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Autonomia differenziata per decreto legge, la fine del principio di solidarietà

di Fulvio Vassallo Paleologo

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte e del Ministro della salute, Roberto Speranza, ha approvato il 24 marzo un decreto-legge che introduce misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. Per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal decreto, “una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus”.

Consueto scarto tra i comunicati della Presidenza del Consiglio ed il testo del decreto legge n.19 del 25 marzo 2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale. La sostanza comunque non cambia. I Presidenti di regione potranno imporre i loro diktat al governo. Come riferisce il comunicato della Presidenza del Consiglio, tra le altre misure, si prevede ”la limitazione della circolazione delle persone, il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione per i soggetti in quarantena perché contagiati e la quarantena precauzionale per le persone che hanno avuto contatti stretti con soggetti contagiati; la limitazione, la sospensione o il divieto di svolgere attività ludiche, ricreative, sportive e motorie all’aperto o in luoghi aperti al pubblico, riunioni, assembramenti, congressi, manifestazioni, iniziative o eventi di qualsiasi natura”; la limitazione o la sospensione di ogni attività d’impresa o di attività professionali e di lavoro autonomo che non rientrino nell’elenco delle cosiddetta “attività essenziali”. In realtà le limitazioni della libertà di circolazione sono molto più stringenti e modulabili di quanto contenuto nel comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri. Si prevede infatti:

a) limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora, se non per spostamenti individuali, limitati nel tempo e nello spazio e motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni;

b) chiusura al pubblico di strade urbane, parchi, aree gioco, ville e giardini pubblici o altre aree analoghe;

c) divieto di allontanamento e di ingresso in territori comunali, provinciali o regionali;

Occorre ricordare al riguardo che il comma I, lettera b), dell’articolo 1 del DPCM 22 Marzo 2020, abolisce la previsione già contenuta nell’articolo 1, comma I, lettera a), del DPCM 8 Marzo, dove si assicurava il rientro nel luogo di domicilio, abitazione o residenza. Secondo quanto previsto dal DPCM del 22 marzo, tale rientro risulta consentito unicamente nel caso ove lo spostamento all’esterno risulti connesso ai motivi legittimanti: comprovate esigenze lavorative, esigenze di assoluta urgenza, motivi di salute.

Secondo la circolare del ministero dell’interno del 23 marzo 2020, che disciplina anche il blocco delle attività produttive “non essenziali”, si specifica il divieto per tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati dal comune in cui attualmente si trovano. In base a tale circolare, “Tali spostamenti rimangono consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute. La disposizione, anche tenendo conto delle esigenze recentemente emerse e che hanno condotto alcuni Presidenti di Regioni ad adottare apposite ordinanze, persegue la finalità di scongiurare spostamenti in ambito nazionale, eventualmente correlati alla sospensione delle attività produttive, che possano favorire la diffusione dell’epidemia. Si colloca in tal senso la soppressione, prevista dalla stessa norma, dell’art. 1, comma 1, lett. a) del d.P.C.M. 8 marzo 2020 che consentiva il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Per effetto di tale soppressione, la citata disposizione –inizialmente prevista per alcuni specifici ambiti territoriali ed estesa all’intero territorio nazionale dall’art.1, comma 1 del d.P.C.M. 9 marzo 2020 – resta peraltro in vigore nella parte in cui raccomanda l’effettuazione di spostamenti all’interno del medesimo comune solo se motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute. Tale norma da ultimo citata va pertanto letta in combinato disposto con l’art. 1, comma 1 lett. b) del nuovo d.P.C.M., che si riferisce agli spostamenti fra comuni diversi. Si ritiene peraltro opportuno evidenziare che, proprio in ragione della ratio ad essa sottesa, la previsione introdotta dal nuovo d.P.C.M. appare destinata ad impedire gli spostamenti in comune diverso da quello in cui la persona si trova, laddove non caratterizzati dalle esigenze previste dalla norma stessa. Rimangono consentiti, ai sensi del citato art. 1, lett. a) del d.P.C.M. 8 marzo 2020, i movimenti effettuati per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute, che rivestano carattere di quotidianità o comunque siano effettuati abitualmente in ragione della brevità delle distanze da percorrere”.

