Fuga dal diritto con il caso Open Arms, il copione si ripete

Il voto della Giunta del Senato contrasta con quanto accertato in diverse decisioni della giurisprudenza che ha archiviato la maggior parte dei procedimenti penali a carico delle ONG. L’obbligo di soccorso a carico degli Stati si completa soltanto con lo sbarco dei naufraghi a terra, come aveva affermato con una limpida sentenza del 20 febbraio scorso la Corte di Cassazione

di Fulvio Vassallo Paleologo

Dopo un lungo periodo in cui il tema degli sbarchi delle persone soccorse nel Mediterraneo centrale è stato accantonato, il voto della Giunta del Senato sulle autorizzazioni a procedere, sul caso Open Arms dello scorso anno, ha riportato al centro delle cronache la sistematica omissione di soccorso praticata dagli Stati europei che negano ai naufraghi, soccorsi in alto mare, quel porto di sbarco sicuro (Place of safety) che è previsto dalle Convenzioni internazionali. Certo, come afferma il senatore Gasparri, “la Giunta non deve dare un giudizio di ordine penale, cosa che spetta alla magistratura: noi in base alla legge costituzionale dobbiamo valutare se in questi casi il membro di un governo abbia agito per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della sua funzione di governo”. In questo modo però si blocca l’accertamento di gravi responsabilità penali e si crea una sfera di impunità che svuota di contenuto il richiamo degli articoli 10 e117 della Costituzione alle Convenzioni internazionali.

Il voto della Giunta del Senato contrasta con quanto accertato in diverse decisioni della giurisprudenza che ha archiviato la maggior parte dei procedimenti penali a carico delle ONG. L’obbligo di soccorso a carico degli Stati si completa soltanto con lo sbarco dei naufraghi a terra, come aveva affermato con una limpida sentenza del 20 febbraio scorso la Corte di Cassazione. Ma questa sentenza è stata tradita già dalle prassi adottate più di recente dal governo italiano che, ancora in questo periodo di emergenza sanitaria, ritarda lo sbarco dei naufraghi, adducendo la necessità di tenerli in quarantena a bordo di navi, e non interviene più al di fuori delle proprie acque territoriali, consentendo ai maltesi di operare attività di respingimento in Libia anche molto a ridosso della zona contigua a sud di Lampedusa, come è avvenuto in occasione della strage di Pasquetta, tra il 13 ed il 14 aprile scorso.

Ancora una volta la materia dei ritardi nella indicazione di un porto di sbarco e del trattenimento arbitrario dei naufraghi viene valutata non sui fatti realmente avvenuti, e sulle singole responsabilità dell’ex ministro dell’Interno, ma solo all’interno dei giochi politici che si stanno consumando in questi giorni in Parlamento. In vista forse di una delegittimazione della magistratura e di un nuovo governo di solidarietà nazionale, se non di alleanze dirette tra Renzi e Salvini, soprattutto quando si dovranno redistribuire i costi della crisi economica indotta dal COVID-19. Eppure la richiesta di autorizzazione a procedere formulata dal Tribunale dei ministri di Palermo si fondava su elementi probatori inconfutabili e su prove documentali. Ma non si poteva mettere sotto processo chi aveva negato lo sbarco in un porto sicuro, perché ancora oggi si applicano prassi che sono in continuità con quelle adottate dal precedente governo. Come il “fermo amministrativo” delle navi umanitarie delle ONG bloccate nel porto di Palermo, dopo che queste hanno svolto operazioni di ricerca e salvataggio in acque internazionali. E l’abrogazione dei decreti sicurezza di Salvini non è più all’ordine del giorno.

