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L’Italia continua a pagare per i respingimenti, la Marina Militare aveva respinto eritrei

Il 27 giugno del 2009 l’Italia aveva messo in atto uno dei vari respingimenti voluti dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni. La Marina Militare si era fatta carico di un’operazione che la Costituzione italiana ed il Diritto internazionale avrebbero dovuto far classificare ai vertici della Difesa l’ordine ricevuto quale illegittimo e quindi non eseguibile. Invece, una nave della Marina Militare italiana, intervenuta a poche miglia da Lampedusa il 27 giugno di dieci anni addietro, ha preso a bordo 89 persone da un gommone e le ha riportate in Libia. Un respingimento collettivo, come quello operato dal pattugliatore Bovienzo della Guardia di Finanza nel “caso Hirsi”. Dopo dieci anni, il 28 novembre del 2019, la prima sezione del Tribunale civile di Roma ha emesso la sentenza sul ricorso “Osman e altri contro l’Italia”. La causa era stata promossa nel 2016 e seguita da Amnesty International Italia e Asgi, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione. La decisione del Tribunale romano si è basata su un solo e semplice articolo della Costituzione e non ha avuto bisogno di altri riscontri di Diritto internazionale.

A bordo del gommone in avaria a poche miglia da Lampedusa c’erano 89 persone, di cui 75 eritrei. Tra loro anche 9 donne e 3 bambini. La Marina Militare li ha presi ed a forza li ha ricondotti in Libia, negando loro il diritto di manifestare la volontà di chiedere asilo e riconducendoli in mano al Paese di transito e dei carnefici invece che nel Paese di origine. Il Tribunale civile di Roma ha stabilito, anche in questo caso come in quello del respingimento operato per stessa volontà politica dalla Guardia di Finanza, che l’Italia dovrà risarcire le vittime del respingimento collettivo. Un risarcimento che probabilmente non potrà mai ripagare le vittime dei torti subiti, ma che stabilisce un ulteriore importantissimo precedente giuridico sul diritto d’asilo. La folle politica dei respingimenti attuata nel 2009 dall’Italia era frutto della “determinazione” di un ministro dell’Interno della Lega. Partito che da sempre basa la propria propaganda su approcci securitari che violano questa o quella legge e sull’aggressione ai migranti, di qualunque natura essi siano.

Le conseguenze dei respingimenti di Roberto Maroni, al tempo ministro dell’Interno, furono visibili anche nel corso della “primavera araba” del 2011, quando a seguito della guerra in Libia si registrò un aumento delle partenze dopo due anni di “blocco navale” con respingimenti collettivi effettuati dalla Guardia Costiera, dalla Guardia di Finanza e dalla Marina Militare. Tutte complici della violazione di uno degli articoli sacri della prima parte della Costituzione italiana. Non erano necessari cavilli ed “interpretazioni” improbabili della Convenzione di Amburgo. Anche un sottufficiale di un qualunque corpo dello Stato che opera in mare dovrebbe sapere che l’articolo 10 della Carta costituzionale recita quanto segue: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non e` ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.”

Gli stessi inderogabili principi costituenti dell’Italia che il successivo ministro dell’Interno leghista, Matteo Salvini, ha violato procacciandosi varie richieste di rinvio a giudizio che il Tribunale dei ministri ha valutato e dovrà ancora valutare. Nel caso di Salvini, che i respingimenti collettivi li ha trovati già belli e pronti con la delega che il predecessore “dem” Marco Minniti ha dato ai libici, le violazioni riguardano però gli articoli 10 e 13. Cioè, il dovere di accogliere lo straniero per valutare eventuali richieste di asilo o protezione internazionale ed il divieto di limitazione della libertà personale. Bisognerà attendere la risoluzione del caso, ben più complesso, attuale in cui assetti aerei europei e sale operative navali italiane concorrono alla cattura da parte dei libici di potenziali richiedenti asilo che proprio dalla Libia fuggivano. Nel caso della “causa Osman e altri contro l’Italia“ è stato invece contestato e condannato il respingimento operato direttamente dalla Marina Militare italiana. Con una propria nota, Amnesty International ricorda che “le persone salvate erano state collettivamente respinte in Libia, senza alcun atto formale in alcuni casi mediante l’uso della forza“. Il Tribunale civile di Roma ha condannato l’Italia le ha imposto un risarcimento, ma ha anche stabilito che ai ricorrenti si dovrà concedere il diritto di “accedere nel territorio italiano allo scopo di presentare domanda di riconoscimento della protezione internazionale ovvero di protezione speciale, secondo le forme che verranno individuate dalla competente autorità amministrativa“ .

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