Secondo la circolare, a firma del capo di gabinetto del ministro dell’interno Piantedosi, “rientrano, ad esempio, in tale casistica gli spostamenti per esigenze lavorative in mancanza, nel luogo di lavoro, di una dimora alternativa a quella abituale, o gli spostamenti per l’approvvigionamento di generi alimentari nel caso in cui il punto vendita più vicino e/o accessibile alla propria abitazione sia ubicato nel territorio di altro comune”.

Il caos delle competenze

Il decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020, inoltre, disciplina le procedure per l’adozione delle misure di contenimento, prevedendo che siano introdotte con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute o dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino una o alcune specifiche regioni, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale. È anche previsto che, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro della salute possa introdurre le misure di contenimento con proprie ordinanze. Inoltre, per specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario, i Presidenti delle regioni possono emanare ordinanze contenenti ulteriori restrizioni, esclusivamente negli ambiti di propria competenza. Viene cancellato il limite di sette giorni di efficacia e scompare la necessità che il governo nazionale approvi entro 24 ore dall’entrata in vigore le ordinanze che i singoli governatori ritengano di adottare su una parte o sull’intero territorio regionale.

Sono fatti salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanati ai sensi decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, ovvero ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833. Continuano ad applicarsi nei termini originariamente previsti le misure già adottate con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati in data 8 marzo 2020, 9 marzo 2020, 11 marzo 2020 e 22 marzo 2020 per come ancora vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Secondo l’art.3 del decreto legge (Misure urgenti di carattere regionale o infraregionale),Fermo quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento ovvero di attenuazione del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre ovvero sospendere, limitatamente a detti ambiti territoriali, l’applicazione di una o più delle misure di cui all’articolo 1, comma 2. Qualora tali misure si applichino su tutto il territorio regionale, ovvero su oltre la metà di esso o a oltre la metà della popolazione residente nella regione, la loro efficacia è limitata a sette giorni e, entro ventiquattro ore dalla loro adozione, è formulata proposta al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, per la loro conferma con il decreto ivi previsto. Le misure di cui al periodo precedente non possono essere in alcun caso reiterate e, ove non confermate dal decreto ivi previsto, perdono comunque efficacia allo spirare del settimo giorno. Le misure reiterate in violazione di quanto disposto dal precedente periodo sono inefficaci.”

Si prevede anche cheIl Sindaco, negli stessi casi di sopravvenienze cui al comma 1, può introdurre ovvero sospendere nel territorio comunale, con propria ordinanza, l’applicazione di una o più delle misure di cui all’articolo 1, comma 2. L’ordinanza, efficace per sette giorni, entro ventiquattro ore dalla sua adozione è comunicata alla Regione che, negli stessi sette giorni, può confermarne l’efficacia per trenta giorni, rinnovabili nei casi e con i limiti di cui all’articolo 1, comma 1. Le misure di cui al periodo precedente non possono essere in alcun caso reiterate e, ove non confermate dalla regione secondo quanto ivi previsto, perdono comunque efficacia allo spirare del settimo giorno. Le misure reiterate in violazione di quanto disposto dal precedente periodo sono inefficaci. Alle misure assunte da più comuni e confermate dalla Regione che abbiano effetto su oltre la metà del territorio di quest’ultima, ovvero su oltre la metà della popolazione residente nella regione stessa, si applica altresì quanto previsto dal comma 1. Fermo quanto previsto presente comma e dall’articolo 2, comma 2, per le situazioni sopravvenute, dopo l’adozione del decreto di cui all’articolo 2, comma 1, non possono essere adottate, e ove adottate sono inefficaci, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza predetta in contrasto con le misure statali.”

