Stress e burnout rivelati dal nuovo coronavirus

Benessere è Salute

di Maria Leduisi

L’ emergenza che stiamo vivendo fra gli innumerevoli risvolti sta tristemente, ma anche finalmente, portando all’ attenzione del grande pubblico un argomento di grande rilievo: lo stress da lavoro correlato ed in particolare il fenomeno del burnout. In questi giorni sentiamo spesso e leggiamo molto sulle ripercussioni della pandemia da Covid-19 sulla salute mentale. Sono stati attivati vari servizi di ascolto e di supporto psicologico per la popolazione e per gli operatori sanitari che affrontano l’ epidemia in prima linea, sia negli ospedali che sul territorio. Per conoscere le varie iniziative attive sul territorio italiano vi consigliamo di consultare il sito del Ministero della Salute, che ha fornito un elenco attivo nelle varie regioni, e per comprendere meglio la portata di tali fenomeni si consiglia di ascoltare sul sito di Radio Radicale l’ intervento del dottor Fabrizio Starace, autorevole psichiatra, che ha affrontato il tema nel corso di un incontro pubblico online promosso dall’ associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica.

Il problema del dovuto supporto psicologico agli operatori sanitari è quindi necessario oggi più che mai, ma non è un bisogno nuovo e questa attenzione non deve esaurirsi con la fine dell’ emergenza Covid.

I rischi psicosociali e lo stress da lavoro rappresentano una delle sfide principali con cui è necessario confrontarsi nel campo della salute e della sicurezza sul lavoro. Le modalità moderne di organizzazione del lavoro, la globalizzazione, lo sviluppo e la diffusione dell’ uso delle tecnologie informatiche, hanno portato a un’ accelerazione dei tempi di lavoro che gravano sui datori di lavoro, sui lavoratori e sulle economie nazionali. Il mondo del lavoro, sempre più caratterizzato da competitività e precarietà, aumenta tensione e conflitti interpersonali e può facilmente portare alla nascita di forme di patologie lavoro correlate, collocate al secondo posto in Europa tra i problemi di salute dovuti al lavoro dopo i disturbi muscolo scheletrici.

L’ agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro ci offre una stima secondo cui “…circa la metà dei lavoratori europei considera lo stress comune nei luoghi di lavoro e ad esso è dovuta quasi la metà di tutte le giornate lavorative“ e ci propone delle indicazioni sui fattori di rischio legati allo stress. Tra questi, i fattori di rischio psicosociale che necessitano di un’ adeguata valutazione e gestione. In Italia è il D.lgs 81/2008, e le successive integrazioni e modificazioni, a fornire riferimenti precisi per lo stress lavoro correlato. Questo fenomeno può quindi interessare vari tipi di lavoro poiché dipende dall’ interazione fra fattori relativi all’ organizzazione del lavoro, le caratteristiche psico fisiche del lavoratore e le condizioni socio demografiche.

E’ però facilmente intuibile che lo stress da lavoro diviene particolarmente critico nel settore sanitario che presenta maggiori elementi di criticità anche per la natura stessa della prestazione erogata.

Il settore sanitario è infatti caratterizzato dalla presenza di potenziali fattori di rischio psicosociale per gli operatori che vi lavorano, quali ad esempio l’ elevato carico emotivo, derivante dal continuo contatto con situazioni di estrema sofferenza, il lavoro su turni, la reperibilità e la gestione delle emergenze-urgenze. I lavoratori maggiormente a rischio risultano essere gli infermieri ed il personale impiegato in reparti con elevata mortalità e con pazienti affetti da patologia grave. L’ équipe sanitaria diventa frequentemente la destinazione di tutte le ansie, le angosce, le aspettative e i bisogni psicologici degli ammalati e dei loro familiari. Se aggiungiamo a questi fattori, legati alla natura della prestazione stessa, elementi critici dovuti all’ organizzazione del lavoro ed al grave indebolimento del sistema sanitario provocato dai continui tagli, ci può risultare più semplice comprendere la condizione di svilimento che può danneggiare chi opera in questo campo.

Per capire meglio cosa si intende per stress riconducibile alla condizione lavorativa e avviare spunti di riflessione è possibile consultare un e-book messo a punto da Consulcesi Club in partnership con il Provider Sanità in formazione. In esso si trovano importanti contributi di studiosi che hanno analizzato e definito lo stress e le condizioni lavorative che possono portare a forme patologiche. Lo abbiamo consultato per potervi offrire una lettura il più possibile esauriente.

Hans Selye, endocrinologo e fisiologo, viene ricordato per le sue ricerche effettuate sullo stress. Lo stress si manifesta quando l ‘organismo deve rispondere a stimoli esterni e consiste in un’ attivazione di sistemi biologici che permettono di affrontare e risolvere la situazione, provocando un adattamento nel caso in cui non sia possibile eliminare i fattori stressanti. Nelle sue teorizzazioni lo studioso descrive uno stress positivo, “eustress”, che ci rende capaci di adattarci positivamente alle situazioni e uno stress negativo, “distress”, che si manifesta quando la situazione stressante richiede uno sforzo di adattamento superiore alle nostre possibilità. Lo stress è quindi una componente essenziale del vivere ma in determinate situazione e contesti i fattori stressanti possono diventare eccessivi e non più sopportabili in quanto provocano un’ alterazione dell’ equilibrio fra quello che una persona riceve in termini di stimoli e quello che riesce a dare.

