dei minori dalla Sea Watch 3.

Inoltre, la Corte ordina che siano adottare tutte le misure necessarie al fine di garantire ai ricorrenti adeguate cure mediche. Considerate le condizioni di grave vulnerabilità e disagio psico-fisico delle persone a bordo della Sea-Watch 3, e in particolare dei minori, in conseguenza delle violenze e torture subite in Libia, dei traumi connessi al naufragio e della prolungata permanenza forzata sulla nave, in condizioni di sovraffollamento e promiscuità, è evidente come non possano essere garantite adeguate cure mediche sulla nave.

Con questa decisione, la CEDU riconosce che la Sea-Watch 3 è sottoposta alla giurisdizione italiana e che l’Italia ha dei precisi obblighi di tutela dei diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo nei confronti dei migranti a bordo: la tesi sostenuta dal Governo italiano secondo cui la Sea-Watch 3 sarebbe sotto la giurisdizione esclusiva dell’Olanda, in quanto la nave batte bandiera olandese, viene dunque totalmente rigettata dalla Corte di Strasburgo.

Elena Rozzi

INTERSOS

Advocacy Officer – Migration Unit

Articolo redatto dal Professor Fulvio Vassallo Paleologo per l’Associazione Diritti e Frontiere

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