Respingimenti appaltati

Ormai sono rimasti pochi testimoni, come Sergio Scandura di Radio Radicale e Mauro Seminara di Mediterraneo Cronaca, a ricordare agli italiani la politica di omissione di soccorso che gli Stati e l’Agenzia europea Frontex praticano nel Mediterraneo centrale nei confronti di chi fugge dalla Libia, un Paese sempre più frammentato, ancora in preda ad un sanguinoso conflitto civile. In questi giorni devono essere arrivati altri soldi europei a Tripoli, perché dopo un periodo di stasi, dovuto forse alle battaglie che hanno bloccato le città costiere, le motovedette donate dall’Italia sono ripartite ed hanno ripreso centinaia di persone che si trovavano già in acque internazionali. E che in base alle Convenzioni internazionali non potevano essere ricondotte in Libia perché il Paese, nella sua attuale frammentazione territoriale derivante dagli eventi bellici in corso, non garantisce porti sicuri di sbarco. Ormai gli Stati delegano persino agenti privati per realizzare le operazioni di respingimento collettivo vietate dalle Convenzioni internazionali. Operazioni che non sono certo ignorate dalle autorità militari italiane presenti nel porto di Tripoli e dalla centrale di coordinamento della guardia costiera di Roma (IMRCC).

Frontex e le conseguenze della “SAR libica”

Anche l’Unhcr e l’Oim, agenzie delle Nazioni Unite, e la Commissione europea hanno ribadito che la Libia non garantisce porti sicuri di sbarco. Purtroppo l’invenzione di una zona SAR (ricerca e salvataggio) libica risalente al 2018, fortemente sostenuta dal Governo Gentiloni-Minniti, ha legittimato il “lavoro sporco” dei guardiacoste libici, malgrado le prove evidenti di collusione con i trafficanti, ed anche se tutti sanno che fine tocca alle persone riportate a terra. Sorte che non può essere certo trascurata dai vertici militari che mantengono la missione NAURAS di mare sicuro, con una nave della nostra Marina Militare nel porto di Tripoli con funzioni di assistenza delle motovedette libiche.

Frontex, agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, non può ignorare la sorte che tocca alle persone che avvista nei suoi voli di monitoraggio a nord delle coste libiche e poi lascia all’intervento delle motovedette tripoline. Tutte le imbarcazioni avvistate da Frontex in alto mare sono in situazione di “distress”, in base ai criteri di valutazione adottati dalle Convenzioni internazionali e ribaditi nel Regolamento europeo FRONTEX n.656 del 2014, e vanno soccorse immediatamente con mezzi adeguati, senza ricorrere a navi mercantili che poi obbediscono ai comandi delle autorità libiche e si prestano alle operazioni di respingimento collettivo. 

Ma ormai FRONTEX per perseguire i suoi obiettivi di law enforcement reclama totale autonomia, segretezza dei movimenti dei suoi agenti e sospensione delle garanzie previste dalle Convenzioni internazionali in materia di rifugiati, soccorso in mare e diritti umani.

Una pericolosa deriva che è cominciata con il Regolamento europeo n. 1624 del 2016, e che, dopo la criminalizzazione dei soccorsi umanitari e la guerra contro le ONG, si è concretizzata in operazioni sotto copertura e con intese operative con Paesi come la Libia ( o quello che ne rimane sotto il controllo del governo di Tripoli) che non garantiscono né il salvataggio in mare né la sicurezza delle persone a terra. A differenza di quanto avviene però in Grecia, nel caso dei soccorsi nel Mediterraneo centrale la responsabilità politica e legale delle scelte di intervento SAR e poi di indicazione di un porto sicuro di sbarco, sono state riferite esclusivamente al ministro del’Interno, come è confermato peraltro dal decreto sicurezza bis ( Decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, convertito con legge 8 agosto 2019, n. 77)  adottato lo scorso anno.

Open Arms e l’accentramento al Viminale

In occasione del blocco, durato settimane, dei naufragi soccorsi nell’agosto dello scorso anno dalla nave umanitaria Open Arms, l’ex ministro dell’Interno disattese persino i doveri di coordinamento con gli altri ministri con cui doveva operare “di concerto”, addivenendo allo sbarco dei minori dopo giorni di trattenimento indebito a bordo e solo per ottemperare ad un preciso richiamo del Tribunale dei minori e poi del primo ministro. Né appare dubbio che proprio per effetto del decreto legge sicurezza bis, conformato da Salvini a sua immagine e somiglianza, le decisioni in materia spettavano a lui, allora nella qualità di ministro dell’Interno e non al Presidente del consiglio. Infatti secondo le modifiche apportate dal decreto sicurezza bis all’art. 11 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998, veniva attribuita al solo ministro dell’Interno, nella sua qualità di Autorità nazionale di pubblica sicurezza, “nell’esercizio delle funzioni di coordinamento dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana”, nonché nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, il potere di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, con l’eccezione del naviglio militare (nel quale rientrano anche le navi militari e le navi da guerra) e delle navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e di sicurezza pubblica, ovvero quando, questi ritenga necessario impedire il cosiddetto “passaggio pregiudizievole” o “non inoffensivo” di una specifica nave se la stessa è impegnata – limitatamente alle violazioni delle leggi in materia di immigrazione – in una delle attività elencate dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione di Montego Bay – UNCLOS), ossia il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti.