La violazione intenzionale del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte a quarantena perché risultate positive al virus è punita con la pena di cui all’articolo 452, primo comma, n. 2, del codice penale (reclusione da uno a cinque anni). Il Prefetto, informando preventivamente il Ministro dell’interno, assicura l’esecuzione delle misure avvalendosi delle Forze di polizia e, ove occorra, delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali. Al personale delle Forze armate impiegato, previo provvedimento del Prefetto competente, per assicurare l’esecuzione delle misure di contenimento di cui agli articoli 1 e 2 è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza. Possiamo solo augurarci che tali qualifiche non siano utilizzate in operazione di ordine pubblico in occasione degli scioperi che si annunciano. Il livello di conflitto che ne deriverebbe sarebbe devastante. Dobbiamo pensare già oggi che, comunque finisca la pandemia da COVID-19 ( o si attenui), i costi per l’economia saranno devastanti, e che la ripartizione tra i diversi gruppi sociali potrebbe determinare una conflittualità altissima. Per questa ragione occorre garantire al più presto il pieno ripristino della funzionalità delle istituzioni democratiche e delle garanzie costituzionali.

Emergenze autonome e Regioni “federali”

Il Decreto legge n.19 del 25 marzo 2020 costituisce un cedimento rispetto alle richieste dei Presidenti di alcune regioni, soprattutto delle regioni settentrionali, che invocavano poteri più ampi nell’adozione delle misure di contenimento per contrastare la diffusione del COVID-19. Il diverso andamento della pandemia su scala regionale giustifica senz’altro misure differenziate di limitazione della libertà di circolazione, e in presenza di un sistema sanitario che offre un numero limitato di posti in terapia intensiva ( a confronto con altri paesi europei) il contenimento della pandemia si è tradotto prevalentemente nel contenimento della libertà di circolazione dei cittadini. Lo stato, che non riesce a garantire una risposta immediata alla domanda di salute dele persone, imponendo quelle che sono state definite “scelte tragiche”, sta spostando sui singoli e sui loro comportamenti la responsabilità di una crisi che è frutto dell’abbattimento dei servizi di sanità pubblica a vantaggio delle strutture private. Che nessuno osa requisire o utilizzare con accesso aperto a tutti, a fini di salute pubblica. Gli stessi Presidenti di regione che hanno condiviso politiche di tagli alla sanità ed all’istruzione pubblica, adesso dovrebbero garantire soluzioni concrete alla mancanza di adeguate strutture sanitarie, in un sistema che presentava già forti squilibri territoriali, al punto che molti pazienti delle regioni meridionali, per le malattie più gravi, erano costretti a recarsi nelle strutture specializzate del nord-Italia. Si corre adesso il rischio che quelle frontiere che volevano ergere ai confini del paese, di fronte ai migranti in cerca di protezione, si ricostruiscano tra le diverse regioni, chiamate a sopportare costi sanitari sempre più elevati.

La comunicazione istituzionale non ha trasmesso un quadro certo di informazione sui crescenti limiti della libertà di circolazione, I movimenti convulsi dei cittadini , che si sono presentati in massa alle stazioni ferroviarie, in alcune giornate, indotti da provvedimenti restrittivi annunciati nelle ore notturne e senza alcun preavviso, come i divieti di circolazione e la limitazione del trasporto pubblico, hanno prodotto situazioni di ingolfamento che si potevano certo evitare. La prospettiva di un blocco totale della mobilità, adesso confermata dagli ultimi provvedimenti di legge, e soprattutto dalle circolari del Viminale e dalle ordinanze dei Presidenti di regione, ha spinto a spostamenti anche inconsulti persone che, se adeguatamente informate sulla possibilità di futuri spostamenti sotto controllo anagrafico e sanitario, avrebbero forse diluito le loro partenze. decreti ed ordinanze sono entrati in vigore sulla pelle di persone che si erano già messe in viaggio, magari con una regolare autorizzazione, ritrovandosi poi bloccati prima di raggiungere la propria destinazione, a seguito della pubblicazione di un decreto, come è successo a centinaia di lavoratori siciliani bloccati per due giorni prima di potersi imbarcare per attraversare lo stretto di Messina.