Va fatta anche una distinzione tra lo stress acuto e lo stress cronico. Nelle condizioni di stress acuto, la risposta dell’ organismo ha una durata limitata ed è quindi una situazione transitoria. Nelle condizioni di stress cronico invece gli eventi stressanti durano nel tempo e quindi anche le modificazioni fisiologiche si protraggono in maniera innaturale, provocando un continuo logorio, che può minacciare la qualità della vita della persona influendo negativamente su relazioni, efficienza lavorativa e tono dell’ umore.

E’ ormai nota la relazione tra stress, o meglio distress, e disturbi fisici e psichici. Tra le patologie fisiche riscontrate si evidenziano le malattie cardiovascolari, i disturbi dell’ apparato gastrointestinale e i disturbi muscolo scheletrici, tra le patologie psichiche le maggiori sono i disturbi dell’ adattamento, la depressione e i disturbi d’ ansia.

Tra le forme di stress lavoro correlato vi è il burnout. Il termine inglese indica il lavoratore “bruciato”, “fuso”: tutte le definizioni evidenziano l’ esaurirsi delle risorse dell’ operatore che lentamente si brucia e si logora nel tentativo di adattarsi alle difficoltà determinate dalla propria attività lavorativa. La sindrome del burnout è entrata ufficialmente nella lista dell’ International Classification of Diseases (ICD), il sistema di classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati stilata dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità. L’ OMS, in  linea con la letteratura scientifica, specifica che il burnout non è considerato una malattia ma uno dei fattori che influenzano lo stato di salute ed è un fenomeno esclusivamente legato al lavoro. Inizialmente il fenomeno è stato collegato quasi esclusivamente alle professioni d’ aiuto, una sindrome quindi tipica delle helping professions quali infermieri, medici, psichiatri, operatori per l’ infanzia, insegnanti, assistenti sociali e poliziotti per poi essere estesa anche a lavoratori che hanno un contatto frequente con il pubblico.

E’ opportuno anche sottolineare che stress e burnout non sono la stessa cosa. Il burnout costituisce un esito possibile al distress, cioè è un modo inadeguato con cui una persona risponde alla condizione lavorativa con comportamenti ed emozioni negative verso se stessa, i colleghi e gli utenti. La studiosa di riferimento a livello mondiale per il burnout è considerata Christina Maslach, docente di psicologia all’ Università della California e autrice di numerose pubblicazioni sull’ argomento oltre che del test più accreditato e usato in materia, il Maslach Burnout Inventory.

La sindrome descritta dalla studiosa è caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali. Il lavoratore in burnout sperimenta un certo malessere dovuto a un sovraccarico lavorativo e ad una continua tensione emotiva, si sente svuotato e inaridito. Nel tentativo di proteggersi, può quindi mettere in campo un atteggiamento distaccato e freddo nei confronti dell’ utenza, disumanizzando la relazione. Logorio emotivo e disumanizzazione della cura producono un importante senso di inadeguatezza e la percezione di aver fallito. Chi ha scelto una professione d’ aiuto non è e non si sente più in grado di aiutare. L’ operatore che vive questa condizione manifesta disaffezione al proprio lavoro, delusione, intolleranza, indifferenza, perdita della motivazione e dell’ autostima, e spesso anche sensi di colpa. Comincerà ad ammalarsi e assentarsi. I sintomi che si possono presentare sono molteplici e complessi. Gli effetti non si ripercuotono solo a livello personale ma tengono a propagarsi all’ interno dell’ intera équipe e tra il gruppo di lavoro e i pazienti, coinvolgendo quindi l’ intera organizzazione dei servizi.

La condizione del lavoratore “bruciato” interessa quindi l’ intero sistema ed è il sistema che deve ingegnarsi per porvi rimedio e, preferibilmente, attuare strategie di prevenzione.

Oltre a misurare i livelli e i fattori psicosociali che possono favorire malattie legate al lavoro, cosi come previsto dalla legge 81, i datori di lavoro hanno il dovere giuridico di gestire lo stress. Bisogna ripensare l’ organizzazione e approcciarsi a una nuova cultura del lavoro che tenga in considerazione interventi preventivi, quali la presenza di una figura di sostegno, l ‘incentivazione di corsi e aggiornamenti volti ad accrescere non solo le competenze tecniche ma anche le abilità sociali e la comunicazione strategica, nuovi modelli di selezione del personale che tengano in considerazione anche gli aspetti psicologici ed emotivi.

Bisogna che si presti attenzione non soltanto in tempi di crisi ed emergenze virali al sostegno psicologico del lavoratore. Il sistema sanitario deve dotarsi di sportelli di ascolto psicologico per tutti gli operatori che vivono momenti di difficoltà, sia legate al contesto lavorativo ma anche personali e che devono essere aiutati ad acquisire strumenti per migliorare la propria capacità di resilienza e di fronteggiamento delle situazioni di disagio: come suggerisce il sociologo  e psicologo Karasek, “un ambiente che favorisce l’ apprendimento attivo promuove la formazione del sentimento di mastery (fiducia nelle proprie capacità di gestire le situazioni stressanti)”. Bisogna insomma preservare e garantire il benessere del principale capitale, ovvero l’ essere umano, creando tutte quelle condizioni per cui l’ individuo risulti in grado di accettare le sfide che giungono dall’ambiente considerandole un’ occasione di crescita e arrivi a sviluppare strategie di soluzione dei problemi.

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