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Europarlamento spaccato su risoluzione LIBE, ma obblighi di sbarco in “porto sicuro” rimangono

di Fulvio Vassallo Paleologo

Non sorprende il voto del Parlamento europeo che ha respinto una Risoluzione, già abbastanza moderata, presentata dalla Commissione LIBe (Libertà civile) sugli obblighi di soccorso in mare. Il testo di compromesso proposto dalla Commissione LIBE conteneva 18 raccomandazioni agli Stati membri per una maggiore cooperazione nelle attività di ricerca e salvataggio in mare. In particolare il punto 9 del testo richiedeva agli Stati membri di «mantenere i porti aperti alle imbarcazioni delle Ong», mentre il punto 16 chiedeva alla Commissione un impegno a lavorare su un meccanismo di distribuzione dei migranti «equo e sostenibile».

Continuano ad esser ignorate le Raccomandazioni del Consiglio d’Europa sugli obblighi di soccorso in mare spettanti agli stati. La mancata approvazione della Risoluzione, per appena due voti, è stata in parte determinata dall’ennesimo voltafaccia dei rappresentanti del movimento Cinque stelle, che volevano inserire per forza un emendamento che desse copertura al decreto sicurezza bis votato in Italia con Salvini, ma deriva anche dal voto dei Popolari europei, al cui interno il premier ungherese Orban sta facendo sentire tutto il suo peso. Il voto va inquadrato all’interno della profonda crisi che sta vivendo la nuova Commissione europea prima ancora di insediarsi, dopo che alcuni suoi componenti di spicco sono stati bocciati dall’aula, che ha così evidenziato la debolezza congenita di Ursula Von der Layen, che non è stata ancora capace di proporre una vera politica alternativa ai partiti sovranisti e populisti in Europa. Il voto negativo sulla mozione proposta dalla Commissione LIBE allontana, comunque lo si interpreti, le prospettive di una modifica del Regolamento Dublino III e danneggia l’Italia perché cancella le prospettive di ricollocazione verso altri paesi UE dei naufraghi soccorsi in mare, tracciate dalla Conferenza di Malta del mese scorso. Lega e Cinque stelle, peraltro, nella passata legislatura, sia pure a parti invertite, la Lega si era astenuta ed i Cinque stelle avevano votato contro, avevano congiuntamente bloccato le proposte di riforma del Regolamento Dublino III.

Da un Unione Europea che, attraverso il COREPER, quindi a livello di comitato, sta trattando in sede riservata con l’IMO ( Organizzazione marittima internazionale con sede a Londra) sulla base del riconoscimento di una zona SAR libica e del ruolo della sedicente Guardia costiera libica, un Europa che ha ritirato gli assetti navali che prima operavano soccorsi nel Mediterraneo centrale nell’ambito delle missioni Triton di Frontex e Sophia (Eunavfor med) non ci si poteva attendere altro. E’ la stessa Europa che ha valutato positivamente il Memorandum di intesa tra Italia e governo di Tripoli (che neppure rappresenta l’intera Libia) siglato nel febbraio del 2017 (Conferenza di Malta), è la stessa Europa che chiude ogni possibilità di ingresso legale, sia per i richiedenti asilo che per i cd, migranti economici, è la stessa Europa che sta rinforzando la nuova agenzia Frontex, adesso ridenominata Guardia di frontiera e costiera europea, puntando soltanto sull’abbattimento delle garanzie di difesa delle persone dopo l’arrivo ( con le procedure accelerate negli Hotspot) e sull’intensificazione delle operazioni di rimpatrio forzato, con il rafforzamento degli organici dell’agenzia FRONTEX. E’ la stessa Europa che assiste senza intervenire alle stragi in mare nel Mediterraneo, che ha creato ai confini dell’area Schengen nuovi campi di concentramento, che vorrebbe in Africa le piattaforme di sbarco delle persone bloccate in mare e riportate nei paesi di transito in uno stato in preda alla guerra civile, come la Libia. Anche se tutti dovrebbero conoscere la sorte riservata a chi viene riportato in Libia dalla guardia costiera “libica” e rivenduto ai trafficanti. E’ la stessa Europa che subisce il ricatto di Erdogan che ha ucciso migliaia di curdi e che si prepara adesso ad una vera e propria pulizia etnica nel Rojava, anche a costo di scatenare di nuovo il terrorismo internazionale. Con queste politiche l’Unione Europea si sta avviando verso il suicidio, a beneficio dei grandi blocchi ( Stati Uniti, Russia, Cina) che ormai controllano il mondo, utilizzando per il loro dominio i partiti sovranisti e populisti.

