Ipoacusia e declino cognitivo: Senti poco e male? Attento a non perdere i tuoi neuroni

Sono numerosi gli studi che hanno evidenziato la correlazione tra l'ipoacusia e il declino cognitivo. E' emerso, per esempio dalle ricerche del dipartimento diretto da Frank Lin alla Johns Hopkins University (USA). E in Italia, a risultati analoghi è arrivato lo studio "Great Age", coordinato da Giancarlo Logroscino, in Puglia

di Maurizio Maria Fossati

giornalista UNAMSI (Unione Medico Scientifica d’Informazione), scrittore e divulgatore scientifico

Chi ha problemi di udito fatica a socializzare, vive isolato, partecipa poco e parla ancora meno. E’ scientificamente provato: l’anziano che sente poco e male tende a isolarsi, così la solitudine e l’apatia aumentano il rischio del suo declino mentale. E’ un serpente che si morde la coda: la carenza di stimoli sonori crea una pericolosa barriera attorno alla persona che soffre di ipoacusia, facendole addirittura perdere il contatto con la realtà. In pratica chi a 60 anni sente meno del normale, ha una probabilità 6 o 7 volte maggiore di sviluppare declino cognitivo rispetto a un coetaneo con udito buono.

L’ipoacusia ingravescente e grave determina, infatti, possibili conseguenze negative sul funzionamento cerebrale, incidendo fortemente sull’equilibrio psicofisico e sulla mobilità della persona e provocando, se trascurata nel tempo, declino cognitivo e demenza. Ecco quindi che emerge evidente l’importanza di diagnosticare e curare precocemente qualunque carenza di udito per non sommare al problema dell’isolamento acustico, quello del calo della performance intellettiva.

Gli studi ci mettono in guardia

Sono numerosi gli studi che hanno evidenziato la correlazione tra l’ipoacusia e il declino cognitivo. E’ emerso, per esempio dalle ricerche del dipartimento diretto da Frank Lin alla Johns Hopkins University (USA). E in Italia, a risultati analoghi è arrivato lo studio “Great Age”, coordinato da Giancarlo Logroscino, in Puglia. Ma non solo. Pensate che una recente nota pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica “Lancet” ha messo l’ipoacusia tra i principali nove fattori di rischio per il declino cognitivo.

Udito e cervello, quindi, hanno un legame molto stretto. Secondo gli specialisti della Società italiana di Audiologia e Foniatria, il calo di udito si associa anche alla riduzione del numero di diramazioni dei neuroni. Meno collegamenti neuronali significa, in definitiva, meno interazioni e neuroni che “parlano” di meno fra loro. “L’udito non coinvolge solo un pezzetto del cervello – dichiarano i ricercatori -. L’esposizione ai suoni non ‘accende’ solo la corteccia uditiva localizzata nel lobo temporale, ma si riverbera in aree cerebrali diverse e distanti, contribuendo a un’attivazione funzionale generalizzata del cervello. E’ accertato, infatti, che una semplice parola sentita dall’orecchio e arrivata come segnale ai neuroni della corteccia uditiva, mette in moto anche le aree cerebrali preposte alla comprensione semantica e cognitiva”.

Sentire male stanca il cervello

Peraltro l’ipoacusia oltre a isolare l’individuo, aumenta anche l’impegno che la persona deve applicare all’ascolto. Uno sforzo mentale che va a discapito dell’apprendimento percettivo e aumenta la possibilità di distrazione. Un affaticamento per il cervello che riduce le risorse cognitive.

Oggi, le protesi acustiche rappresentano la soluzione offerta dal mercato. Sono strumenti digitali miniaturizzati pressoché invisibili. E offrono modelli personalizzabili e adattabili pressoché a tutti.

In caso di ipoacusia, la prima cosa da fare è rivolgersi all’otorino che eseguirà una visita accurata per valutare la capacità uditiva mediante un esame fisico, audiometrico tonale e vocale.

Le protesi acustiche sono utili in caso di sordità da lieve a medio-grave, mentre le protesi impiantatili e cocleari vengono impiegate in caso di sordità grave o profonda.