I provvedimenti limitativi o impeditivi dell’ingresso nelle acque territoriali o dello sbarco della nave in porto sono dunque adottati esclusivamente dal ministro dell’Interno, di concerto con il ministro della Difesa e con il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, secondo le rispettive competenze, e al Presidente del Consiglio dei ministri ne viene data soltanto “informazione”.

La Legge sul SAR e sull’immigrazione

In base all’art. 10 ter dello stesso Testo unico 286/98 in materia di immigrazione, le persone soccorse in acque internazionali non possono essere trattenute a tempo indeterminato a bordo delle navi soccorritrici, in quanto ”Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142″.

Nessuna norma di legge autorizza il trattenimento dei naufraghi a bordo di navi, di qualsiasi natura e bandiera, dopo le operazioni di soccorso in acque internazionali, che si ritengono concluse solo con lo sbarco a terra, e dunque rimane priva di fondamento legale la scelta di non fare sbarcare i naufraghi dalla Open Arms, adducendo trattative in corso con la Commissione UE o con altri Paesi dell’Unione Europea, al fine di ottenere la loro immediata redistribuzione in quei Paesi.

Il caso Open Arms secondo il Tribunale dei ministri

Secondo il Tribunale dei ministri di Palermo, Salvini avrebbe agito dunque in autonomia, addirittura in contrasto con il Presidente del consiglio Giuseppe Conte, “sin da quando, apprendendo dell’intervento di soccorso posto in essere in zona Sar libica dalla Open Arms, coerentemente con la politica inaugurata all’inizio del 2019, adottava nei confronti di Open Arms, d’intesa con i ministri della difesa e delle infrastrutture e dei trasporti, il decreto interdittivo dell’ingresso o del transito in acque territoriali italiane, qualificando l’evento come episodio di immigrazione clandestina, a dispetto del riferimento alla situazione di difficoltà del natante su cui i soggetti recuperati stavano viaggiando”.

Il Tribunale dei ministri di Palermo ricordava poi come il Presidente del Consiglio Conte, già “il 16 agosto rispondeva a una missiva del ministro Salvini, ribadendo con forza la necessità di autorizzare lo sbarco immediato dei minori presenti a bordo della Open Arms, anche alla luce della presenza della nave al limite delle acque territoriali (in effetti vi aveva già fatto ingresso) e potendo, dunque, configurare l’eventuale rifiuto un’ipotesi di illegittimo respingimento aggiungeva di aver già ricevuto conferma dalla Commissione europea della disponibilità di una pluralità di Stati a condividere gli oneri dell’ospitalità dei migranti della Open Arms, indipendentemente dalla loro età. Invitava, dunque, il ministro dell’Interno ad attivare le procedure, già attuate in altri casi consimili, finalizzate a rendere operativa la redistribuzione”.

Non si può trascurare come la posizione allora espressa dal primo ministro Conte fosse relativa soltanto allo sbarco dei minori, mentre rimaneva nella esclusiva responsabilità del ministro dell’Interno la mancata indicazione di un porto di sbarco per i ben più numerosi naufraghi di maggiore età, indebitamente trattenuti per settimane a bordo della Open Arms.

Non si vede come i rappresentanti parlamentari che oggi, nella Giunta del Senato per le autorizzazioni a procedere, hanno votato per il blocco del processo in nome di un “superiore interesse nazionale”, possano fare corrispondere tale interesse con la sistematica violazione, non solo delle Convenzioni internazionali richiamate dalla Costituzione, ma dalle leggi interne prima richiamate che disciplinano i soccorsi in mare e lo sbarco a terra dei naufraghi.