La mancata approvazione della Risoluzione proposta dalla Commissione Libe che tentava in qualche modo di fare cessare la criminalizzazione delle operazioni di salvataggio in mare non rimuove gli obblighi di ricerca e soccorso derivanti dal diritto internazionale in capo ai governi ed alle autorità militari ed amministrative che da questi dipendono. Il voto negativo di ieri a Bruxelles non legittima certo i provvedimenti di sequestro che ancora bloccano nei porti siciliani (la Sea Watch, La Mare Jonio e, da due anni a Trapani, la Iuventa) imbarcazioni che potrebbero salvare la vita di migliaia e migliaia di persone. Quel voto rafforza però quei partiti che della “guerra alle ONG” hanno fatto il cavallo di battaglia delle loro campagne elettorali, per nascondere la portata disumanizzante delle loro politiche sociali ed economiche. Cade per l’ennesima volta qualsiasi alibi del movimento Cinque Stelle che nei suoi rappresentanti al Parlamento europeo dimostra la sua vera natura populista. Ma si pagano ancora gli errori dei governi precedenti che hanno organizzato il coordinamento in favore della sedicente Guardia costiera libica, a cui venivano fornite motovedette e strumenti di monitoraggio. Politiche che vengono riproposte ancora oggi dal governo italiano in carica. Vorremmo capire davvero da che parte sta la Guardia costiera italiana. Ci saranno ordini illegittimi ai quali disobbedire per salvare vite in mare ? In che termini sta procedendo la negoziazione in corso tra autorità italiane ed autorità di Tripoli, per un aggiornamento degli accordi del 2017, malgrado la guerra civile in corso ?

Le politiche degli accordi con i paesi terzi per esternalizzare i controlli di frontiera, e le prassi operative che ne derivano, trovano comunque un limite nei principi costituzionali ( in Italia gli articoli 10 e 117 della Costituzione) , che stabiliscono la supremazia del diritto internazionale rispetto alle norme interne che, come il “decreto sicurezza bis”, permettono di trasformare in reato il salvataggio delle vite umane in mare.

Lo ha chiarito bene il Giudice delle indagini preliminari di Trapani con un provvedimento dello scorso giugno sul caso Vos Thalassa, secondo cui “ai sensi dell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati ‘è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale; – incompatibile con l’art. 10 co. 1 Cost., secondo cui ‘l’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, tra le quali rientra ormai anche il principio di non-refoulement’” . Secondo il giudice di Trapani, il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia stipulato il 2 febbraio 2017, mai approvato dal Parlamento secondo la procedura fissata dall’art. 80 della Costituzione, costituisce “un’intesa giuridicamente non vincolante e non avente natura legislativa”.

Secondo il Giudice per le indagini preliminari di Agrigento, gli obblighi di salvataggio in mare imposti dalle Convenzioni internazionali non si possono limitare soltanto al soccorso immediato dei naufraghi, ma comprendono anche il diritto/dovere alla loro conduzione fino ad un porto sicuro ( place of safety). Tali obblighi non possono essere elusi per effetto di provvedimenti ministeriali o dei prefetti adottati in base al c.d. decreto sicurezza-bis, I porti libici non si possono qualificare come “place of safety“.