La quarantena obbligatoria per tutti coloro che si trasferivano per necessità, come la fine o la perdita di lavoro, spesso non contrattualizzato, per la chiusura dell’ufficio, o per fondate esigenze familiari, da un territorio ad un altro, è stata adottata con grande ritardo, e in modalità che oggi non permettono neppure un trasferimento motivato, ad esempio dal luogo di lavoro al luogo, ubicato in altro comune o in altra regione, in cui si dispone di altro alloggio indipendente o di una dimora alternativa. Le sanzioni penali, per quanto inasprite, non elimineranno mai gli spostamenti, ad oggi incontrollati, che, sulla base di motivazioni specifiche, dovrebbero essere invece consentiti e disciplinati sotto un rigoroso controllo sanitario, più che di polizia. Non si può lasciare all’esclusivo potere della Protezione civile o di un Presidente di regione, come si verifica in Sicilia, il potere discrezionale di consentire l’ingresso o il trasferimento nel territorio regionale.

Si può dubitare che l’auspicato calo della pandemia possa legarsi a misure di pubblica sicurezza incentrate soprattutto sul (bio)contenimento dei movimenti dei cittadini, mentre non si riesce a sanificare il sistema sanitario nazionale, garantendo il diritto alla salute di pazienti ed operatori nelle strutture sanitarie, e non si tenta neppure una vasta rilevazione dei campioni delle persone asintomatiche che in altri paesi europei, ed in alcune zone delle nostre regioni, hanno consentito un più efficace contrasto del virus. Allo stesso tempo non si adottano precauzioni minimali per coloro, e sono tanti, che comunque sono costretti a spostarsi per lavoro, mentre l’elenco delle cd. attività essenziali sembra espandersi a dismisura dopo le pressioni esercitate dalle associazioni degli industriali. Non saranno certo i controlli con i droni, o le intercettazioni degli spostamenti attraverso le celle telefoniche che risolveranno il problema della tenuta delle misure di “contenimento”. Mentre si alimentano colposamente focolai di contagio nelle carceri e nei centri di detenzione per stranieri. Non si può escludere a questo punto che qualcuno, dopo avere limitato la libertà di circolazione, pensi a limitare il diritto di comunicazione tramite la rete. Qualunque opinione critica in tempi di “guerra” deve essere silenziata, ed i prossimi sviluppi della pandemia, soprattutto quando la crisi economica alimenterà la protesta sociale, potrebbero comportare l’adozione di misure di controllo senza precedenti.

Le limitazioni alla libertà di circolazione, inoltre, si stanno traducendo in una grave limitazione del diritto di accesso ai luoghi di lavoro ed ai presidi sanitari, soprattutto perchè nella loro concreta attuazione rimangono rimesse alla discrezionalità più ampia dell’autorità amministrativa, senza organi giurisdizionali di controllo che ne possano sanzionare gli abusi. Alla fine, dopo una miriade di decreti ed ordinanze, la normativa che viene applicata effettivamente sui territori dipende dalle determinazioni dei Presidenti di regione, addirittura dei Sindaci, e dalle indicazioni impartite dal Viminale agli organi periferici di polizia, tramite i prefetti ed i questori.

Gli interventi successivi di coordinamento che il decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020 riserva al governo centrale sembrano tradursi in una mera presa d’atto di quanto deciso dai Presidenti di regione, che ormai nel linguaggio comune si definiscono impropriamente come “Governatori”, termine che nella Costituzione non esiste. Il coordinamento successivo delle scelte adottate dai singoli Presidenti di Regione rischia di tradursi in una ratifica, e di comportare un uso delle misure contenitive delle risorse economiche statali, nel settore della sanità, in violazione del principio di solidarietà.