In età pediatrica, la principale causa di ipoacusia sono le otiti catarrali che solitamente richiedono una terapia medica e solo raramente chirurgica. Due-tre bambini su mille, invece, presentano ipoacusia neurosensoriale che potrebbe interferire con lo sviluppo del linguaggio. In questi casi le protesi acustiche (o gli impianti cocleari) sono da adottare il più presto possibile per evitare ricadute negative sullo sviluppo evolutivo del bambino.

La musica può rovinare l’udito dei giovani

Una persona su dieci presenta problemi di udito: dalla presenza di acufeni (quei fastidiosi fischi nell’orecchio), alla lieve ipoacusia, a vera e propria sordità. Nel 40% dei casi, l’ipoacusia riguarda persone con più di 74 anni. Ma i disturbi dell’udito sono in aumento anche tra i giovani a causa di errati stili di vita: l’uso di cuffie con musica ad alto volume e la frequentazione abituale di locali molto rumorosi. Anche l’abuso di alcol, farmaci e fumo o la presenza di colesterolo alto, trigliceridi e diabete, possono influire negativamente sull’udito. Nella fascia di età compresa fra i 15 e i 24 anni, i casi di deficit uditivo sono pressoché raddoppiati negli ultimi 5 anni, sfiorando il 5% della popolazione giovanile. E’ noto che 80 decibel di rumore cominciano a disturbare gli organi dell’udito (causando dolore a 150 db) e che, purtroppo, le cellule ciliate danneggiate non si rigenerano.

L’aiuto dell’alta tecnologia

Fortunatamente, oggi, l’alta tecnologia miniaturizzata ci viene a dare una mano. Le moderne protesi acustiche non sono, infatti, solo semplici amplificatori del suono, ma sono gioielli di alta tecnologia miniaturizzata che ottimizzano le fonti sonore in modo “intelligente”. I suoni vengono resi più chiari e ripuliti dai rumori indesiderati. I programmi di questi apparecchi acustici ottimizzano le situazioni quotidiane più comuni: riducono il frastuono del traffico, i rumori improvvisi e la turbolenza del vento. E permettendo una migliore localizzazione della provenienza dei suoni. Funzioni che si auto-attivano rendendo l’utilizzatore libero da comandi e controlli. Pensate che le protesi più evolute possono addirittura auto-apprendere e impostare alcuni parametri in autonomia.

Il futuro comincia oggi, anche se i prezzi sono ancora alle stelle.

Informazioni su Maurizio Maria Fossati 11 Articoli
Milanese, giornalista professionista, divulgatore scientifico e scrittore. Dopo l’università (ingegneria), spinto dalla passione per il mare e l'immersione subacquea, entra nella redazione di «Vela e Motore» per poi passare alla Mursia. Nell’85 è a «Le Scienze», edizione italiana di «Scientific American». Nel '91 passa a “Il Giorno” dove è responsabile delle pagine e degli inserti di Scienza e Salute e dove è a capo della redazione “Il Giorno-Metropoli”. Oggi si occupa di Salute sulle pagine di QN (Quotidiano Nazionale) e modera convegni medici. E' docente in corsi di formazione continua per giornalisti dell’Ordine Nazionale Giornalisti. Già vicepresidente di UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica d'Informazione), di cui oggi è probo-viro, è anche giornalista UGIS (Unione Giornalisti Scientifici Italiani). Coautore del libro di medicina narrativa “Parole che curano. L’empatia come buona medicina. Storie di malati, familiari e curanti”, Publiediting, del volume “Comunicare la Salute”, testo UNAMSI per corsi universitari di comunicazione giornalistica per medici e ricercatori. Autore di “Immersione subacquea, in apnea e con le bombole”, De Vecchi, e coautore di “Dieci x dieci, le cento meraviglie del mare”, edito da Touring Club Italiano-Gist. Per Morellini ha pubblicato nel 2019 “Perché? Oltre 100 quiz per svelare le curiosità della scienza”, e nel 2020 “Perché? Ambiente. Oltre 100 quiz per salvare il Pianeta”.

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