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Sette bare e una preghiera a terra, la fine di sette donne senza nome

di Mauro Seminara

Il camion è sempre lo stesso che, quando a Lampedusa si raccolgono corpi in mare, viene usato per caricare e trasportare le bare dal magazzino usato come camera mortuaria al cimitero dell’isola fino alla banchina del porto di Porto Empedocle. Un camion con la cabina rossa e la cella frigorifera bianca. Non farà piacere sull’isola che si dica a cosa solitamente serve quella cella frigorifera, che certo non è di uno speciale carro funebre gigante inviato da qualche ministero. Su quel camion ieri mattina sono state caricate le sette bare contenenti gli altrettanti corpi di giovani donne recuperati subito dopo il naufragio occorso a poche miglia ad ovest di Lampedusa prima dell’alba del 30 giugno. Le bare erano state saldate rapidamente già il pomeriggio dello stesso giorno e ieri mattina il camion è stato imbarcato sul traghetto Sansovino, diretto a Porto Empedocle. In banchina, durante l’imbarco, ignari di tutto, attraversavano il ponte della motonave i migranti – che ormai regolarmente vengono trasferiti in nave di linea malgrado tutte le “misure di sicurezza anti-Covid” – sbarcati a Lampedusa mentre accanto a loro saliva pure il camion al cui interno c’erano le bare di migranti che non sono riusciti ad arrivare vivi.

Ad attendere quelle bare sulla banchina del porto di destinazione, alle sette di sera, orario presunto dell’arrivo a Porto Empedocle della Sansovino, c’erano i delegati. Un prete, un imam, un delegato comunale e pochi altri, probabilmente funzionari, insieme ai rappresentanti locali dei corpi dello Stato in uniforme. Le bare sono state poste a terra, sull’asfalto. Li è stata celebrata quella raccogliticcia cerimonia funebre che viene riservata alle anonime vittime della migrazione attraverso il Mediterraneo centrale. Anche questa, purtroppo, una scena già vista troppe volte negli anni. Ad attenderli c’era un carrello elevatore, il cosiddetto “muletto” impiegato per il carico e scarico di merci pesanti. Chiusa la rapida cerimonia stradale il muletto ha iniziato a caricare le bare sul camion per la loro ultima tappa: destinazione Palma di Montechiaro. Il comune si è reso disponibile ad ospitare quelle sette ragazze nel proprio cimitero. In teoria fino al giorno in cui un familiare ne reclamerà la rispettiva salma per riportarla in patria. Ma per questa eventualità ci sono vari ostacoli. Uno è probabilmente il più semplice e riguarda la scarsa probabilità che un familiare di un profugo che ha lasciato casa e patria per imbarcarsi su una carretta del mare possa permettersi di venire in Italia e avviare tutte le procedure per un costosissimo trasferimento. Ma questo è probabilmente l’ultimo dei problemi.

“Inizieranno nel primo pomeriggio di oggi gli interrogatori dei superstiti del naufragio avvenuto all’alba di ieri davanti alle coste di Lampedusa in cui sono morte sette donne, tra cui una ragazza in stato di gravidanza”, recitava l’attacco di un’agenzia (Adnkronos) lanciata intorno all’una di ieri, primo luglio 2021. Praticamente mentre le bare già saldate erano in viaggio sulla nave Sansovino, “gli uomini della Squadra mobile, guidata dal vicequestore aggiunto Giovanni Minardi, sono al lavoro sull’isola di Lampedusa – proseguiva la stessa agenzia – per ricostruire quanto accaduto prima del naufragio”. Se tra i superstiti del naufragio c’erano congiunti delle vittime, corpi recuperati o dispersi, questi non avranno modo di esperire una identificazione dei loro cari. E di sopravvissuti che hanno perso parenti in mare, dalle informazioni finora raccolte, pare ce ne siano a Lampedusa. L’opportunità di un ultimo saluto, come quella di una degna cerimonia funebre che prescinde dal credo delle vittime, è stata negata a chi sembra essere solo l’ultimo disagio per chi si fa in quattro al solo scopo da far dimenticare la migrazione nel Mediterraneo centrale affidandosi a partner come quelli documentati da Sea Watch perché siano sempre meno le barche in arrivo.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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