La politica dei “Memorandum” destabilizza il Mediterraneo

Secondo la Turchia il Memorandum siglato con Tripoli non è in conflitto con il diritto internazionale. L'Egitto vedrebbe però una estensione di giurisdizione della Marina turca fino a nord delle proprie coste. La presenza militare turca al largo della Cirenaica rappresenta una grave minaccia per le forze del generale Haftar e per i suoi alleati, inclusi Egitto e Russia, che si troverebbero a portata di missili

Nel corso dell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un uso eccessivo degli accordi bilaterali tra Stati del Mediterraneo. I “Memorandum” d’intesa tra Stati, spesso spacciati per semplici accordi di cooperazione, hanno avuto per oggetto forniture di mezzi e supporto militare, azioni spesso illegali con vittime i migranti ed anche slanci sotto falsa veste di colonialismo in chiave moderna. Il Memorandum Italia-Libia ha avviato una gioco delle parti probabilmente pericoloso nel Mediterraneo, segnando come una pietra miliare nella politica tra Stati europei e Paesi in stato di crisi oppure addirittura in guerra. Mentre l’Italia foraggia la Libia di Tripoli, sotto assedio da parte della Cirenaica di Khalifa Haftar che ormai controlla circa l’80% del Paese (gli manca soltanto il distretto della capitale), la Turchia ha ratificato un Memorandum con Tripoli per il controllo militare delle acque libiche che in quel del nord Africa vengono intese come coincidenti con la “SAR zone”. Erdogan estende così la propria giurisdizione navale fino a nord di Tobruk, potendo sostanzialmente posizionare navi militari davanti la roccaforte del generale Haftar.

Una minaccia militare gravissima che segue quella altrettanto grave già in atto con la regolare violazione dell’embargo sulle armi in Libia e la presenza di velivoli killer di altri Stati, tra i quali appunto la Turchia. La presenza militare turca al largo della Cirenaica potrebbe quindi rappresentare una pesante minaccia per l’Egitto, la Russia e le forze che sostengono militarmente il generale Haftar. Il fermento c’è nei palazzi del potere internazionale, ma il dibattito non è di pubblico dominio. Alla Turchia è stato però intimato di allontanare due navi che da Ankara dichiarano essere navi da ricerca e non militari armate. L’Egitto ha subito definito l’accordo Turchia-Libia illegale e la Grecia ha preteso copia del Memorandum entro il 5 dicembre, pena l’espulsione dell’ambasciatore della Libia in Grecia. Il portavoce del ministero degli Esteri turco ha dichiarato ieri che il Memorandum d’intesa siglato ad Istanbul mercoledì 27 novembre tra Erdogan e Serraj è in pieno rispetto del diritto internazionale. La Turchia però, come gli stessi documenti – di cui non sono stati resi pubbliche le versioni integrali – lasciano intendere, estenderebbe di fatto, con un mandato militare conferito da Tripoli, la propria giurisdizione fino al Mediterraneo orientale a nord della Cirenaica. Quindi oltre la Grecia, Creta e l’Egitto.

Grecia ed Egitto non intendono concedere questo dominio al Paese che per forze militari è il secondo della Nato, subito dopo gli Stati Uniti. Inoltre, l’Egitto di Al-Sisi è schierato al fianco di Khalifa Haftar nella guerra in Libia. Il generale che ha conquistato la Libia – fatta eccezione per l’hinterland di Tripoli – aveva già tra i suoi avversari la Turchia di Erdogan che a Tripoli aveva basato i propri droni killer, gli armamenti di questi e gli equipaggi che ne controllano da remoto le missioni. Recep Tayyip Erdogan stava quindi già affrontando due guerre: quella per l’estensione dei propri domini a parte del cosiddetto Kurdistan, invadendo di fatto la Siria appena “terminata” la guerra durata otto anni che l’ha praticamente distrutta con la scusa dei terroristi del Califfato islamico, e sostenendo militarmente la Libia del Governo di Accordo Nazionale presieduto da Fayez Al-Serraj. In risposta all’allarme lanciato da Egitto e Grecia, come riportato ieri dall’agenzia di stampa turca Anadolu, il portavoce del Ministero degli Esteri turco Hami Aksoy ha dichiarato che grazie al Memorandum “i due Paesi hanno manifestato chiaramente la loro intenzione di non consentire alcuna azione militare offensiva”, con chiaro riferimento all’aggressione condotta da Haftar.

Alla vigilia dell’accordo tra Serraj ed Erdogan, firmato mercoledì, in Libia è stato effettuato un raid aereo ai danni del più importante sito petrolifero del Paese. A colpire sono stati aerei delle forze di Haftar o suoi alleati. Circostanza da verificare con l’eventuale futuro ritrovamento di parti degli ordigni da cui, si spera, sarà possibile stabilire davvero chi ha colpito e con quale tipo di arma. Quello che è certo è che a farne le spese è stato il giacimento di El Feel, a sudovest di Tripoli. Un insediamento che non è del NOC o della National Oil Company in partnership ma dell’ENI, il colosso italiano che in Libia perde sempre più sicurezza ed investimenti. L’ENI ha fermato la produzione e trasferito il personale in area più sicura, ma è chiaro che la Libia non è più un Paese sicuro per gli interessi italiani. Il presunto raid è avvenuto martedì 26 novembre, appena il giorno prima della firma di un già predisposto Memorandum. Il bombardamento del giacimento ENI di El Feel sembra quindi una rottura degli accordi alla vigilia di un nuovo rapporto di protezione che taglierebbe del tutto fuori l’Italia dalla Libia, ormai appannaggio della Francia e della Turchia novella conquistatrice del Mediterraneo. Salvo esiti radicali che potrebbero dare il via alla “Prima guerra del Mediterraneo”.

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