Si corre il rischio che, se ogni Presidente di Regione inventa le misure di contenimento guardando esclusivamente alla situazione della sua regione, e magari anche agli interessi del partito al quale appartiene, o del capo politico dal quale è stato sostenuto, il contrasto del COVID-19 in Italia sprofondi nel caos più assoluto. Anche per la forte autoreferenzialità che la Delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 che dichiarava lo “stato di emergenza” ha attribuito alla Protezione civile, a livello nazionale e regionale. Le ordinanze di protezione civile emesse nell’ambito dello stato di emergenza proclamato a livello nazionale, ai sensi dell’articolo 25, comma 1, d.lgs 1/2018 sono state adottate “in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea”. Chi vigila davvero su questi limiti? La recente decisione del Tribunale amministrativo della Campania su un’ordinanza del Presidente della Regione De Luca non lascia adito alla speranza di un effettivo controllo giurisdizionale sulle attività della pubblica amministrazione in materia di contenimento della mobilità, come metodo di contrasto della diffusione del COVID-19.

In questa situazione di confusione potrebbero essere le regioni più forti, o quelle che per motivi politici possono esercitare la maggiore forza di ricatto sul governo, come si è già verificato, ad imporre le loro scelte, determinando un effetto domino, puramente “difensivo” dei singoli governi sui territori regionali, che vedrebbe sacrificato il principio di solidarietà dettato dagli articoli 2 e 3 della Costituzione ed la coesione sociale del paese. Esattamente l’opposto di quella politica basata sulla solidarietà sociale e regionale che rappresenta l’unica via di uscita dalla crisi, una crisi che comunque trasformerà in modo irreversibile il nostro modo di vita ed i rapporti politici ed economici.

Dietro la prospettiva di un governo di unità nazionale, se non di nuove elezioni, ci stanno, oltre ad alcuni governatori regionali, come Toti, Zaia, Fontana e, in Sicilia Musumeci, partiti che oggi sembrano difendere gli interessi dei lavoratori e dei ceti meno abbienti. Ma che in realtà si ricollegano alla destra economica ed hanno da tempo nei propri programmi la fine dall’Unione Europea e la concentrazione di poteri sempre più ampi nell’esecutivo. Le scelte di chiusura dei vertici di Bruxelles stanno aprendo spazi sempre più ampi ai sostenitori della fuoriuscita dei paesi in crisi economica come l’Italia dal sistema dell’euro, e dunque dall’Unione Europea. La democrazia italiana rischia di finire schiacciata tra questi fattori apparentemente opposti.

Sono processi degenerativi del tessuto democratico che una volta innescati, come sono stati innescati in queste settimane dall’isolamento nel quale è stata lasciata l’Italia dagli altri stati dell’Unione Europea, e da una miriade di ordinanze dei Presidenti di Regione che si sono imposti al governo nazionale, potrebbero determinare uno stravolgimento della Costituzione “sostanziale”, quella effettivamente applicata, ed una svolta autoritaria, anche prima che, in tempi sicuramente non brevi, questa pandemia allenti la sua morsa.

Il diritto alla vita, ed il diritto alla salute, sancito dall’art.32 della Costituzione sono certamente prevalenti rispetto alla libertà di circolazione garantita dall’art. 16 e della libertà di riunione garantita dall’art. 17 della stessa Costituzione. Ma per ogni limitazione di una garanzia costituzionale deve essere attivato un meccanismo di controllo ed un limite temporale. Una soppressione di queste libertà a tempo indeterminato, adesso fino al 31 luglio per effetto del decreto legge 24 marzo 2020,, sia pure con proroghe mensili, ma in prospettiva anche oltre, rischia di travolgere il delicato equilibrio dei poteri ( legislativo, giudiziario, esecutivo) tracciato dai Costituenti nel 1948. Soprattutto se si dovessero affermare partiti sovranisti e nazionalisti che, sfruttando tutti gli espedienti propagandistici del populismo, hanno già dimostrato insofferenza verso le assemblee elettive e le organizzazioni del privato sociale.

Associazione Diritti e Frontiere:
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