Gli emendamenti presentati dai rappresentanti del movimento Cinque stelle a Bruxelles tentavano dare copertura europea al “decreto sicurezza bis” mettendo sullo stesso piano gli obblighi di soccorso stabiliti dal diritto internazionale e le limitazioni agli interventi di salvataggio in mare introdotte dalle leggi nazionali. Una operazione maldestra, dal punto di vista tecnico giuridico, perché sovverte il principio di gerarchia delle fonti imposto dalla Costituzione, e dal punto di vista politico, perché squalifica la collocazione del movimento sia a livello europeo che a livello nazionale. Adesso sarà ben difficile che i Cinque stelle possano trovare un raggruppamento parlamentare a Bruxelles che li ammetta al suo interno, dopo questa prova di inaffidabilità. A livello nazionale, già alle prossime scadenze elettorali, si potrebbero verificare le conseguenza delle politiche ambivalenti dei pentastellati, che cercano si salvare la continuità con i provvedimenti approvati quando erano al governo con la Lega di Salvini.

Come cittadini solidali ed operatori del diritto e dell’informazione non possiamo che continuare a denunciare il capovolgimento del quadro normativo e la continua, strumentale riproduzione di accuse contro quegli operatori umanitari che malgrado tutto sono ancora impegnati sul fronte della solidarietà in mare. Le politiche di “bilanciamento di opposte esigenze”, la “difesa dei confini” e la tutela dei diritti umani, in realtà la soggezione ai ricatti elettorali delle destre populiste, che hanno dato questa prova a fallimentare a Bruxelles, si stanno replicando in mare.

Nelle acque del Mediterraneo centrale si sta continuando a negare da parte del governo italiano, la tempestiva indicazione di un porto di sbarco sicuro ad una nave carica di naufraghi, la Ocean Viking di SOS Mediterraneè. Come si sta facendo scadere il termine ( 2 novembre) del rinnovo tacito degli accordi con il governo di Tripoli, anche dopo che sono state confermate le denunce pubblicate da anni sulla collusione tra la sedicente guardia costiera libica, le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico e settori importanti delle milizie libiche schierate a sostegno del governo Serraj. Non ha destato alcuna condanna ufficiale il comportamento illegale delle autorità maltesi che hanno abbandonato in mare per giorni una imbarcazione carica di naufraghi, con la copertura aerea europea, in attesa che intervenisse una motovedetta libica in piena zona SAR maltese, tanto che dopo la intercettazione in acque internazionali, gli stessi naufraghi sono stati riportati a terra e rigettati in un centro di detenzione in mano alle milizie. Senza la denuncia di una ONG, che adesso si vorrebbe colpire, anche di questa vicenda non si sarebbe saputo nulla.

La giurisdizione, di fronte alla quale si stanno ancora indagando le ONG, ma anche chi non ha soccorso tempestivamente naufraghi che chiedevano aiuto, ed i canali di comunicazione pubblici e social, che non possono diffondere soltanto messaggi di morte e di criminalizzazione dei soccorsi umanitari, saranno terreno di scontro quotidiano tra chi difende la dignità umana e la solidarietà, dettata anche dalla Costituzione, e chi invece cerca soltanto carriere personali, posti di potere e consenso elettorale con la politica dei muri e dei porti chiusi. Una politica che è passata anche attraverso le aule giudiziarie ed i processi penali mettendo a rischio lo stato di diritto ed il principio del giusto processo.

La notte dei diritti umani sarà ancora lunga, ed una discontinuità politica reale ancora non si vede, a Bruxelles, come nel resto d’Europa. Meglio la consapevolezza di questo degrado della democrazia e dello stato di diritto, ed operare per un processo di lenta aggregazione dal basso di un fronte antirazzista e solidale, che illudersi, attraverso accordi con i partiti populisti, e adesso anche con i popolari europei, che si possano garantire i soccorsi i mare e difendere i diritti fondamentali delle persone, a partire dal diritto alla vita.

Associazione Diritti e Frontiere:
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