La magistratura e la politica sul diritto

Giustizia è (s)fatta? Manca il diritto ad ottenere giustizia. La decisione di ieri della Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato arriva in un momento in cui l’atteggiamento della magistratura sui soccorsi in acque internazionali sembra in bilico. I processi contro le ONG, dopo numerose archiviazioni, sembrano congelati, soprattutto a Trapani ed a Ragusa. I giudici nazionali fanno ormai finta di non vedere, e poi ci sono questioni di giurisdizione. Non solo i ricorsi alle Corti internazionali sono diventati impossibili, perché le persone riportate in Libia passano da un centro di detenzione “governativo” alle “connecting house” gestite da miliziani-trafficanti, ma la censura imposta in Italia nasconde vittime innocenti ed abusi di ogni genere, commessi con la complicità delle autorità italiane ed europee che assistono e formano la sedicente guardia costiera libica. Che negli ultimi giorni ha riportato all’inferno almeno 400 persone tra cui donne e bambini, intercettati in alto mare. Per non parlare di quelli che sono stati abbandonati al loro destino disperato e sono annegati senza che nessuno lo dicesse. Ancora oggi non si hanno notizie di un barcone disperso da oltre un giorno. Altre decine di persone potrebbero essere finite in fondo al mare nello stesso giorno in cui in Senato si cerca di bloccare il processo Open Arms contro il seantore Salvini. Ma di questi naufragi non troverete traccia nei grandi canali di informazione.

Complici silenzi istituzionali

Dalla Guardia costiera maltese e dalla Centrale di coordinamento della Guardia Costiera italiana non filtrano più notizie su quanto avviene nel Mediterraneo centrale. Persino le autorità maltesi sono costrette a comunicare le modalità di intervento delle loro unità, fino al trattenimento arbitario dei naufraghi tenuti in quarantena su navette private, idonee solo per gite giornaliere, ormeggiate nel banco offshore ( in acque internazionali) di fronte a La Valletta.

Noi intanto anneghiamo nella indifferenza e nell’odio verso chi fugge guerra e miseria. Ed anche verso chi cerca di restare solidale e prestare assistenza a chi tende una mano. Come era ormai scontato, la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato ha votato il blocco del processo penale per il caso Open Arms (2019) nei confronti del Senatore Salvini, quello che da ministro dell’Interno si complimentava con la guardia costiera libica ogni volta che intercettava naufraghi per riportarli indietro. Del resto il nuovo governo non è stato capace di praticare la discontinuità che aveva annunciato al momento del suo insediamento ed ha rinnovato gli accordi con i libici mantenendo in vigore i decreti sicurezza di Salvini, che hanno avuto una coda avvelenata con il decreto interministeriale del 7 aprile scorso che ha dichiarato “non sicuri” i porti italiani. Certo, perché i porti libici sono più “sicuri” di quelli italiani e maltesi.

Verso il voto del Senato

Adesso attendiamo il voto dell’aula del Senato che, se confermerà il blocco del processo Open Arms contro Matteo Salvini, potrebbe precostituire un pericoloso precedente non solo per l’esito del processo Gregoretti che dovrebbe proseguire a Catania nel prossimo autunno, ma anche per la sorte dei migranti dispersi in mare nel corso di questi mesi. Il voto politico della Giunta del Senato sembrerebbe sancire un nuovo patto di “solidarietà nazionale” in nome dell’emergenza da Covid-19 e della “lotta all’immigrazione illegale”. Due “mantra” di sicuro successo per un corpo elettorale che comincia a ripiegare di nuovo sui problemi della sopravvivenza e appare ormai risucchiato dai richiami alla guerra tra poveri, e dunque contro gli ultimi arrivati, che costituisce la base della degenarazione sovranista e populista che sta dilagando in Europa ed in Italia.

Per gli immigrati già presenti nel nostro Paese dopo essere stati soccorsi in acque internazionali e per coloro che cercano di fuggire dalla Libia, e vengono bloccati in mare, non ci sono prospettive di speranza che possano venire dalla volontà dei politici o dalle decisioni della magistratura, che in questi ultimi mesi ha rinunciato a qualsiasi ruolo di controllo sulle attività di ricerca e salvataggio nelle acque del Mediterraneo centrale. Ed anzi, con una recente decisione cautelare del Tribunale amministrativo del Lazio, ha confermato la legittimità del decreto interministeriale del 7 aprile scorso che definiva come “non sicuri” tutti i porti italiani, non nell’interesse delle persone soccorse in mare, ma per l’astratto pericolo, ancora non confermato, che queste, a loro volta, potessero mettere a rischio la tenuta del sistema sanitario nazionale.

Open Arms, Gregoretti, Diciotti ed il fantasma del terrorismo

La vicenda della autorizzazione a procedere contro il senatore Salvini per il caso Open Arms ha confermato quanto già era emerso nei precedenti casi Diciotti ( autorizzzazione negata) e Gregoretti ( autorizzazione concessa). Si tratta di voti che non toccano l’impianto accusatorio proposto dai Tribunali dei ministri, con argomentazioni ineccepibili, ma in nome di un “superiore interesse nazionale”, si limitano a sottrarre la sfera politica di decisione sullo sbarco dei naufraghi soccorsi in alto mare, al di fuori delle acque territoriali, al controllo della magistratura, dunque al rispetto della legge nazionale e delle Convenzioni internazionali. Quando proprio mancano gli argomenti, si trova sempre qualcuno che richiama l’esigenza di contrastare il terrorismo internazionale, e così si pensa di avere una motivazione che assorbe tutte le altre. Ma non è così, almeno fino a quando saremo ancora in uno stato di diritto.

Comunque vadano i processi intentati dalla magistratura contro gli autori delle politiche di abbandono in mare e di respingimento collettivo illegale, non ci affideremo al “Tribunale della storia”, ma alle gambe ed ai cuori dei cittadini solidali e delle migliaia di persone che comunque continueranno ad arrivare in futuro nel nostro Paese, attraversando il Mediterraneo, dopo essere fuggite dagli orrori della Libia. Saremo con loro. E saremo accanto alle famiglie delle vittime per mantenere alta anche a livello internazionale la denuncia sulle responsabilità politiche, amministrative e militari che hanno portato alle stragi ed all’abbandono in mare.

La propaganda ed i processi alle Ong

Le scelte politiche indotte dai calcoli elettorali e rivolte alla pancia del Paese, a quelli che preferiscono vedere i migranti annegare piuttosto che dare loro una qualche accoglienza nel nostro territorio, e in Europa, non potranno reggere a lungo, perché si basano su analisi dei fatti totalmente rovesciate. Non reggeranno alla prova della realtà, come si sta verificando con i cosiddetti sbarchi autonomi, definiti da altri “sbarchi fantasma”, da tempo ignorati, solo perché non si vuole ammettere che le navi umanitarie delle ONG non costituivano certo un fattore di attrazione (pull factor). Ma quelle navi rimangono ancora bloccate, per effetto dei recenti provvedimenti amministrativi pretestuosi, i processi penali contro gli operatori umanitari continuano, ad Agrigento, a Trapani ed a Ragusa, e gli Stati hanno ritirato nelle loro acque territoriali quelle navi militari che prima potevano operare in acque internazionali attività di ricerca e salvataggio. Alla forza del diritto hanno sostituito il diritto della forza. Ma alla fine, mentre i vigliacchi fuggiranno dai processi, sarà nei processi intentati contro le ONG che la verità potrebbe venire fuori. A partire dalla stretta connessione tra le attività della sedicente Guardia costiera libica e gli assetti operativi europei, maltesi ed italiani. Chi ha superato la traversata del Mediterraneo e scavalcato tante frontiere, in fuga da guerre e fame, dimostrando un coraggio che altri non hanno, vincerà la sua battaglia per la vita. Tocca a ciascuno di noi cittadini decidere da che parte stare.

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La richiesta di autorizzazione a procedere sul caso Open Arms (1-20 agosto 2019). Nota a Tribunale di Palermo. Collegio per i reati ministeriali, 30 gennaio 2020

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